Da quando, nel lontano 1997, Tsugio Makimoto e David Manners pubblicarono il libro Digital Nomad, molte cose sono cambiate. Il fenomeno del nomadismo digitale, ovvero l’insieme di quelle persone che lavorano ovunque nel mondo – ovunque ci sia una connessione internet – è cresciuto esponenzialmente tanto da ridefinire i paradigmi di cosa significhi lavorare, oggi.
Blogger, imprenditori, giornalisti, web designer, programmatori, fotoreporter, ecco alcuni lavoratori del cosiddetto “ecosistema digitale”. La tecnologia è di certo a favore di questa rivoluzione: il wi-fi, gli smartphone, i sistemi di pagamento digitale come PayPal e altri tools semplificano notevolmente la vita di coloro che non vogliono rinunciare alla possibilità di viaggiare ma desiderano allo stesso tempo perseguire i loro obiettivi professionali. Del resto, nel contesto socio-economico attuale, molti sono i segnali di una sorta di nuovo “romanticismo” del lavoro: la soggettività, l’individualità e la flessibilità prendono il sopravvento sulla schematizzazione e uniformità dei comportamenti e degli ambienti.
Secondo una ricerca della società produttrice di software Intuit, entro il 2020, 7,6 milioni di lavoratori americani (il doppio rispetto ad oggi) svolgeranno attività legate all’economia on-demand – quindi fluide, flessibili e spesso intermittenti. In Italia, i cambiamenti di scenario socio-economico vedono già il 30% delle aziende italiane favorire il lavoro da remoto (fonte Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano).
Le stime sulle dimensioni del fenomeno, però, sono ancora incerte: c’è chi dice che entro il 2035 i nomadi digitali – altresì chiamati “location-independent” – saranno un miliardo. Nel frattempo, proliferano le piattaforme a loro dedicate, una su tutte è Nomad List – il sito che elenca le migliori città dove vivere lavorando da remoto a seconda delle proprie esigenze e preferenze. Crescono numerosi anche gli spazi di co-working nei posti più esotici, dove i nuovi lavoratori in mobilità si ritrovano per creare community, confrontarsi sulle esperienze di viaggio ma anche sulle scelte professionali e le opportunità di carriera. Basti pensare a Hubud, il co-working a nord di Bali nato nel 2012 e in cui oggi l’80% dell’utenza è composta da nomadi digitali, soprattutto europei e americani, che restano in loco in media 5 mesi. Nel 2012 ha preso il via anche una conferenza annuale – ovviamente, itinerante – la DNX Global, ovvero due giorni di incontri, conferenze, workshop e nightlife in cui i lavoratori “mobili” di tutto il mondo possono incontrarsi e confrontarsi.
La maggior parte dei digital nomads è composta da uomini, ma secondo l’Osservatorio di COPERNICO, le donne non mancano: anzi, sono sempre di più, tanto che molte di loro hanno deciso di condividere la loro esperienza e i loro consigli attraverso blog e piattaforme “al femminile”, andando a colmare quella che è sentita come una mancanza di informazioni che possono tornare utili quando è una donna a viaggiare da sola in luoghi che spesso sono più propensi a forme culturali patriarcali, e che quindi possono risultare (o essere percepite) come ostili o pericolosi. Un esempio è Women Digital Nomads, una sorta di Nomad List al femminile: aiuta le donne che lavorano viaggiando a trovare le città più adatte a loro, e allo stesso tempo offre la possibilità di confrontarsi con una community sui temi più impellenti riguardanti sanità, sicurezza, vita sociale e professionale, affetti, ecc. Simile è il progetto di Digital Nomad Girls, che supporta le donne che decidono di intraprendere una vita nomade attraverso le testimonianze di chi ha sconfitto paure e pregiudizi e ha preso in mano zaino e pc, oltre ad organizzare meeting in cui le donne viaggiatrici possono incontrarsi e discutere i pro e i contro di una vita in continuo movimento.
Insomma, la dematerializzazione resa possibile dalla Rete ha trasformato il mondo del lavoro in uno scenario sempre più flessibile, dove regna una filosofia che fa leva sui bisogni di indipendenza e massima mobilità: i (e le) nomadi digitali propongono l'idea di un lifestyle sostenibile, in cui il rapporto tra vita e lavoro viene radicalmente trasformato. Lavorano in remoto da casa, da bar e caffetterie, da biblioteche pubbliche e pub, svolgendo compiti e portando a termine obiettivi che un tempo si svolgevano tradizionalmente in un unico posto di lavoro fisso. Insofferenti della routine e abilissimi nello sfruttare le possibilità offerte dal web e dalle latitudini del pianeta a basso costo e alta tecnologia, i nomadi digitali stanno riscrivendo il senso del lavoro, della soddisfazione professionale e del work-life balance. Non si adattano agli standard delle generazioni precedenti ma creano nuove definizioni di felicità, produttività e successo.