Social lending made in Italy, cosa dice la nuova (?) legge

A cura di Antonio Lafiosca, co-founder e chief operating officer di BorsadelCredito.it

A un anno esatto dalla pubblicazione dei documenti di consultazione sulle Istruzioni di Vigilanza di Bankitalia, il social lending ne diventa parte integrante. Lo disciplinerà la sezione IX delle nuove norme sulla raccolta del risparmio da parte dei soggetti non bancari. Il testo delle Disposizioni è chiaro e sintetico, forse troppo. Ma è una bella notizia, segnale che qualcosa comunque si muove. Considerando anche che parliamo di un’attività che trova i suoi fondamenti giuridici nel concetto di mutuo come è esplicitato nel codice civile, e che era ferma di fatto all’aggiornamento al 2007 della Circolare 229 del 21 aprile 1999, Titolo IX, Capitolo 2, nome tecnico delle Disposizioni di cui sopra. In cui non si citava esplicitamente il social lending ma se ne tracciava un profilo come qualcosa che non rientrava – e continua a non rientrare – nella categoria della raccolta di risparmio. Il nuovo testo sostituisce proprio questa normativa. La sezione IX si occupa di social lending, dandone innanzitutto una definizione, come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.”

La raccolta del risparmio è sempre vietata a chi fa social lending, e la nuova legge precisa che “non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico: la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento dai gestori medesimi, se autorizzati a operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari, … né la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica effettuata dai gestori a tal fine autorizzati”. E per i prenditori allo stesso modo non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico “l’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate con i singoli finanziatori. Al riguardo, avute presenti le modalità operative tipiche delle piattaforme di social lending, le trattative possono essere considerate personalizzate allorché i prenditori e i finanziatori sono in grado di incidere con la propria volontà sulla determinazione delle clausole del contratto tra loro stipulato e il gestore del portale si limita a svolgere un’attività di supporto allo svolgimento delle trattative precedenti alla formazione del contratto.”

Una volta accertato che le trattative sono personalizzate e le parti ne determinano i vincoli, via libera al prestito tra privati via Internet. Ma con un limite massimo, “di contenuto importo, all’acquisizione di fondi tramite portale on line di social lending da parte dei prenditori” che “è coerente con la ratio sottesa alle presenti Disposizioni, volta a impedire ai soggetti non bancari di raccogliere fondi per ammontare rilevante presso un numero indeterminato di risparmiatori.” Inoltre vengono sottolineate “le possibilità di raccolta senza limiti da parte di banche che esercitano attività di social lending attraverso portali on-line.” Si apre pertanto in maniera formale la possibilità agli istituzionali di accedere direttamente al social lending, così come stanno facendo in tutta Europa. Insomma, c’è un contesto normativo – finalmente – ma restano alcuni limiti. Soprattutto alla libertà di azione di questi marketplace. Due dati: esiste ancora una ingiustificata disparità di trattamento fiscale per chi investe in questo strumento, tassato ad aliquota marginale tra il 23% e il 43%. Inoltre, non esistono sgravi fiscali interessanti; ultimo ma non ultimo, chi presta attualmente come persona fisica o giuridica non può superare la soglia di 50mila euro. L’approvazione della legge sul social lending è un primo importante passo ma c’è ancora molto da fare.

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