Smart Working – intervista alle ricercatrici dell’IRISS CNR

Nell’ultimo anno in Enel mi sto occupando di Smart Working ed ho avuto l’opportunità di conoscere tante realtà interessanti con cui confrontarmi.

Ho deciso quindi di intervistarli per mettere a fattor comune la conoscenza.

Inizo questo ciclo di interviste con Luisa Errichiello e Tommasina Pianese, ricercatrici dell’IRISS CNR 

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Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart Working in Italia?

Luisa: L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, come l’Olanda o la Danimarca, mostra ancora un forte ritardo rispetto all’implementazione di modelli di lavoro flessibile, compreso lo Smart Working. Tuttavia, è innegabile che da quando quest’innovazione, al contempo tecnologica, organizzativa e sociale, ha mosso i primi passi nel nostro Paese, il suo tasso di diffusione sembra procedere a ritmi ben più incoraggianti rispetto a quanto tempo addietro era avvenuto col telelavoro.  Complice non solo l’attuale contesto normativo-istituzionale, con una legge specifica che disciplina il lavoro agile, ma anche un mutato scenario socio-economico in cui l’agilità, al centro del paradigma Smart Working, è ormai riconosciuta come una leva di competitività per le imprese. Lo stesso accade per l’innovazione tecnologica. Al riguardo, infatti, è impensabile per tutte le organizzazioni, siano esse pubbliche o private, grandi o piccole, ignorare il progresso tecnologico e gli effetti che esso ha già prodotto sulla concezione del lavoro, che si permea di nuovi significati anche rispetto alla sfera esistenziale dell’individuo. Tuttavia, anche in base a dati forniti da varie ricerche, emerge che allo stato attuale sussiste, come spesso accade quando si parla di adozione di innovazioni, un forte divario tra le grandi e piccole imprese. Queste ultime, infatti, spesso non dispongono dei capitali necessari all’implementazione dello Smart Working, mancando al contempo di quel pool di competenze dedicate chiamate a costituirsi in team interdisciplinari fondamentali per la sua efficace implementazione. Al riguardo, tuttavia, è interessante evidenziare – come è emerso dal confronto diretto con alcuni imprenditori – che spesso le realtà più piccole, soprattutto start-up che operano nei settori della consulenza, dell’ICT o della creatività, adottano già un modo di lavorare in azienda fondato su principi quali flessibilità, autonomia e management by objectives che contraddistinguono il paradigma dello Smart Working. In questi casi la piccola dimensione, che spesso si accompagna a strutture organizzative piatte, poco formalizzate e burocratiche, diventa un fattore di vantaggio rispetto all’implementazione di questo nuovo approccio,, laddove le strutture e le pratiche organizzative riflettono una cultura manageriale più aperta al cambiamento.

Tommasina: In Italia, si è registrata recentemente un’inversione di rotta ed un cambiamento culturale importante nei confronti dei modelli di lavoro in remoto. Infatti, fino a poco tempo fa, questa modalità di lavoro era associata quasi esclusivamente al tradizionale telelavoro domiciliare, di fatto mai realmente decollato nel nostro Paese. Una delle spiegazioni è da ricercare in un impianto normativo piuttosto carente, che si limitava a prevedere che il telelavoratore venisse dotato di una postazione fissa per lo svolgimento del lavoro a casa; mancavano, invece, riferimenti normativi riguardo ad un più ampio spettro di tipologie di lavoro in remoto (es. lavoro mobile, team virtuali), incentrate sulla mobilità e flessibilità spazio-temporale e, dunque, sulla possibilità di sfruttare le tecnologie ICT per svolgere da qualsiasi luogo le attività assegnate. Alla luce di tali considerazioni, la recente disciplina del “lavoro agile” nell’ambito della legge n. 81/2017 (artt. 18-24) ha innescato un cambiamento culturale importante nel nostro paese secondo cui lo smart working, e più in generale le forme di lavoro flessibile, sono esplicitamente riconosciute e legittimate come una nuova modalità di svolgimento del lavoro i cui contenuti restano, tuttavia, immutati. Ciò ha favorito un crescente interesse ed una più ampia adozione dello smart working da parte di numerose organizzazioni comprese quelle che, di fatto, avevano già introdotto al loro interno programmi di smart working in maniera informale e talora inconsapevole. Inoltre, un’ulteriore spinta alla diffusione dello smart working deriverà senz’altro dall’applicazione della direttiva del Ministero della Funzione Pubblica n. 3/2017 che prevede l’estensione di queste nuove modalità di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione e rispetto alle quali si registrano già sperimentazioni e progetti pilota in diversi enti pubblici. Infine, il numero crescente di spazi collaborativi, tra cui co-working e smart work centers, saranno in grado di supportare ulteriormente il lavoro a distanza degli smart workers, come spazi di lavoro condiviso dove dipendenti pubblici e privati hanno a disposizione gli strumenti e tecnologie per lavorare a distanza dalla sede centrale. In via generale, è comunque importante rimarcare l’ampio spettro di modalità con cui le realtà italiane stanno attuando i programmi di smart working. Infatti, benché il paradigma dello smart working assuma una riprogettazione degli spazi (bricks), tecnologie (bytes) e comportamenti (behaviors), in molte organizzazioni risulta carente tale sforzo di riprogettazione complessiva ed integrato per cui il management si limita a consentire ai dipendenti di lavorare a distanza uno o più giorni alla settimana/mese, senza intervenire e dunque innovare il layout degli spazi fisici, sulle tecnologie in dotazione, sulle pratiche di gestione delle risorse umane. 

Quali credi siano i fattori critici di successo?

Luisa: Il successo, purtroppo, non si basa su una ricetta universale valida per tutte le aziende. Fattori di contesto della specifica realtà presa in esame influenzano in maniera significativa le traiettorie di sviluppo dell’innovazione e ne decretano perciò il successo o, al contrario, il fallimento. Tuttavia, come emerso da numerose ricerche sul tema condotte da altri studiosi ma anche da diverse ricerche field condotte personalmente in aziende che hanno adottato lo Smart Working, un adeguato supporto organizzativo gioca un ruolo di primo piano in un qualsiasi programma finalizzato alla sua implementazione. Come accade per qualsiasi processo di change management, anche nel caso dello [amazon_textlink asin=’8814222576′ text=’Smart Working’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’c7aa8bf5-fc22-11e7-b198-f767c6562624′] è fondamentale far fronte alle perplessità e timori che possono nascere tra i dipendenti, soprattutto quando il cambiamento, come accade ne caso specifico, può portare a una crisi di identità professionale, generare percezioni di discriminazione e ingiustizia organizzativa da parte degli smart worker o il timore che la ridotta visibilità possa compromettere il rapporto di fiducia con i propri capi ma anche con i propri colleghi. Un’efficace risposta, in tale direzione, può essere fornita ai propri dipendenti da parte dell’organizzazione non solo attraverso attività di comunicazione e formazione ad hoc, ma anche con l’offerta di un adeguato set di strumenti tecnologici funzionali per l’efficace svolgimento delle attività a distanza, inclusivi dei connessi servizi di formazione e assistenza tecnica. A fronte del carattere imprevedibile e della natura non lineare del processo di cambiamento è altresì fondamentale considerare il ruolo chiave svolto dai middle manager, dal momento che essi sono al contempo destinatari del cambiamento e esecutori delle decisioni strategiche dei propri responsabili senior. Ciò vuol dire che diventa fondamentale capire in che modo essi rispondono ai piani di cambiamento stabiliti in maniera top-down, dal momento che le loro aspettative e il loro comportamenti influenzeranno la traiettoria evolutiva e dunque il tasso di successo del programma di Smart Working che si intende implementare. In fase di implementazione, è auspicabile, ad esempio, che i responsabili siano essi stessi chiamati ad operare in modalità Smart Working e che utilizzino i canali a loro disposizione (es. telefono e meeting face-to-face) per instaurare e/o mantenere una relazione di fiducia con i singoli smart workers e supportarli rispetto allo svolgimento delle attività ed al raggiungimento degli obiettivi.

 Tommasina: A fronte di una pluralità di fattori rilevanti per gestire la complessità del cambiamento derivante dall’implementazione di programmi di smart working, occorre porre enfasi su una questione emersa come particolarmente rilevante dai casi condotti su imprese che adottano questi nuovi modelli di lavoro. Il riferimento è all’importanza di individuare adeguati sistemi di misurazione delle performance degli smart worker e relativa definizione di percorsi di carriera. Generalmente si ritiene che la principale preoccupazione degli smart workers sia la riduzione delle interazioni sociali con colleghi; l’indagine empirica ha, invece, evidenziato uno scenario più complesso secondo cui una delle principali perplessità degli smart workers attiene all’isolamento professionale, ossia al timore di penalizzazioni di carriera (in termini di benefit, assegnazioni di promozioni e responsabilità, ecc.) dovute alla non presenza e non visibilità al proprio responsabile. Al riguardo, pur riconoscendo l’importanza del [amazon_textlink asin=’0070513600′ text=’Management by Objectives (MbO)’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’d7c4b642-fc22-11e7-9347-23c96eabc567′] in contesti di smart working, ossia all’esercizio del controllo basato sull’assegnazione di obiettivi rispetto ai quali il lavoratore è autonomo circa le modalità di raggiungimento, è emerso come questo sistema di valutazione da solo non sia in grado di cogliere la complessità dello svolgimento del lavoro a distanza. Ad esempio, il Management by Objectives non tiene conto delle personalità individuali, ossia la circostanza per la quale non tutte le persone hanno la medesima capacità di autogestirsi ed auto-monitorarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi assegnati; al pari trascura di considerare che fattori esogeni, quindi non direttamente controllabili, potrebbero ostacolare l’attività e dunque il raggiungimento degli obiettivi da parte degli smart workers. Ne discende l’importanza di prestare attenzione ai sistemi di valutazione da adattare al contesto specifico dello smart working, considerando il contributo di leve informali, come la fiducia e l’empowerment, per allineare obiettivi individuali ed organizzativi.

Citami una best practice motivandola

Luisa: Recentemente ho avuto l’incredibile opportunità di visitare uno dei nuovi edifici di BNL Gruppo BNP Paribas a Roma, ed in particolare la sede ubicata nei pressi della stazione Tiburtina. Dal confronto con uno dei facility manager impegnato in prima linea nella gestione del cambiamento organizzativo, ho avuto modo di apprezzare il processo strutturato e l’approccio integrato adottato nel progetto SmartBank, fondato, sulla progettazione simultanea di tutte le leve dello Smart Working e nel quale, perciò, la Worplace Strategy è stata trattata come parte integrante di un programma di innovazione di più ampio respiro, molto attento anche alla sfera comportamentale, oltre  che a quella delle tecnologie abilitanti.  Al riguardo, è emersa una forte attenzione a far emergere le difficoltà sperimentate dai dipendenti nel dover affrontare il cambiamento ma anche la scelta deliberata di sperimentare lo Smart Working attraverso progetti pilota che hanno coinvolto in una prima fase proprio le figure professionali chiamate a progettare e gestire il cambiamento su più larga scala.

Inoltre, tra i numerosi elementi interessanti che sicuramente contribuiscono a renderla una best practice, ritengo importante sottolineare lo sforzo di riqualificazione dello spazio urbano associato alla realizzazione del nuovo edificio realizzato nei pressi della stazione Tiburtina. L’azienda ha dichiarato al riguardo l’intenzione a procedere in tale direzione, anche attraverso la costituzione di partnership con le autorità locali, affinché l’area circostante possa svilupparsi ulteriormente, attraverso un accresciuto livello di sicurezza nonché un maggior numero di servizi e attività, fruibili anche dai propri dipendenti.

Tommasina: A mio avviso, una best practice nell’implementazione dello smart working in Italia è rappresentata dalla società Microsoft. Al riguardo, ho visitato recentemente la nuova sede di Milano di cui ho avuto modo di apprezzare lo sforzo di progettazione degli spazi fisici, in termini di postazioni individuali negli open space, aree concentrazione, sale riunioni con differenziato livello di privacy, nonché le aree comuni organizzate con un angolo cucina ed un tavolo da ping pong per favorire lo svago e l’interazione informale. Al pari, è stato interessante constatare che la dotazione tecnologica associata allo smart working non si è limitata agli strumenti standard per lavorare a distanza (es. smartphone) ma è stata estesa per ricomprendere una serie di strumenti atti a favorire la collaborazione anche in prossimità fisica (es. lavagna interattiva). Infine, rispetto alla leva behavior, la responsabile ha sottolineato una maggiore enfasi sui risultati, la cui implicazione tangibile è data dall’eliminazione del cartellino e della macchina segnatempo, e l’accesso allo smart working (per ora) una volta la settimana per tutti i dipendenti, con l’unica eccezione di coloro che svolgono un tipo di attività che richiede reperibilità fisica.

Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?

Luisa: L’innovazione tecnologica sarà sicuramente il principale driver dei cambiamenti a cui assisteremo nel mondo del lavoro. Grazie a tecnologie sempre più pervasive, come il cloud, il social computing, i big data, mi aspetto che la flessibilità e la mobilità dei lavoratori aumenterà sempre di più e che le organizzazioni , di conseguenza, diventeranno sempre più virtuali. Un aspetto particolarmente importante da considerare è che i mutati pattern di uso della tecnologia da parte dei lavoratori produrranno degli effetti anche nei comportamenti individuali e nelle interazioni orizzontali e verticali, alterando i tradizionali assetti di potere, la distribuzione della conoscenza, il significato della “gerarchia” organizzativa. Al contempo la tecnologia contribuirà a rendere rapidamente obsolete le competenze e renderà la formazione continua un must imprescindibile, anche internamente alle organizzazioni. Infine, si accrescerà il divario esistente tra i giovani lavoratori ( i cosiddetti “millenials”) e quelli delle precedenti generazioni. Non ci si riferisce solo ad un gap di competenze tecnologiche da colmare. La scarsa familiarità e conoscenza delle nuove tecnologie spesso è il riflesso di una cultura diversa, che include una rigidità di pensiero e un’inerzia al cambiamento.

Tommasina: A mio avviso, il mondo del lavoro sta cambiamento rapidamente sia per i lavoratori, da cui ci aspetta un’enfasi sempre maggiore sulla responsabilizzazione ed all’autonomia, sia per i manager, il cui ruolo assume i profili del coach per gli smart workers.

 


 Luisa Errichiello

Ricercatore presso l’IRISS CNR, studia i processi di innovazione organizzativa nelle imprese di servizi e in particolare i modelli di lavoro flessibile abilitati dall’ICT.  Attraverso casi studio, ha analizzato le  trasformazioni organizzative dello smart working, approfondendo i cambiamenti nelle strutture di controllo, l’uso delle tecnologie, il ruolo degli spazi di coworking.  Al riguardo, è coordinatore in Italia del network internazionale “Research Group on Collaborative Spaces”. Le ricerche sul tema sono state presentate a convegni e workshop accademici e operativi e pubblicati su volumi e riviste internazionali e nazionali.

Tommasina Pianese

Assegnista di ricerca presso l’IRISS CNR. Si occupa di comprendere, attraverso casi aziendali, i cambiamenti organizzativi e manageriali derivanti dall’introduzione dello smart working. Si interessa di smart work centers ed è coordinatore in Italia del Research Group on Collaborative Spaces. Ha pubblicato contributi e partecipato a conferenze e workshop rivolti al mondo accademico, HR manager, consulenti aziendali e dirigenti.

Social recruiting – Intervista a Silvia Zanella

Come si svolge la giornata tipo di un recruiter 2.0, quali sono gli strumenti di cui si avvale, come collabora con gli altri dipartimenti, come costruisce e affina la propria strategia di personal ed employer branding… Silvia Zanella insieme con Anna Martini ha scritto un libro che è un manuale, ricco di esempi pratici, di interviste a direttori del personale e di spunti per mettersi subito al lavoro.

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La figura del recruiter sta cambiando. Il suo successo dipenderà sempre più dalla sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti. Questo libro è dedicato a chi, in azienda o all’interno di società di selezione o agenzie per il lavoro, vuole dare una risposta concreta a domande tipo: Come utilizzare LinkedIn e Facebook per venire a contatto con i profili professionali più interessanti? Ha senso sperimentare Snapchat o i video? Su quali competenze marketing è meglio puntare per essere selezionatori davvero efficaci? Quali leve usare per coinvolgere colleghi (attuali e futuri) nella comunicazione aziendale?

Ho intervistato Silvia:

Come sta cambiando la figura del recruiter?

La figura del recruiter è già cambiata, andando a integrare competenze tradizionali con quelle digitali. Non stiamo ovviamente parlando solo di skill informatiche, ma di una più ampia padronanza delle piattaforme online, dai motori di ricerca ai social network. Senza contare la familiarità con (ancora) piccole interazioni attraverso l’intelligenza artificiale.

Quanto conta la sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti?

Diventa essenziale, per filtrare meglio le candidature, venire a contatto con i profili passivi, crearsi una rete, fare leva sulla reputazione, mettere a frutto nuove occasioni di business, favorire la comunicazione interna. Quali sono le opportunità per le aziende e quali per i candidati? Ascoltare direttamente le persone, dare loro feedback, costruire relazioni.

Ed i rischi invece?

Non avere consapevolezza che tutto ciò che finisce online è sempre pubblico e potenzialmente lesivo della propria immagine.

Quali tool online ritieni indispensabili? Quali sono gli strumenti di cui si avvale un recruiter?

Siti e app di società di selezione accreditate, pagine aziendali (sia profili corporate sui social network, sia le sezioni “Lavora con noi”), connessioni dirette con candidati e recruiter.

Hai delle case history in positivo e negativo?

Le aziende hanno fatto passi in avanti straordinari e sono molto più attente che in passato. A me piace in particolare la strategia di employer branding di Cisco, Microsoft, Facebook. Passi falsi sono sempre in agguati. Dal lavoratore che parla male del proprio capo in post pubblici ad annunci di lavoro che riportano situazioni degradanti. Purtroppo entrambe le casistiche sono all’ordine del giorno. Per questo è essenziale discutere di questi temi, il social recruiting non è un argomento di nicchia ma riguarda potenzialmente tutti noi.

 
 

Silvia Zanella – Responsabile a livello globale del digital marketing per Adecco Group, società dedicata ai servizi per le Risorse Umane presente in oltre 60 Paesi nel mondo. Ha un grande interesse per il futuro del lavoro, digitale e non. Segue con attenzione le tendenze in ambito social media e HR 2.0 e ha un forte focus su innovazione, business social networking, social recruiting, recruiting marketing, employer e personal branding. Giornalista professionista, collabora con il Corriere.it per La Nuvola del Lavoro, il più importante blog italiano sui temi del lavoro. È inoltre autrice di Social Recruiter (Franco Angeli, 2017) e della Guida al Lavoro (Mondadori).

Non più big data, ecco le nuove sfide nella gestione dei dati

Irion: 5 previsioni per la data management nel 2018

La software house stila una lista di temi caldi: l’adeguamento al GDPR, la Data Preparation, la misurazione della qualità, la facilità di accesso ai dati e la formazione degli ‘Ingegneri dei dati’

 

Con il nuovo anno iniziato da pochi giorni, Irion, software house italiana specializzata nell’Enterprise Data Management, ha stilato una lista dei trend nella gestione dei dati, di cui sentiremo sicuramente parlare nei prossimi 12 mesi. Partendo da una premessa: la discussione sui Big Data non sarà più all’ordine del giorno, poiché ormai è data per assodata, con le aziende consapevoli dell’enorme mole di dati di cui dispongono. Il vero problema è capire cosa (e chi) serve per proteggerli e sfruttarli al meglio, traendo massimo valore e vantaggio competitivo e rispettando i requisiti normativi.

 

Il solito (ig)noto [amazon_textlink asin=’8890341912′ text=’GDPR.’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’0116c0f4-f9d8-11e7-9333-3dffe7c37bb0′] Il 2018 sarà l’anno dell’applicazione del GDPR, che entrerà in vigore – senza se e senza ma – il 25 maggio. Un tema caldo già nel 2017, vista la portata del regolamento, che impone, alle aziende residenti nell’UE o che gestiscono dati di persone residenti nell’UE, la revisione dell’assetto tecnico e organizzativo per adottare le adeguate misure di Data Protection. Sebbene se ne sia molto parlato, buona parte delle aziende sembra non aver compreso a pieno i requisiti necessari e, soprattutto, ha fatto poco o nulla per adempiervi. Nei primi mesi del 2018 dovranno necessariamente prenderne atto, e correre in fretta ai ripari.

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La Data Preparation. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Proprio per questo, e per evitare il fenomeno noto come “Garbage In, Garbage Out”, la Data Preparation, ovvero, a monte delle analytics, l’atto di predisposizione o pre-processing di dati grezzi e/o provenienti da fonti differenti, e conseguente traduzione in un formato condiviso, riveste e rivestirà sempre di più un ruolo fondamentale in ogni strategia di gestione dei dati.

 

Come misurare la qualità. Un’altra questione su cui si tornerà a ragionare nei mesi a venire, relativamente alla Data Management, è quella relativa alla misurazione della qualità: essenziale infatti sviluppare un metodo puntuale, preciso e condiviso.

 

Rendere facile l’accesso ai dati. Uno dei temi sempre più caldi è quello di rendere accessibile in modo semplice la gran massa di dati disponibile, evitando di impantanarsi in “laghi” che si trasformano rapidamente in “paludi”… In questo senso la disponibilità di una piattaforma in grado di pubblicare in modo organizzato e fruibile per gli obiettivi del destinatario è un fattore di successo.

 

Ingegneri dei dati cercasi. Si parla molto di Data Science e di Data Scientist, ma è arrivato il momento di passare a un livello successivo, ovvero all’Ingegneria dei dati. Tra la formazione accademica e le esigenze del mondo del lavoro resta infatti un divario troppo ampio, ed è necessario agire per colmarlo. Attualmente ci sono molti percorsi di ingegneria, ma nessuno dedicato ai dati: eppure i Data Engineer sono figure professionali sempre più appetibili e strategiche per le aziende.

 

“In generale, gestire e interpretare con precisione i dati di cui si dispone è essenziale per le aziende, in quanto crea un vantaggio concreto sulla concorrenza. Inoltre, nel 2018, la data management sarà ancora più cruciale per qualsiasi business, in un contesto di continuo aggiornamento normativo come quello attuale, con l’entrata in vigore del GDPR e le direttive verticali sui settori” ha dichiarato Alberto Scavino, CEO di Irion. 

Indagine sulle abitudini di scelta delle password

Password deboli e facili da ricordare vs password complesse e meno semplici da memorizzare

Gli utenti accedono quotidianamente ai propri account online per trasferire denaro dai propri conti bancari, fare shopping, consultare il meteo o prenotare un taxi. Purtroppo spesso succede di non riuscire ad effettuare l’accesso perché è stata dimenticata la password e in alcuni casi questo può creare diversi problemi. Da una ricerca di Kaspersky Lab è emerso il “dilemma” di fronte al quale si trovano gli utenti nel momento in cui devono decidere la password per proteggere i propri account online.

Oggi la dipendenza dagli account online è sempre più forte e dall’indagine di Kaspersky Lab è emerso che gli utenti, quando devono scegliere le password per proteggerli, si trovano sempre più frequentemente di fronte ad un dilemma. Alcuni utilizzano password forti e diverse per ciascun account per evitare che vengano hackerati, ma rischiano di dimenticarle quando servono. Altri scelgono invece password facili da ricordare che però rendono più semplici anche i tentativi di violazione degli account da parte dei criminali informatici.

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 Password complesse e difficili da ricordare

Secondo la ricerca di Kaspersky Lab, sono molti gli utenti che comprendono la necessità di avere password sicure per i propri account. Infatti, quando è stato chiesto agli intervistati per quali account online utilizzassero password più efficaci, il 63% ha risposto per i conti bancari online, il 42% per le applicazioni di pagamento tra cui e-wallet mentre il 41% per gli acquisti online.

Tuttavia, non è semplice ricordare password complesse e diverse tra loro e questo rende molto più probabile la possibilità che gli utenti le dimentichino e non riescano più ad accedere ai propri account. Due utenti su cinque (38%) non riescono a ripristinare rapidamente le password dei propri account online personali dopo averle perse. Questo può suscitare frustrazione o stress perché non consente all’utente di svolgere le normali attività.

Quando si tratta di archiviare le password, la metà degli intervistati (51%) ha dichiarato di memorizzare le password in modo poco sicuro, il 23% le scrive addirittura su un blocco note per non doverle ricordare, il che mette a rischio anche la loro sicurezza.

Password deboli e facili da decifrare

Per evitare la frustrazione di dover ricordare password troppo lunghe, alcune persone stanno sviluppando abitudini poco sicure. Ad esempio, il 10% usa una sola password per tutti gli account perché è più semplice e non rischia di dimenticarla. Questo fino a quando un criminale informatico non riesce a identificare la password e a bloccare gli accessi ad ogni account in un colpo solo.

Infatti, negli ultimi 12 mesi, il 17% degli intervistati ha dovuto fronteggiare la violazione (o il tentativo di violazione) del proprio account. Gli account di posta elettronica sono quelli presi di mira più frequentemente (41%), seguiti da social media (37%), conti bancari (18%) e account per gli acquisti online (18%).

Per il “dilemma” relativo alle password esiste una terza opzione

Secondo Kaspersky Lab, gli utenti non devono necessariamente limitarsi a due sole opzioni per rispondere al “dilemma” della password. Non è necessario scendere a compromessi, come spiega Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab: “Se le persone potessero usufruire di password sicure e facili da ricordare, non solo sarebbero in grado di accedere a tutto ciò di cui hanno bisogno ogni volta che serve, ma potrebbero anche proteggere dai criminali informatici tutte le informazioni contenute all’interno degli account. Questo è importante per gli utenti che vogliono sentirsi sicuri senza troppe complicazioni e vivere la propria vita digitale senza rivelare le proprie informazioni a hacker o criminali.

Ma ricordare password sicure è difficile, il che significa che gli utenti si trovano quotidianamente in situazioni in cui dimenticano password complesse o creano password semplici da ricordare ma anche da hackerare. Esiste però una terza opzione che può aiutare gli utenti a risolvere questo dilemma: utilizzare una soluzione di gestione delle password che consenta di avere password complesse, senza la necessità di scriverle sui blocchi note o di ricordare complesse stringhe di parole e caratteri speciali”.

Per aiutare gli utenti a controllare la propria identità online, Kaspersky Password Manager memorizza tutte le password dell’utente in una “cassaforte” sicura. Sarà necessario ricordare solo una password principale che consente l’accesso a tutti gli account e non si dovrà più temere che l’accesso venga impedito da un motivo qualsiasi. Tramite l’account gratuito My Kaspersky, gli utenti possono accedere alle proprie password tramite diversi dispositivi, in qualsiasi momento o luogo, mantenendo gli account e le informazioni preziose al sicuro con un accesso disponibile solo all’utente. La funzione automatica del generatore di password aiuta anche a creare password sicure, eliminando il problema per gli utenti ma rendendo le cose più difficili ai criminali informatici.

Ulteriori informazioni su come i prodotti Kaspersky Lab possono aiutare gli utenti a mantenere il controllo dei propri account online, sono disponibili su https://www.kaspersky.com/home-security

Vesuvius Valley, suggestione o realtà?

Negli ultimi anni, occupandomi di innovazione,  spesso mi sono imbattuto in questa tematica.

A volte era solo una provocazione, a volte un sogno di tanti giovani startuppers, a volte una triste speculazione politica.

Qual è la verità?

Stefano De Falco analizza nel suo libro Vesuvius Valley: Perché Napoli è la città più innovativa al mondo!?’  

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le potenzialità di innovazione e miglioramento del capoluogo partenopeo giocando sul parallelismo con la Silicon Valley californiana, culla mondiale dello sviluppo tecnologico, e la mela della Apple di Cupertino cede il posto come simbolo di innovazione alla mela annurca dei mercati del Borgo di Sant’Antonio Abate.

Il libro dimostra come Napoli sia potenzialmente la città più innovativa al mondo e lo fa partendo dal [amazon_textlink asin=’8804518065′ text=’teorema di Richard Florida’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’4d182234-f6b5-11e7-89d2-45396d1ddb6a’]: secondo lo studioso americano la creatività, la vivacità e il multiculturalismo si pongono alla base dell’innovazione e dello sviluppo locale. La città di Napoli, secondo questa prospettiva, sarebbe un terreno fertile per la crescita innovativa, forse più di qualsiasi altro posto al mondo.

Personalmente ne sono convinto ma ahimè credo che dovremmo finire di dirci che siamo belli e che siamo bravi e dovremmo invece iniziare con i fatti a dimostrarlo…step by step…così come ad esmepio sta facendo la Federico II con la Apple Academy…più fatti e meno proclami.

E perchè no una volta tanto remare tutti dalla stessa parte.

Di seguito l’intervista a Stefano che spero serva come spunto di discussione.

Iniziamo dalla domanda che poni, Napoli è o non è una delle città più innovative?Tu spingi il lettore a farsi la “sua” opinione, ma tu cosa pensi?

Il titolo del testo in realtà era più serio (non che questo non ,o sia come spiegherò tra un attimo) ed era legato ad una piega più scientifica e meno divulgativa, poi l’incontro con il mio amico e vulcanico editore Amedeo Colella (ex ricercatore informatico ed ora esperto di folclore napoletano) ha cambiato le cose.

Di fatto non è che io non abbia una opinione, ma per l’interrogativo posto dal titolo del testo è Protagora (mi riferisco al film di Bellavista piuttosto che ad una citazione aulica del filosofo!) che ci ricorda la soggettività necessaria di certe risposte. D’altra parte la doppia punteggiatura finale, esclamativo ed interrogativo allo stesso tempo ribadisce la natura sibillina della provocazione.

La mia opinione è che se volessi argomentare scientificamente la risposta e dunque riferirmi a metriche codificate, dovrei iniziare a scindere il tema della innovazione cosiddetta statica (capacità di trasformare il reddito in benessere) da quella dinamica (capacità di generare innovazione e investimenti) per poi ammettere che sicuramente Napoli non è la città più innovativa al mondo.

Tuttavia, ritengo che Napoli porti con se un germe di attività innovative legate alla sua dinamicità, poliedricità, alla sua mistura sociale, che da questo punto di vista la rendono si in grado di primeggiare a livello mondiale.

Il leitmotiv resta sempre quello, tanta energia potenziale che deve diventare energia cinetica di movimento, dove per movimento intendo proprio quello della innovazione dinamica, ossia attività e investimenti in risorse umane e infrastrutturali con orizzonte di almeno medio periodo.

Negli ultimi mesi grazie sopratutto all’arrivo della Apple Academy si è ripartiti con il sogno di Napoli culla dell’innovazione, non credi che però manchi ancora qualcosa?Tu che ricetta hai?

Capire se Tim Cook abbia scelto proprio Napoli come sede della iOS Academy perché città con DNA innovativo o se essa diventerà una città innovativa grazie alla Apple, significa rispondere ad un paradigma che da secoli attanaglia il dibattito scientifico sul rapporto tra uomo e ambiente e di recente sulla relativa declinazione alla innovazione territoriale.

Rapporto tra uomo e territorio che è stato visto in due modi antitetici, quello del determinismo geografico, di genesi scientifica tedesca, secondo cui i caratteri distintivi e peculiari di una società sono frutto di un’influenza ambientale e quello del possibilismo geografico, di matrice francese, secondo cui l’uomo sviluppa un dato genere di vita sì in rapporto all’ambiente, ma non a causa dell’ambiente in cui vive, manifestando in tal modo una sua possibilità di scelta (da cui deriva il termine possibilismo individuato da Lucian Febvre nel 1949, nella sua opera La Terre et l’evolution humaine), scelta che rimanda a quello slancio vitale che Bergson predicava come antidoto alle necessità imposte dalla Natura.

Detto questo, la mia opinione (non oso parlare di ricetta di questi tempi dove sono ormai tutti chef!) è che per la canalizzazione di tutte le energie positive sotto la bellissima, vivida, dinamica, ricchissima di passato glorioso, valle del Vesuvio, occorra agire in termini progettuali e non attraverso azioni spot a macchia di leopardo frastagliate sia nel dominio dello spazio che in quello del tempo. Serve una progettualità in cui, alla stregua del modello determinista di cui si accennava, si operi in termini causali e non casuali, cioè attraverso virtuosi paradigmi di causa-effetto tra fondi di investimento e azioni sul territorio. Per fare un esempio con la fisica, non si può più ragionare in termini particellari ma in quelli di campo, ossia implementando progetti urbani nei quali le azioni relative all’efficientamento dei servizi pubblici locali, ai piani urbanistici, ai PIU, i piani urbani della innovazione e smart city, alla integrazione delle università e degli enti di ricerca con il territorio di riferimento, alle azioni per lo sviluppo del turismo e anche alle ZES, le [amazon_textlink asin=’8899304955′ text=’Zone Economiche Speciali’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’95a5168d-f6b4-11e7-a8c2-1b5c0ca9f7b6′] che stanno esplodendo, siano tutte integrate in un unico disegno che le coordini e mutuamente valorizzi in modo sinergico. Gli stakeholders necessari ad una tale progettualità ovviamente sono tantissimi, ma in questo territorio non mancano, a mancare è la regia che dovrebbe coordinarli.

Se tu potessi decidere su cosa investire quale settore sceglieresti e perchè?

La bussola delle scelte deve essere sempre mossa dalle attitudini e aspirazioni individuali perché ogni forzatura verso il business momentaneamente più appealing non può che rivelarsi controproducente.

Per chi ha passione in primis e necessariamente preparazione per le nuove tecnologie, sicuramente il settore della robotica, della stampa digitale, del cosiddetto advanced manufacturing, in piena compliance con la rivoluzione 4.0, è una fucina di opportunità sia per tecnologici che per artisti d’avanguardia e artigiani che coniugano tradizione e innovazione.

Per chi ha più spirito imprenditoriale il settore dello street food potrebbe rivelarsi molto indicato.

Ma i settori nei quali ricercare opportunità sono tantissimi, come anche quelli relativi ai temi dell’ambiente, sempre attuale, delle nanotecnologie, dell’agricoltura evoluta in ottica 4.0, l’importante è acquisire un know how differenziale rispetto ai competitors di settore e a tal fine aiuta tantissimo fare esperienze in posti del pianeta nei quali il livello di conoscenza e applicazione di un certo tema è più sviluppato che in altri. Quindi partire per tornare più preparati, non partire come cervelli in fuga!

Nel tuo libro analizzi molti luoghi comuni o personaggi famosi…..raccontaci qualcosa?

In sincerità, potrebbe sembrare retorica spicciola, ma veramente trovo idee geniali quotidiane in personaggi anonimi piuttosto che in nomi noti che certamente hanno illuminato scienza e territorio ma che poi a furia di leggerli su articoli scientifici, vederli in convegni, nei giornali, ti sembrano troppo noti ed è nell’indole umana il fatto di perdere adrenalina per ciò che si conosce troppo.

Detto questo è chiaro che anche solo un caffè con qualcuno delle menti geniali che il nostro territorio offre rappresenta un’apertura di orizzonti incredibile.

Per fortuna se citassi già solo le eccellenze, native napoletane, che mi vengono in mente, dovrei scrivere un elenco lunghissimo.

Ma per concludere con un aneddoto, vorrei citare si una mente più che geniale, una eccellenza napoletana di caratura mondiale, un amico, ma soprattutto un tifoso del Napoli come pochissimi, Bruno Siciliano. Vabbeh lo si sa, è inutile che lo dica, professore di robotica, visiting di centinaia di università nel mondo e autore di un handbook sulla robotica tradotto in decine di lingue in tutto il mondo. L’aneddoto è relativo ad un fatto semplice ma emblematico della persona: mi aveva promesso, e ne era anche compiaciuto, di partecipare ad un incontro in una libreria per la presentazione del mio libro e mentre era in un importantissimo incontro universitario con il Rettore ed altre personalità, ha chiesto a un certo punto spostare l’ordine degli interventi per anticipare il suo e poi con la sua vespa ha raggiunto in tempo la libreria estasiando gli astanti con i suoi racconti che oscillavano tra applicazioni di robotica chirurgica avanzatissima, a sue attività a Stanford, fino ad aneddoti sul suo cameo nel film su Maradona.

E questa è Napoli! L’innovazione non è giacobina! Non va separata la Napoli folcloristica da quella scientifica. Ragionare in termini di campo, non di particelle!

Credi che Napoli e i Napoletani siano davvero consci del potenziale della nostra Città?

Molti dei punti a favore in questa intervista sono stati tracciati a favore della valle vesuviana (con buona pace del sociologo De Masi che non è proprio della stessa convinzione), però va detto che i napoletani hanno anche tante colpe e il tema della consapevolezza e soprattutto della fase post-consapevolezza, ossia quella della reazione né un esempio.

La resilienza senza reazione è un paradigma di sola sofferenza senza speranza e il tema della sofferenza, a mio parere, è già stato ampiamente impiegato con ottimi risultati nella teatralità e nella commedia dell’arte da Eduardo e Totò in poi, ma con pessimi risultati a livello sociale.

Ogni rivoluzione è un atto d’amore diceva Silvio Pellico nella Mie Prigioni e allora visto che il napoletano è un uomo d’amore (non di libertà per ri-citare il [amazon_textlink asin=’B01HHIN05Y’ text=’prof. Bellavista di Luciano De Crecsenzo’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’02f678e1-f6b5-11e7-ae7c-75722dde1e2f’]) sia innovativo rivoluzionando questa sofferenza passiva!

 


Stefano de Falco

Ingegnere, Dottore di Ricerca in Ingegneria Elettrotecnica, si è sempre occupato di geografia della innovazione come rapporto tra tecnologia e territorio.

Insegna Geografia della Innovazione Urbana all’Università Federico II di Napoli, dove è anche Direttore dell’IRGIT, Istituto di Ricerca sulla Geografia della Innovazione Territoriale. Inoltre è Presidente della AICTT, Associazione Italiana Cultura per il Trasferimento Tecnologico, con cui ha lanciato, di recente, alla presenza della vice-ministra Bellanova, la prima norma italiana per la certificazione della innovazione territoriale.

E’ autore di numerosi testi con le principali case editrici italiane e di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali.

Lenovo | CES 2018 | Dai tascabili ai PC alla casa smart

 

 

Dai tascabili ai PC alla casa smart:
la gamma Lenovo per il CES 2018 migliora la realtà

 

I dispositivi Lenovo danno nuova forma al futuro grazie a AI/AR/VR, tecnologie intelligenti e partnership prestigiose

Al CES 2018, Lenovo ha delineato la propria visione di quelle che saranno le innovazioni tecnologiche del 2018 – un portfolio di nuovi dispositivi intelligenti che mirano a rendere migliore la realtà, dalla tasca al PC alla casa.

Motorola aggiunge all’ecosistema moto mods due nuovi mod realizzati da sviluppatori del proprio ecosistema aperto.

Anche la realtà virtuale (VR) migliora ulteriormente, con una nuova visione della fruizione e della creazione di realtà virtuale. Il visore Lenovo Mirage™ Solo con Daydream™ offre un modo tra i più semplici oggi disponibili per esplorare le esperienze di VR. Il visore ha un formato standalone (ndr, senza bisogno di PC o smartphone “di appoggio”) quindi autonomo e di semplice uso. La camera Lenovo Mirage con Daydream potrà essere utilizzata per catturare i momenti più memorabili e riviverli in 3D attraverso il visore. Anche i professionisti potranno trasformare il proprio lavoro grazie alla realtà aumentata (AR) con gli occhiali Lenovo C220 Smart Glass. Questo hardware AR monoculare, leggero e utilizzabile senza mani, impiega le funzionalità dello smartphone per aumentare le operazioni di servizio o manutenzione di apparati meccanici o elettrici, formazione e altro ancora.

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A casa poi è possibile avere un’esperienza tecnologica personalizzata e condivisa attraverso il Lenovo Smart Display con Google Assistant™ integrato. Lenovo ha anche potenziato i propri laptop: il Miix 630 2-in-1 always-on e sempre connesso offre la mobilità di uno smartphone con LTE2 e fino a 20 ore di riproduzione video in locale3 con tutte le prestazioni e la produttività che ci si possono aspettare da un PC con Windows® 10 S. Anche ThinkPad rinnova la propria offerta professionale con una linea X1 migliorata e con innovazioni orientate al cliente nelle serie X, T e L. Gli utenti avranno inoltre una modalità semplificata per migrare file e impostazioni da un PC a un altro, per identificare le reti Wi-Fi sicure e per ottenere diagnostica e supporto attraverso una singola app con Lenovo Vantage, fornito sui PC Windows 10.

 

Il meglio della collaborazione: nuovi moto mods e una sfida fra sviluppatori con Indiegogo

 

Motorola ha incrementato l’ecosistema dei moto mods con due nuovi mod realizzati da sviluppatori.

 

Il “Vital Moto Mod” presenta sensori di tecnologia avanzata che consentono di misurare con facilità i cinque segni vitali di una persona attraverso un unico dispositivo integrato delle dimensioni di un moto mod. In combinazione con un moto z sarà possibile misurare le pulsazioni cardiache, la frequenza respiratoria, il tasso di ossigenazione del sangue, la temperatura corporea e – per la prima volta – un’accurata valutazione della pressione sanguigna sistolica e diastolica, da un dito.

 

Premiato alla “Transform the Smartphone Challenge 2017” organizzata con Indiegogo, il Moto Mod “Livermorium Slider Keyboard” fornisce una tastiera QWERTY completa e consente di inclinare il display del moto z fino a 60°, per tutte quelle occasioni in cui lo schermo touch non è la soluzione migliore per le esigenze di scrittura dell’utente. Per gli sviluppatori ispirati dalla piattaforma moto mods, Motorola e Indiegogo hanno inoltre rilanciato la “Transform the Smartphone Challenge”, offrendo nuove opportunità per portare grandi idee sul mercato.

 

Insieme è meglio: Lenovo Mirage Solo + Lenovo Mirage Camera con DayDream

 

La realtà virtuale si crea in modo differente con il visore VR Mirage Solo e la camera Mirage VR180 di Lenovo, che consente al grande pubblico di provare e creare contenuti VR in modo incredibilmente semplice.

 

Senza cavi, PC e smartphone con il comfort e la semplicità del primo visore Daydream standalone, Lenovo Mirage Solo offre una delle prime esperienze immersive con la tecnologia di tracciamento del movimento WorldSense™ sulla piattaforma di realtà virtuale Google Daydream. Utilizzando WorldSense è possibile muoversi nello spazio virtuale con la naturalezza del mondo reale. Basato sulla piattaforma Qualcomm® Snapdragon™ 835 VR, Lenovo Mirage Solo offre esperienze immersive di alta qualità. È possibile rendere i giochi ancora più realistici con il controller Daydream wireless – che può diventare mazza da baseball, volante o qualsiasi cosa si adatti alla app scelta.

 

Oggi tutti gli appassionati di VR possono creare i propri contenuti e vivere momenti unici grazie alla Lenovo Mirage Camera con Daydream. Questa camera tascabile semplifica la tecnologia necessaria per catturare immagini in 3D e video grazie al sensore da 13MP e al doppio fisheye con un angolo di campo di 180° + 180°. Lenovo ha progettato gli strumenti per rendere i contenuti di VR accessibili e divertenti al grande pubblico. Le immagini e i video della Lenovo Mirage Camera possono essere caricati sugli account Google Photos™ e YouTube™ degli utenti e condivisi o visualizzati tramite un visore Mirage Solo con Daydream o su altri visori VR. Il dispositivo è basato sulla piattaforma Qualcomm Connected Camera® che presenta una doppia camera di alta qualità, Wi-Fi integrato e, nella versione LTE, il modem cellulare X9 LTE.

 

La soluzione New Glass C220 unisce l’apprendimento attraverso intelligenza artificiale e la realtà aumentata

 

Il sistema Lenovo New Glass C220 consiste in una unità Glass e Pocket e riconosce gli oggetti reali attraverso tecnologie di intelligenza artificiale. L’unità Glass, del peso di 60g, è basata su Android. Il sistema funziona percependo la realtà aumentata con un occhio, mentre l’altro vede il mondo reale. La app LNV (AH Cloud) può essere scaricata sul dispositivo smart, dopodiché si può collegare l’unità pocket allo smartphone. Il nuovo Glass C220 si applica a diversi scenari lavorativi e di apprendimento, dalla raccolta di informazioni nel campo visivo, all’impartire istruzioni passo per passo per le riparazioni, all’identificazione di equipaggiamento fuori uso e alla risoluzione di problemi in collaborazione con colleghi che lavorano da remoto, il tutto mantenendo libere le mani. Il New Glass C220 è un terminale AR indossabile che presenta funzioni antirumore, capacità di calcolo mobile, mod personalizzate e altro.

 

Lenovo NBD AH Cloud 2.0 è una piattaforma aziendale SaaS basata su tecnologie di realtà aumentata, intelligenza artificiale e big data. Può migliorare la consapevolezza e la capacità lavorativa del personale sul campo e si conforma al concetto di Augmented Human, che la rende ideale per le operazioni di manutenzione industriale in remoto, ordinazione e spedizione intelligente, diagnosi in 3D, turismo intelligente e altri campi. Il sistema di comunicazione video è basato sulla tecnologia Kepler, che comprende video “one-to-many”, in ricezione e trasmissione; il sistema di gestione del flusso di lavoro si basa sulla tecnologia Titan, con cui l’utente può creare e modificare progetti anche senza conoscenze di programmazione, e il sistema di rilevazione intelligente, basato su tecnologie Martin, può effettuare rilevazioni in tempo reale di molteplici oggetti simultaneamente, dopo essere stato istruito per mezzo di immagini.

 

Iniziare e concludere le giornate al meglio con Lenovo Smart Display

 

Lenovo Smart Display con Google Assistant integrato rende più comodo, intuitivo e condiviso l’uso della tecnologia in casa. Può diventare la centrale di controllo per i dispositivi smart domestici connessi, quali illuminazione e riscaldamento e altre applicazioni – controllate a voce o con un tocco. È inoltre possibile usare Google Assistant per ottenere indicazioni su Google Maps™, guardare video su YouTube, videochiamare gli amici con Google Duo™, ascoltare musica e altro. Lenovo Smart Display è disponibile con display da 8 o 10 pollici ed è basato sulla piattaforma Qualcomm® Home Hub.

 

Sempre accesi, sempre connessi con Miix 630

 

Lenovo porta la mobilità dei PC a un nuovo livello con il Miix 630. Questo detachable 2-in-1 ridefinisce gli standard di ciò che un laptop può fare. Offre la flessibilità e la produttività di un laptop Windows 10 S unite alla disponibilità always-on e alla connessione di uno smartphone. Al posto del Wi-Fi, la connettività può avvenire attraverso LTE 4G2 veloce e fino a 20 ore di riproduzione video in locale2. Basato su piattaforma Qualcomm Snapdragon 835 mobile Mobile PC, il Miix 630 è spesso 15,5 mm e pesa 1,33 kg. Dotato di Cortana® attraverso Windows 10 S, consente di usare la voce per accedere al proprio assistente personale digitale e di utilizzare il riconoscimento facciale biometrico Windows Hello™ per un login comodo e sicuro.

 

ThinkPad sempre più reattivo e connesso

 

Il brand ThinkPad continua a rappresentare il punto di riferimento per i laptop aziendali. Lenovo aggiunge innovazioni nei display, nella privacy e nella connettività di tutta la famiglia ThinkPad X1 per rispondere alle esigenze di ambienti di lavoro in continua mutazione. L’X1 Tablet ha ora un formato 13 pollici con display 3K e connettività LTE-A opzionale. Sui ThinkPad X1 Carbon e X1 Yoga è installata Amazon Alexa ed è presente un display che supporta Dolby Vision HDR3, oltre alla copertura fisica della webcam ThinkShutter Camera Privacy. Sono inoltre disponibili modelli touchscreen dell’X1 Carbon, che rendono il laptop aziendale da 14 pollici più leggero al mondo ancora più esclusivo, con in più fino a 15 ore di durata della batteria.

 

Anche i ThinkPad X280, X380 Yoga, T480, T480s, T580, L380, L380 Yoga, L480, L580 sono stati aggiornati.  In particolare l’X280, il PC dell’utente sempre in movimento, pesa ora solo 1,2 kg mentre il T480 ha una docking laterale, camera a infrarossi, connettività LTE-A globale e un’incredibile durata della batteria di 27 ore4. Il ThinkPad T480s riunisce alte prestazioni e leggerezza record per la categoria, mentre il T580 ha una memoria più rapida, storage doppio e nuove soluzioni di docking per una potenza senza compromessi.

 

Quando si lavora in sede, la nuova docking station Lenovo Thunderbolt™ 3 Graphics consente di collegarsi simultaneamente a tre display 4K con PC Lenovo selezionati6 per ottenere una visione panoramica, un aumento delle prestazioni con grafica discreta e la ricarica della batteria. L’esperienza d’uso del PC può essere migliorata collegando l’IdeaPad™ 720S con un visore immersivo Lenovo Explorer per Windows Mixed Reality7 attraverso il dock grafico per giocare in realtà virtuale, viaggiare per il mondo con gli holo-tour e molto altro ancora.

 

Prezzi e disponibilità

 

Informazioni su prezzi e disponibilità sono disponibili su: http://news.lenovo.com/CES2018

 

1Richiede un piano dati specifico da acquistare separatamente che potrà variare di Paese in Paese. Le velocità di connessione possono variare in funzione della località, dell’ambiente o delle condizioni della rete.

2Fino a 20 ore basate sul playback di video locali; richiede unità configurate con Qualcomm Snapdragon 835 SoC, 4gb RAM, 128gb di storage UFS. Durata della batteria testata utilizzando playback video FHD continuo, risoluzione 1080p (1920×1080), luminosità 150 nits, livello audio al 17%, audio del player al 100%, visualizzato full screen da storage locale, cuffia collegata, wireless acceso ma non connesso. Tutte le indicazioni di durata della batteria sono approssimate. Le effettive prestazioni della batteria possono variare e dipendono da numerose variabili. La capacità massima della batteria diminuirà naturalmente con il tempo e l’uso.

3Dolby Vision sarà reso disponibile in un aggiornamento software futuro.

4Misurato con BAPCo MobileMark 2014.

5Lenovo Thunderbolt 3 Graphics Dock è compatibile con l’IdeaPad 720S con processore Intel Core di ottava generazione.

6IdeaPad 720S e il visore immersivo Lenovo Explorer per Windows Mixed Reality sono commercializzati separatamente.

Kaspersky Lab commenta le vulnerabilità nei chip Intel

Ido Naor, Senior Security Researcher, GReAT di Kaspersky Lab, in merito alle vulnerabilità nei chip Intel.

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“Sono state scoperte due gravi vulnerabilità nei chip Intel, che potrebbero consentire agli aggressori di sottrarre informazioni sensibili dalle app accedendo alla memoria principale. La prima vulnerabilità, Meltdown può efficacemente rimuovere la barriera tra le applicazioni utente e le parti sensibili del sistema operativo. La seconda vulnerabilità, Spectre, che si trova anche nei chip AMD e ARM, può indurre le applicazioni vulnerabili a perdere il contenuto della memoria.

 Le applicazioni installate su un dispositivo funzionano generalmente in modalità utente, lontano dalle parti più sensibili del sistema operativo.  Se un’applicazione ha bisogno di accedere a un’area sensibile, ad esempio il disco, la rete o l’unità di elaborazione sottostante, deve chiedere l’autorizzazione per utilizzare la “modalità protetta”. Nel caso di Meltdown, un aggressore potrebbe accedere alla modalità protetta e alla memoria principale senza bisogno di autorizzazione, eliminando in modo efficace la barriera e consentendogli di sottrarre potenzialmente i dati dalla memoria delle app in esecuzione, come ad esempio i dati provenienti da gestori di password, browser, e-mail, foto e documenti.

 Poiché si tratta di bug hardware, trovare la patch è complesso. Per Linux, Windows e OS X sono state emesse patch contro Meltdown e si sta lavorando per rafforzare il software contro lo sfruttamento futuro di Spectre. Google ha pubblicato ulteriori informazioni qui. È fondamentale che gli utenti installino immediatamente le patch disponibili. Ci vorrà del tempo perché gli aggressori capiscano come sfruttare le vulnerabilità – fornendo una piccola ma importante “finestra” di protezione”, Ido Naor, Senior Security Researcher, GReAT di Kaspersky Lab.

Amazon.it svela i gusti letterari e musicali degli italiani nel 2017 

Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie di Francesca Cavallo ha sbancato la classifica dei libri mentre Oh Vita! di Jovanotti è l’album più acquistato:a pochi giorni dalla fine del 2017, Amazon svela le preferenze degli italiani attraverso i libri e i dischi più venduti negli ultimi 12 mesi su Amazon.it.

Un anno di novità letterarie e musicali giunge al termine e Amazon traccia lo scenario dei gusti degli italiani attraverso le classifiche dei libri e degli album più venduti su Amazon.it nel 2017.

Nella classifica dei 10 libri più venduti nel 2017 a farla da padrone sono soprattutto titoli italiani, romanzi d’amore e volumi dedicati al cibo e al benessere, ma anche  grandi classici per adulti e bambini come Il Piccolo Principe. Non mancano i sequel di saghe di successo che hanno tenuto incollati alle pagine migliaia di lettori in tutto il mondo, come nel caso di Origin di Dan Brown. Ecco la classificacompleta:

  1. Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie. Ediz. a colori – Francesca Cavallo, Elena Favilli
  2. Origin – Dan Brown
  3. L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita – Alessandro D’Avenia
  4. Le otto montagne – Paolo Cognetti
  5. E allora baciami – Roberto Emanuelli
  6. Il Piccolo Principe – Antoine de Saint-Exupéry
  7. La dieta della longevità. Dallo scienziato che ha rivoluzionato la ricerca su staminali e invecchiamento, la dieta mima-digiuno per vivere sani fino a 110 anni – Valter Longo
  8. Tredici – Jay Asher
  9. Fatto in casa da Benedetta. Torte, primi sfiziosi, stuzzichini… le ricette più golose del web – Benedetta Rossi
  10. 1984 – George Orwell

Il testo rivelazione di Francesca Cavallo e Elena Favilli, Storie della buonanotte per bambine ribelli, è inoltre il titolo più venduto nella categoria Libri per Bambini, mentre Origin di Dan Brown è il preferito per chi apprezza Gialli e Thriller. Al numero 1 dei libri di Cucina La dieta della longevità, mentre per i testi di Letteratura e Narrativa la medaglia d’oro va a L’arte di essere fragili. Gli Adolescenti e ragazzi nel 2017 hanno acquistato soprattutto Wonder di R.J. Palacio, mentre L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud va per la maggiore per gli appassionati di Società e scienze sociali. Chiudono le prime posizioni Macerie prime di Zerocalcare (categoria Biografie, diari e memorie) e Dragon Ball Super: 1 per la sezione Fumetti e Manga.

Gli italiani apprezzano anche la buona musica, come testimonia la classifica dei 10 dischi più venduti nel 2017 che vede al primo posto il nuovissimo Oh, Vita! di Jovanotti che sbaraglia qualunque concorrenza, nostrana e internazionale:

  1. Oh, Vita! – Jovanotti
  2. Divide – Ed Sheeran
  3. Perdo le parole – Riki
  4. Prisoner 709 – Caparezza
  5. Duets Tutti Cantano Cristina – Cristina D’Avena
  6. Vasco Modena Park (3 CD + 2 DVD) – Vasco Rossi
  7. Vasco Non Stop (4 CD) – Vasco Rossi
  8. Comunisti col rolex- JAx e Fedez
  9. Songs of Experience [Edizione Deluxe] – U2
  10. Masters [4 CD] – Lucio Battisti

 

L’ultima fatica di Jovanotti si aggiudica anche altre due medaglie d’oro: nella classifica musica italiana e musica pop. Se è vero che i gusti degli italiani spaziano su più generi, è altresì vero che le note Made in Italy restano le preferite. A conferma di ciò ci pensano le prime posizioni delle sezioni rap, rock e indie che vedono sul podio rispettivamente Prisoner 709 di Caparezza, Vasco Non Stop (4 CD) di Vasco Rossi e Faccio un casino di Coez. Unico straniero in vetta è John Coltrane e il suo Blue Train, al numero uno nella classifica degli album jazz più venduti.

I Trend del Fintech per il 2018

 

A cura dell’Ufficio Studi di Moneyfarm

 

Il 2018 sarà un anno chiave per quanto  riguarda il Fintech, anche in Italia. A livello globale, ci aspettiamo di vedere un maggior protagonismo da parte dei player tradizionali dell’industria finanziaria e dei colossi del tech. Alcuni dei trend più interessanti sono legati a un impulso positivo di nuove regolamentazioni che entreranno in vigore il prossimo anno (MiFID II, PSD, armonizzazioni della legge di fatturazione elettronica). In termini geografici, l’Asia si definirà ancora di più come il grande hub del Fintech mondiale.

Il 2018 sarà un anno chiave per quanto  riguarda il Fintech. I tempi sembrano maturi e soprattutto il pubblico, sempre più esigente e desideroso di servizi all’avanguardia, sembra pronto per ricevere le novità di questo settore. Anche in Italia, un paese che si è dimostrato da sempre relativamente lento nell’adozione delle nuove tecnologie digitali, il mercato sembra essere maturo. Infatti, secondo una ricerca condotta da Investor Pulse di Blackrock, che evidenzia il forte legame tra tecnologia e finanza[1], gli investitori che si affidano a canali digitali per monitorare i propri investimenti  costituiscono ben il 64% del totale. Più del 50% del campione intervistato conosce le piattaforme di robo-advisory e le considera alternative appetibili di investimento futuro (e il dato diventa ancora più significativo tra i millennials).

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A livello globale, ci aspettiamo di vedere un maggior protagonismo da parte dei player tradizionali dell’industria finanziaria e dei colossi del tech. Il recente annuncio che Amazon si inserirà nel settore dei pagamenti ha attirato molto l’attenzione e crediamo che sia ormai diventato evidente a tutti l’enorme opportunità di business presente nello spazio dei servizi finanziari. Il potenziale cresce esponenzialmente soprattutto per chi può fare leva su una grande disponibilità di dati: proprio il concetto di  controllo dei dati sarà la chiave sia per quanto riguarda le possibili applicazioni commerciali, sia per quanto riguarda l’integrazione con tecnologie di intelligenza artificiale. Crediamo però che, specialmente per quanto riguarda i servizi a più alto valore aggiunto, la partita si giocherà ancora tra le startup e i player tradizionali dell’industria. In questo spazio, nel 2018, ci aspettiamo di veder moltiplicate le sinergie.

 

In generale, è interessante notare come alcuni dei trend più significativi siano legati a un impulso positivo di nuove regolamentazioni che entreranno in vigore il prossimo anno (MiFID II, PSD, armonizzazioni della legge di fatturazione elettronica). Le istituzioni si sono finalmente accorte di quello che sta succedendo nella finanza, e nel prossimo futuro il comparto Fintech comincerà a raccoglierne i frutti.

 

ROBO ADVISORY

 

Per quanto riguarda il settore dei robo-advisors o, per meglio dire, dei gestori digitali del risparmio, il 2018 sarà un anno chiave per questo comparto, in Europa e nel mondo. La visione di Moneyfarm, supportata dalle analisi delle principali società di consulenza globali, è che i robo advisors si ritroveranno a gestire diverse migliaia di miliardi di masse tra il 2018 e il 2025.

 

Senza entrare nel dettaglio delle proiezioni, è evidente che il 2018 sarà un anno cruciale per validare il modello di business e per vedere se il trend di crescita molto chiaro a cui abbiamo assistito negli ultimi anni continuerà sulla stessa strada, o se ci sarà un’accelerazione anche in Europa, simile a quella del mercato statunitense nel 2017. Il 2017 è stato l’anno in cui si sono mobilitati tantissimi investimenti e si è dimostrato il valore di creare le giuste sinergie industriali: nel 2018 ci aspettiamo di vedere una sempre maggiore integrazione.

 

Una grande mano in questo senso potrebbe arrivare dalla MiFID II. La nuova normativa, che entrerà in vigore a gennaio, potrebbe avere un effetto dirompente soprattutto sul mercato italiano, che è ancora caratterizzato dalla prevalenza di modelli di distribuzione tradizionali. L’esperienza della RDR inglese, normativa da cui la MiFID II ha preso spunto, ci mostra come l’aumento dei costi derivato dai maggiori oneri in carico a intermediari e case prodotto andrà, probabilmente, a creare uno spazio per le iniziative più agili e innovative rivolte alla clientela mass. Questo perché i player tradizionali, per giustificare i costi elevati che impongono alla clientela, potrebbero concentrarsi su un segmento affluent/private.

 

Il 2018 è anche l’anno in cui ci aspettiamo che l’intelligenza artificiale, che per adesso è entrata solo marginalmente nel campo della gestione del risparmio, cominci a giocare un ruolo ancora più importante soprattutto grazie all’entrata in vigore della PSD2.

 

OPEN BANKING PSD2

 

Proprio la PSD2 ha un potenziale enorme per le prospettive di business che può aprire. Ci troviamo di fronte a una rivoluzione copernicana, nella quale le banche dovranno finalmente aprire l’accesso delle proprie piattaforme a parti terze e i correntisti diventeranno proprietari dei propri dati e potranno decidere di integrare i servizi finanziari di cui usufruiscono come meglio credono. Ovviamente ci saranno dei cambiamenti più immediati, legati per esempio al sistema dei pagamenti, visto che diventerà molto complesso per le banche porre degli ostacoli all’utilizzo di servizi offerti da parti terze.

 

La PSD2, più che un semplice cambio di legislazione, va vista come l’apertura di una nuova piattaforma per l’innovazione digitale in grado di offrire tantissime opportunità a chi sarà in grado di approfittarne, un po’ come è stato per l’introduzione dei sistemi operativi per dispositivi mobili. Molto difficile prevedere l’impatto che avrà questa nuova regolamentazione e soprattutto i tempi in cui i risparmiatori potranno godere dei vantaggi, che si esplicheranno in termini di servizi migliori e più personalizzati in una serie di ambiti, a partire dai pagamenti, fino alla gestione delle finanze personali, arrivando ai servizi di investimento. Anche da un punto di vista commerciale, il grande afflusso di dati potrebbe dare un’ulteriore spinta alle aziende innovative, che potranno inserire nuovi strumenti nel loro arsenale commerciale, facilitando una crescita ancora più agevole. Si pensi alle possibili partnership che potrebbero scaturire su iniziative promozionali sempre più personalizzate. Va da sé, ma è importante ribadirlo a scanso di equivoci, tutto questo meccanismo sarà basato sul consenso: l’utente finale diventa padrone dei suoi dati, che prima appartenevano alle banche, e ne dispone come preferisce.

 

La chiave sarà dunque saper immaginare servizi che creino reale valore per le persone. Nell’ambito del risparmio, ad esempio, la possibilità di incrociare i dati di tutti i conti di un individuo ci permetterà di ottenere una radiografia completa delle sue abitudini finanziarie. Per una società che si occupa di gestione del risparmio, con un forte accento tecnologico come Moneyfarm, questa possibilità porterà verso l’offerta di un servizio che sia veramente olistico, ovvero che aiuti ad accompagnare il risparmiatore durante l’intero ciclo finanziario, dalla fase dell’accumulazione alla fase dell’investimento. In questo spazio, un grande supporto lo darà l’intelligenza artificiale (ed è per questo che come Moneyfarm abbiamo deciso di accrescere il nostro know-how e la nostra dotazione tecnologica con l’acquisizione del chatbot Ernest).

 

PSD2 aprirà una grande opportunità di innovazione che potrà essere colta dalle nuove aziende e dall’industria tradizionale, perciò ci aspettiamo molti investimenti e molte novità nel 2018. Un settore da tenere particolarmente d’occhio è quello delle banche digitali, caratterizzate da sistemi che possono rapidamente adattarsi alle esigenze degli utenti. L’ingresso nel settore bancario per le startup è sempre stato critico, ma la direttiva apre nuovi scenari.

 

FATTORE ASIA

 

L’Asia si definirà ancora di più come il grande hub del Fintech mondiale. Spesso quando si parla di Fintech si è portati a pensare ai mercati maturi come gli Stati Uniti e l’Europa, ma oggi la frontiera è in Asia.

 

Nell’Asia Pacifica il fintech ha ricevuto nel 2017 investimenti per un totale di $14.8bn secondo PwC contro gli 8.3 del Nord America e i 2.4 del Regno Unito. L’ecosistema è dominato dalla Cina, che vanta i 4 unicorni fintech più grandi del mondo, e dall’India, che si è convertita alle transazioni digitali mediante l’uso di individually unique mobile wallets e mettendo fuori corso alcuni tagli di banconote, dando vita al più grande esperimento di demonetizzazione mai condotto a livello globale.

 

In Asia la crescita del settore Fintech è caratterizzata da una mastodontica sproporzione tra la domanda e l’offerta di servizi. Si pensi che solo il 69% delle persone nell’Asia Pacifica possiede un conto corrente e solo il 52% di coloro che vivono nell’Asia Meridionale.

 

La mancanza ovviamente di un’industria tradizionale ben consolidata e l’emersione di un classe media matura, fa sì che la capacità dirompente delle nuove tecnologie sia ancora più evidente che in Europa e negli Usa. Possiamo dire che in Asia la rivoluzione Fintech sta accompagnando l’inclusione finanziaria di centinaia di milioni, se non miliardi, di persone.  In questo senso, se vogliamo avere un indizio sulla forma che avranno i servizi finanziari di domani è all’Asia che dobbiamo guardare.

 

Mentre in occidente i maggiori fintech hub (Londra, New York e la Silicon Valley) hanno vissuto un’innovazione graduale, il gigante tecnologico cinese ha rivoluzionato molti aspetti dell’industria dei servizi finanziari. L’adozione diffusa del fintech da parte di una popolazione cresciuta con la tecnologia, unita alla consistenza degli investimenti in innovazione, lascia pensare che la Cina continuerà a essere il leader asiatico del fintech.

 

In particolare il settore che sta trainando la crescita, con più di 8 miliardi di investimenti, è quello del credito. Il boom di questo segmento è stato determinato da una grande domanda di prestiti che rimane insoddisfatta dal canale di credito tradizionale, e favorito dalla presenza di grandi piattaforme digitali che hanno diversificato su nuovi segmenti, oltre alla poca attenzione dei regulators sul settore. In questo senso il comparto asiatico rappresenta un esempio di come grandi piattaforme digitali, sia attraverso l’investimento in startup, sia attraverso l’intervento diretto sul mercato, possono entrare nello spazio Fintech generando profitti.

 

PAGAMENTI ELETTRONICI

 

Il settore caldo può essere quello della fatturazione elettronica, sempre per motivi legati a nuove regolamentazioni, che imporranno un’armonizzazione. Nel 2018 l’Unione Europea imporrà a tutti gli stati membri degli standard comuni per quello che riguarda l’e-invoicing. Bruxelles spera così di aumentare il tasso di adozione dal 24% al 95% entro il 2024, ciò comporterebbe risparmi per circa 64.5 miliardi per le imprese. Anche se le stime si rivelassero troppo generose, si tratta di una cifra enorme. La nuova normativa potrebbe funzionare anche da incentivo per la digitalizzazione delle imprese nazionali.

 

 Informazioni su Moneyfarm

Moneyfarm è una società internazionale di gestione del risparmio specializzata negli investimenti a medio-lungo termine. Tramite la sua piattaforma online offre a migliaia di clienti in Italia e nel Regno Unito una consulenza finanziaria accessibile, indipendente e trasparente. Grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali Moneyfarm ha sviluppato un modello innovativo che le permette di fornire un servizio di gestione finanziaria di prima qualità, semplice, trasparente e a costi inferiori a quelli offerti dai gestori tradizionali. È regolata dalla Financial Conduct Authority (FCA) e vigilata in Italia da Consob. Ad agosto 2012 è sbarcata sul web con Moneyfarm.com, aprendo la strada alla consulenza indipendente via Internet nel mercato italiano. L’azienda ha come soci principali fondi di investimento Cabot Square Capital e United Ventures, il gruppo Allianz e Vittorio Terzi (Director Emeritus di McKinsey Italia) tramite il suo veicolo d’investimento. La società guidata da Paolo Galvani e Giovanni Daprà può contare su un team di 90 professionisti di qualificato background,  su oltre 150.000 utenti attivi.

 

DIGITAL MAGICS ENTRA NEL CAPITALE SOCIALE DELLA STARTUP TWO HUNDRED

La prima campagna in collaborazione fra la startup FinTech e l’incubatore quotato in Borsa è quella di WeBeers, e-commerce delle birre artigianali, che raggiunge il primo traguardo raccogliendo adesioni per 250.000 Euro

TWO HUNDRED ha chiuso recentemente un round di investimento di 300.000 Euro e da fine 2015 ha raccolto oltre 1,5 milioni di Euro con le sue campagne sulla piattaforma

Digital Magics, business incubator quotato su AIM Italia di Borsa Italiana (simbolo: DM), entra nel capitale sociale della startup innovativa TWO HUNDREDportale di equity crowdfunding, autorizzato da Consob, che permette a chiunque di investire facilmente in aziende private non quotate.

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Oltre ad affiancare i fondatori con i propri servizi di incubazione per la crescita della società, Digital Magics con TWO HUNDRED aggiunge un ulteriore asset strategico per favorire il finanziamento e lo sviluppo delle startup e PMI digitali italiane. La prima collaborazione è la campagna della startup di Digital Magics WeBeers, e-commerce per scoprire le migliori birre artigianali, che ha raccolto adesioni per 250.000 Euro raggiungendo l’obiettivo minimo della raccolta fondi, che proseguirà fino al 31 dicembre:https://200crowd.com/V2/IT/Campaign/details/webeers

Fondata nel 2013 da Matteo Masserdotti (CEO) e Carlo Saccone (CTO) come Tip Ventures, la startup FinTech ha recentemente effettuato un rebranding con il nuovo brand 200 Crowd, e ha chiuso un round di investimento di 300.000 Euro, a cui hanno partecipato importanti business angel, investitori privati e l’incubatore certificato Digital Magics.

Da fine 2015 TWO HUNDRED ha raccolto con le sue campagne oltre 1,5 milioni di Euro – tra cui quelle di BIOGENERA, PMI innovativa che opera nel settore delle biotecnologie farmaceutiche, e di Glassup, startup specializzata nella fabbricazione di smartglasses per la realtà aumentata. Nel 2017 TWO HUNDRED ha registrato il +300% del numero di iscritti al sito e il +350% di investitori attivi.

Il portale di equity crowdfunding www.200crowd.com favorisce l’incontro di investitori professionali, qualificati, retail, business angel e venture capital con aziende non quotate, startup e PMI innovative o piccole medie imprese, garantendo massima trasparenza e velocità grazie a un algoritmo proprietario, qualitativo e quantitativo, che fornisce una valutazione preliminare sulle informazioni del business, manageriali e finanziarie delle società che si candidano per la ricerca di capitali su TWO HUNDRED.

L’obiettivo di TWO HUNDRED è costruire round di investimento strutturati, offrendo agli investitori la possibilità di co-investire nell’innovazione italiana, diversificando il proprio portfolio e favorendo la nascita e la crescita di neoimprese digitali.

L’equity crowdfunding – strumento alternativo per finanziare la crescita di una società tramite la campagna di raccolta fondi online, con una durata e un obiettivo – in Italiaha raggiunto oltre 18 milioni di Euro di capitale di rischio raccolto dall’avvio della legge del 2013, con un tasso di successo del 60% delle campagne e ha registrato unacrescita del 152% nel 2017 rispetto al 2016 (Fonte: Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano, novembre 2017).

Matteo Masserdotti, Fondatore e CEO di TWO HUNDRED, ha dichiarato: “L’equity crowdfunding in Italia sta dando ottimi risultati, ma dobbiamo lavorare insieme per garantire la massima professionalità agli investitori, che hanno oggi meno esperienza nel valutare e seguire queste aziende. Sappiamo che il mercato dell’investimento in capitale di rischio in Italia è solo all’inizio e siamo anche coscienti che questo tipo di investimenti è sempre più alla portata di tutti e l’interesse in forte aumento. Grazie alla partnership strategica con Digital Magics lavoreremo per creare un mercato più professionale e liquido per tutti”. 

Gabriele Ronchini, Fondatore e Amministratore Delegato di Digital Magics, dichiara: “Dopo aver lanciato MAGIC WAND, il primo acceleratore FinTech e InsurTech in Italia con 10 importanti operatori del mercato, continuiamo a investire nel settore della finanza, che è in evoluzione a livello mondiale grazie al digitale. Siamo doppiamente soddisfatti di dare il benvenuto a Matteo, Carlo e il loro team nella nostra squadra e di cominciare questa collaborazione con il raggiungimento per la nostra partecipata WeBeers del primo obiettivo della raccolta fondi. TWO HUNDRED non è solo una nostra partecipata, ma diventa un vero e proprio partner per il nostro portfolio e per l’innovazione in Italia”.

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