La collaborazione tra banche e Fintech? Un processo win-win

Ecco i cinque motivi perché allearsi fa bene a vecchi e nuovi operatori della finanza: operano in mercati con poche sovrapposizioni, per la banca il P2P lending può rappresentare un’occasione di fidelizzazione e uno strumento di diversificazione del rischio, può offrire alle banche la possibilità di rispondere a un’esigenza di breve termine, infine il ritorno di immagine per la banca in termini di efficienza è enorme

Il futuro dei financial services? Sta nella collaborazione tra fintech e banche. La teoria, che BorsadelCredito.it sponsorizza da sempre, è avallata da un recente report di Capgemini e LinkedIn, in collaborazione con Efma. Nel World FinTech Report 2018, si legge che “le società fintech, innovando con le tecnologie emergenti, reinventano l’esperienza dei clienti dei servizi finanziari. La competizione e aspettative sempre più elevate trainano la domanda di servizi più convenienti e personalizzati. Per fornirle, le fintech utilizzano i dati dei clienti e nel contempo sono in grado di offrire servizi online rapidi e disponibili 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana e attraverso qualsiasi device.” Dal canto loro, “le istituzioni finanziarie tradizionali adottano misure fintech per migliorare la loro customer experience, al contempo rafforzando i propri vantaggi competitivi, ovvero la gestione del rischio, le infrastrutture, le competenze normative, il patrimonio di fiducia dei clienti, l’accesso al capitale, e così via. Le aziende tradizionali e le fintech possono dunque beneficiare di una relazione collaborativa e simbiotica.” Le prime riuscendo a offrire processi digitali, efficienti e in maniera agile: in definitiva più prodotti e servizi; le seconde godendo della maggior fiducia che il cliente ha ancora nei brand tradizionali, oltre che della massa critica di banche e istituzioni finanziarie tradizionali. Insomma, si tratta di una collaborazione win-win, o forse sarebbe meglio dire, inevitabile. 

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Senza volerci sostituire a Capgemini, e calando il discorso generale nel nostro campo di azione, ovvero i prestiti alle PMI, vogliamo elencare i cinque motivi per cui una collaborazione tra banche o confidi e marketplace lending è utile e redditizia per entrambi. Eccoli:

  1. Banche e marketplace lending operano in mercati con poche sovrapposizioni. Il focus delle prime è maggiormente diretto verso operazioni complesse e aziende più grandi, mentre il marketplace lending è più adatto a imprese di piccole e medie dimensioni e a prestiti commisurati ad esse. Il taglio medio dei prestiti erogati nelmese di maggioda BorsadelCredito.it, ultimo della nostra rilevazione periodica, è ammontato a 194mila euro. Un valore che per le banche non è particolarmente redditizio: secondo Kmpg esiste un potenziale di 50 miliardi di euro di domande di credito da parte delle imprese, che gli istituti finanziari tradizionali non evadono proprio per una questione di size, cioè di dimensione troppo contenuta dell’azienda. Sono prestiti troppo piccoli per fare margine: quelli sotto i 100mila euro sono, per le banche, addirittura un costo. Si gioca su campi affini, ma separati: dunque collaborare aumenta il valore di entrambe le squadre. 
  1. Per la banca, avere la possibilità di offrire un prodotto di credito alternativo è un’occasione di fidelizzazione. Di fatto la possibilità di poter includere un prodotto come quello di BorsadelCredito.it nella gamma della banca offre uno strumento aggiuntivo per soddisfare le richieste del cliente e dunque fidelizzarlo. Se la cosa può apparire ancora lontana per un Paese come il nostro, vale la pena ricordare che in Gran Bretagna, dal settembre 2016, esiste unreferral schemeche prevede che ogni richiesta di finanziamento fatta da una PMI e rigettata dalla banca debba essere segnalata alle piattaforme che possono offrire un servizio alternativo. In sostanza un procedimento istituzionalizzato che stimoli la collaborazione fruttuosa tra banche e fintech, a favore delle PMI: la Gran Bretagna in termini di innovazione è un faro che illumina il nostro cammino.
  1. Il referral scheme – che può nascere da un accordo privato tra una banca e una fintech e non deve necessariamente piovere dall’alto di un’imposizione del legislatore –è inoltre uno strumento di diversificazione del rischio. In sostanza, se un cliente impresa viene dirottato per alcune operazioni verso la piattaforma di marketplace lending, il rischio non è più interamente concentrato sulla banca. E in tempi di Basilea 3 e dell’infinito irrigidirsi dei requisiti patrimoniali non è mai un male. Le banche italiane, vale la pena ricordarlo, siedono su una montagna di non performing loan, crediti inesigibili da 200 miliardi di euro, che certamente sta diminuendo, ma con un ritmo ancora troppo lento. Trovare dei partner in piattaforme come i marketplace lending aiuta la banca a trovare una soluzione al cliente, senza perdersi future opportunità in linea con il proprio business.
  1. Una collaborazione con il marketplace lending offre alle banche la possibilità di rispondere a un’esigenza di breve termine dell’imprenditore, per cui il fattore tempo è spesso una chiave imprescindibile di successo. Ne abbiamo parlato in un post recentissimo,qui, raccogliendo le testimonianze degli stessi imprenditori. BorsadelCredito.it riesce, grazie all’algoritmo e all’analisi dei big data, a dare l’esito della richiesta di prestito ai suoi clienti nel giro di 24 ore e a erogare fisicamente il denaro sul conto corrente del destinatario in pochi giorni, spesso solo tre. Se la banca ha la stessa opzione, può sfruttarla per risolvere al suo potenziale cliente un problema impellente, costruendosi un capitale di fiducia che poi sarà utile nello sviluppo di un rapporto di lungo termine.
  1. Fatto che ci porta diretti alla quinta e ultima ragione:il ritorno di immagine per la banca in termini di efficienza è enormeSecondo Accenture, in Europa il numero di operatori tradizionali si è ridotto del 40% rispetto al 2015 da 8.500 a circa 5.300 a favore dell’ingresso di altri attori di origine Fintech (oltre 800), che rappresentano oggi il 12% degli operatori (challenger banks, payments, specialist). In questo contesto le istituzioni finanziarie che hanno intrapreso grandi processi di innovazione presentano percentuali di valore futuro maggiori di almeno il 30% rispetto alle realtà meno dinamiche. Inoltre, l’analisi mostra che circa i 2/3 dei consumatori (65%) è composta da persone digitalmente evolute o addirittura “esperte di digitale”; questi consumatori si aspettano anche nell’ambito dei servizi finanziari un’esperienza simile a quella offerta dai GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), estremamente personalizzata e in “real time”. Ed è chiaro che la banca che riesca a dare di sé un’immagine più fintech avrà una marcia in più.

Solo una banca su quattro in EMEA ha sviluppato una strategia digitale

Una ricerca promossa da SAP SE (NYSE: SAP) rivela che solo una banca su quattro in EMEA (pari al 24% del totale) ha sviluppato e messo in atto una strategia di trasformazione digitale per aumentare il coinvolgimento dei propri clienti. Lo studio ha evidenziato che vi sono ampi margini di miglioramento per il settore nonostante il 96% degli istituti intervistati abbia dichiarato di aver già completato progetti di trasformazione digitale.

Condotto da IDC Financial Insights e sponsorizzato da SAP, la ricerca “The Digital-Ready Bank” ha coinvolto 250 banche retail e corporate in tutta EMEA. I risultati mostrano che la trasformazione digitale spesso riguarda solo il front office, con la creazione di vere e proprie “isole di innovazione” che non permettono alle banche di beneficiare dei vantaggi della trasformazione digitale a tutto tondo. Primo fra tutti questi vantaggi è la possibilità di ridurre i costi e allo stesso tempo di offrire un’esperienza ottimizzata e personalizzata ai clienti.

L’analisi ha inoltre rivelato che:

  • In una banca su cinque (pari al 21%) è presente un chief digital officer (CDO). IDC prevede che un istituto su due assegnerà al CDO o digital leader la guida del processo di trasformazione digitale dell’organizzazione entro il 2020.
  • Esiste una correlazione positiva tra il coinvolgimento dell’IT sin dall’inizio di un progetto di trasformazione digitale e la sua buona riuscita; il 57% delle iniziative dove l’IT è stato chiamato a giocare un ruolo determinante nei primi momenti è stato definito un successo dagli intervistati.
  • Il 40% del campione ha indicato che la trasformazione digitale rimane soprattutto un’iniziativa di front-office diretta a migliorare l’esperienza del cliente.
  • Infine, una banca su cinque ha dichiarato che per il momento i progetti di trasformazione digitale avviati all’interno dell’organizzazione hanno riguardato principalmente interventi sull’infrastruttura.

“Non c’è dubbio che le banche in EMEA stiano creando valore aggiunto per i propri clienti attraverso progetti di trasformazione digitale, ma il futuro riserva nuove opportunità”, ha commentato Laurence Leyden, general manager financial services business EMEA di SAP. “Integrando iniziative di front-office e back-office e adottando un approccio olistico alla trasformazione digitale, le banche possono far evolvere i propri servizi insieme ai clienti stabilendo relazioni destinate a durare nel tempo”.

Jerry Silva, Research Director di IDC Financial Insights, ha commentato: “Perchè la trasformazione digitale si radichi nel DNA e nella strategia di una banca, è necessaria la presenza di un champion, e questo è il chief digital officer. Il ruolo del CDO è ancora nuovo e in fase di maturazione, ma dovrebbe focalizzarsi ad allineare i diversi segmenti dell’organizzazione e i diversi processi tecnologici attorno a un obiettivo comune: maggiore coinvolgimento del cliente e sua fidelizzazione”.

Lo studio ha infine rivelato che gli elementi chiave della trasformazione digitale di un’organizzazione sono stati una cultura collaborativa e un focus sul digital core che ha combinato soluzioni di analytics e tecnologie aperte e flessibili. Un altro elemento chiave è stata la volontà di collaborare con partner esterni come le startup del fintech, fornitori di tecnologie e aziende che offrono servizi non finanziari ritenuti di valore dai clienti.

Di seguito il rapporto completo:

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