Oggi come ieri, il Gruppo Telecom Italia crede fermamente che una Fondazione attenta alle nuove emergenze sociali e a forme innovative di relazione, possa incarnare e concretizzare efficacemente il suo impegno sul fronte della responsabilità sociale d’impresa e del rapporto con la comunità.
Lavorare in una fondazione d’impresa significa confrontarsi quotidianamente con stimoli e verifiche continue, ma soprattutto significa essere disposti a mettersi in relazione, con il mondo sociale e non solo, perché proprio la varietà di fronti su cui Fondazione è impegnata costituisce la sua grande ricchezza.
A quattro anni dalla sua nascita, Fondazione Telecom Italia è pronta ad aprire le porte del suo mondo come mai prima d’ora e vi invita a visitare un sito fortemente rinnovato e potenziato – http://www.fondazionetelecomitalia.it/
“Non più un canale puramente istituzionale, bensì un portale dinamico che presenta le attività e i progetti operativi della Fondazione in modo completo, semplice ed invitante: un vero strumento di comunicazione multimediale dove il linguaggio è utilizzato in modo innovativo, orientato al web 2.0 e ai social network. Cuore pulsante di tutti i nostri progetti sarà la tecnologia, imprescindibile fattore vivificante e abilitante anche del Terzo Settore per aiutare le esigenze dell’intera collettività.
Destinatari primari del sito sono le associazioni no-profit, il Terzo Settore, i beneficiari dei progetti e tutti gli enti interessati a partnership e attività congiunte.” –Marcella Logli – Segretario Generale Fondazione Telecom Italia
Mobile analytics firm Mobidia Technology said that following a study of the penetration of mobile messaging and VoIP apps, “rates of 60 per cent to 95 per cent are common”.
However, it was noted that this market is highly fragmented, with hundreds of titles available and often 10 to 20 apps showing significant usage for a given geography or country.
The company said that over the past year, there has been a “substantial increase” in activity, with “upstarts such as WhatsApp making significant market share increases and disrupting the European texting business, and Facebook launcing dedicated mobile messaging apps”.
In addition, established apps and services such as China’s Tencent and Microsoft’s Skype continued to add new functionality and push into new markets, while operators including T-Mobile, Vodafone and Telefonica “announced, launched, or grew proprietary or Joyn-based solutions in this space”.
“The mobile messaging and VOIP app market is going to see a lot of activity in the next 12 to 24 months as upstarts, traditional app vendors, and operators battle to drive their growth and work to establish or maintain their leadership in the space,” said Chris Hill , VP of marketing at Mobidia.
Secondo lo studio della Economist Intelligence Unit, CEO e CFO riconoscono il valore della relazione con i responsabili HR ma auspicano un maggiore coinvolgimento, allineamento e comprensione della strategia di business
La notizia
Uno studio recentemente condotto dalla Economist Intelligence Unit (EIU) e sponsorizzato congiuntamente da Oracle e IBM ha analizzato come i top manager delle aziende europee percepiscano il ruolo dei responsabili delle Risorse Umane. L’analisi è stata realizzata per identificare le aree di opportunità per i responsabili delle Risorse Umane che vogliano aiutare le rispettive organizzazioni a raggiungere gli obiettivi strategici. L’Economist ha intervistato 235 top manager, 95 dei quali basati in Paesi dell’Europa Occidentale come Belgio, Francia, Germania, Italia, Svizzera e Regno Unito. Il 57% del campione appartiene alla categoria dei CEO o ruoli equivalenti, e il 43% a quella dei CFO o ruoli equivalenti. Lo studio “C-level perspectives of the HR function in Western Europe” evidenzia che sono molti i CEO e i CFO per i quali la competenza e l’esperienza della funzione HR circa le criticità relative al personale possono aiutare realmente un’azienda ad assumere decisioni complesse ma cruciali in periodi economicamente difficili. Lo studio ha anche confermato come il management delle aziende europee consideri di valore la propria relazione con i responsabili HR: nel 69% dei casi gli intervistati hanno descritto tale rapporto lavorativo come “collaborativo e di fiducia” e nel 63% lo hanno definito “di elevato valore”. L’analisi rivela però come ci sia comunque un margine di miglioramento affinché la funzione Risorse Umane diventi ancora più strategica. Solo il 38% degli intervistati ritiene infatti che il responsabile HR svolga un ruolo chiave nella pianificazione strategica e solo uno su dieci pensa che tale ruolo sia “assolutamente determinante”. Come i responsabili HR dell’Europa Occidentale possono posizionarsi meglio in un’ottica di successo
La maggioranza degli intervistati ha espresso preoccupazione rispetto alla effettiva capacità dei responsabili delle Risorse Umane di comprendere le dinamiche business nella loro globalità. Per il 42% il responsabile HR resta infatti troppo focalizzato sui processi e incapace di cogliere lo scenario complessivo, mentre per il 36% non comprende a sufficienza il business aziendale. L’analisi mostra inoltre come i responsabili HR che hanno punti di vista simili a quelli dei CEO e dei CFO hanno altresì maggiori probabilità di risultare influenti. In effetti, l’81% di coloro che appoggiano pienamente la strategia HR attuata dal relativo responsabile di funzione ritiene che quest’ultimo ricopra una posizione strategica fondamentale. I top manager delle società di grandi dimensioni risultano maggiormente preoccupati da possibili criticità relative alle risorse umane che possono condurre a una carenza di leadership. Oltre due terzi degli intervistati che operano in imprese con più di 1.500 dipendenti teme che una mancanza di di leadership possa danneggiare finanziariamente l’azienda nei prossimi 12 mesi; tale preoccupazione è condivisa solo dal 49% di coloro che lavorano invece presso realtà più piccole. Un altro dato interessante è come il top management delle aziende più grandi tra quelle intervistate (fatturato annuo superiore ai 10 miliardi di dollari) discuta con maggiore frequenza le problematiche di talent management con i propri responsabili delle risorse umane. Il 42% degli intervistati che appartengono alle società più grandi afferma infatti di avere frequenti occasioni di confronto relative alle performance e allo sviluppo del Management, rispetto al 24% degli intervistati delle imprese di dimensioni inferiori. Pertanto, il responsabile HR ha l’opportunità di influenzare sensibilmente la direzione strategica della propria azienda laddove: lavori presso un’organizzazione di grandi dimensioni; sia capace di pensiero strategico, in particolare nello sviluppo di personale di livello senior; sappia condividere idee analoghe al CEO e al CFO in materia di strategia HR. Dichiarazione a supporto “Non sorprende vedere come la maggiore preoccupazione degli executive che lavorano presso grandi società sia costituito dalla strategia e dallo sviluppo di talento a livello di leadership”, ha commentato Gretchen Alarcon, Vice Presidente, Oracle HCM Strategy. “I responsabili HR possono provare il loro valore a CEO e CFO focalizzando l’attenzione su strategie finalizzate a favorire il talento nelle figure senior e a trattenere i migliori leader già presenti in azienda”. IBM è membro Diamond di Oracle PartnerNetwork (OPN).
Si presenta oggi ufficialmente la start-up che ci semplifica la vita consentendoci di prenotare anche all’ultimo minuto il ristorante preferito via web o smartphone. Basata su tecnologia tutta italiana, è opera dell’intuizione di tre soci con già un passato di imprenditori di successo nonostante la giovane età.
Milano, 14 febbraio 2013 – 3mila ristoranti partner presenti sulla piattaforma e 150mila utenti registrati entro la fine del 2013: questi gli obiettivi della start-up restOpolis (www.restopolis.com), che oggi presenta ufficialmente il proprio servizio per la prenotazione online di ristoranti, totalmente gratuito per gli utenti. Oggi restOpolis sente infatti di aver raggiunto una massa critica di ristoranti affiliati, nonché un’affidabilità della tecnologia alla base della piattaforma tali da poter lanciare il proprio servizio su larga scala.
restOpolis nasce dall’investimento di competenze e risorse di AlmirAmbeskovic, Antonio Sorrentini e Sergio Nava, tre soci giovani, ma con già un passato di imprenditori di successo, che hanno saputo intuire il potenziale di mercato dell’idea originaria proposta loro da Carlalberto Guglielminotti e Andrea Rossi, poi usciti dalla società.
restOpolis consente di prenotare il ristorante preferito online e in tempo reale, senza necessità di conferma da parte del ristorante stesso, scegliendo, in questo momento, tra500 ristoranti in Italia. Attualmente, il numero maggiore di ristoranti è a Milano, ma i piani di espansione per i prossimi mesi prevedono di stringere nuove partnership innanzitutto a Roma e Torino per poi concentrarsi su Veneto, Emilia Romagna e resto d’Italia.
Sempre oggi, restOpolis lancia anche la nuova versione della propria app. Disponibile per smartphone iOS e Android, ha come caratteristica fondamentale e innovativa il fatto di essere geolocalizzata, il che significa che dal luogo in cui ci si trova la si può interrogare per scoprire quali ristoranti sono disponibili in promozione (e non) in quella zona e prenotarli direttamente in tempo reale. Le funzioni disponibili sull’app sono completamene speculari rispetto a quelle del sito restOpolis, compresa la possibilità di scegliere in base a cosa si vuole mangiare e di inserire recensioni, commenti e immagini. Non esiste alcuna app mobile oggi in Italia con una serie di funzionalità così completa nell’ambito della prenotazione di ristoranti.
restOpolis è un servizio evoluto non solo per chi vuole mangiare alla carta prenotando anche all’ultimo minuto e scegliendo in base a cibo e cucina preferita, zona, fascia di prezzo e promozioni scontate (unico servizio con opzioni così complete in Italia), ma anche una piattaforma che avvicina il mondo della ristorazione alle dinamiche del web 2.0.restOpolis sfrutta infatti le potenzialità del “passaparola digitale” e le tecniche dei social network per ampliare i clienti potenziali raggiunti dal ristorante.
La portata della comunicazione per i ristoratori viene poi ulteriormente accresciuta grazie alle partnership che restOpolis ha siglato con realtà quali Vivimilano.it, DoveViaggi.it, Viaggi24 (Il Sole 24 Ore), Secretary.it e Italiaatavola.net, che integrano il suo servizio di prenotazione all’interno dei loro portali. A questi partner, si aggiungerà a breve anche TIM.
Come funziona restOpolis
La prenotazione attraverso restOpolis è del tutto gratuita per l’utente e non comporta alcun tipo di sovrapprezzo rispetto a quanto si andrà a spendere al ristorante prescelto. Anche per le offerte scontate, il menu è quasi sempre alla carta e quindi l’utente non è mai “di serie B”. Non trascurabile inoltre il fatto di poter prenotare all’ultimo minuto, anche mentre ci si trova per strada (attraverso l’app). Il guadagno per restOpolis viene da una commissione riconosciuta dal ristorante su ogni coperto prenotato ed effettivamente consumato. restOpolis offre al ristorante partner un servizio di comunicazione integrata attraverso la propria piattaforma, quella dei partner e l’app personalizzata che viene sviluppata per ogni singolo ristorante.
restOpolis è anche un social network: chi tiene fede alla prenotazione effettuata, guadagna dei punti che potranno poi essere convertiti in premi e utilizzati per speciali promozioni. Inoltre, gli utenti sono invitati a pubblicare su restOpolis la loro recensione sul ristorante in cui sono stati e – grazie all’app – possono farlo anche mentre sono seduti al tavolo.
Su restOpolis le possibilità di scelta sono davvero “per tutti i gusti”: dalla pizza (anche gratis come per la promozione attiva da questo lunedì e fino al 28 febbraio) fino al ristorante stellato come il “VUN” di Milano,o agli altri ristoranti per veri gourmet presenti sul portale.
“In questi mesi, abbiamo lavorato sia per arrivare a un numero significativo di ristoranti affiliati sia per stringere partnership importanti per l’integrazione di restOpolis all’interno di portali di altre realtà, in modo da ampliare la copertura del nostro servizio e la visibilità della proposta per i ristoratori. Queste partnership sono un elemento cardine della nostra strategia di sviluppo e insieme un vantaggio competitivo chiave per restOpolis”, spiega AlmirAmbeskovic, il CEO 35enne di restOpolis, imprenditore fin dall’età di 20 anni (due aziende tecnologiche fondate e fatte crescere) e attuale vice-presidente del gruppo Giovani Imprenditori di Assolombarda.
“Abbiamo applicato le nostre competenze tecniche per concretizzare la semplice idea originaria trasformandola in una piattaforma che, dietro all’apparente semplicità dell’interfaccia di navigazione, nasconde una non piccola complessità tecnologica. E’ per noi motivo di orgoglio che la tecnologia che sta sotto restOpolis sia interamente italiana”, aggiunge Antonio Sorrentini, direttore tecnico di restOpolis, programmatore da quando aveva 14 anni, fondatore di una sua società di sviluppo software a 21 e quindi socio fondatore di Last Minute Tour, per cui ha sviluppato l’intera infrastruttura tecnologica.
Della squadra di restOpolis fa parte anche Sergio Nava, 35 anni, direttore creativo della start-up, nonché architetto e designer, fondatore di NTT DESIGN, azienda dell’arredamento e dell’industrial design per la quale ha creato il famoso marchio KREATON e disegnato tutta la linea di prodotti.
Negli ultimi due anni, l’uso di Internet da parte degli utenti italiani è cresciuto enormemente, per non parlare di quanto è aumentata la diffusione degli smartphone e dei tablet. Di pari passo è diminuita la naturale diffidenza degli italiani nei confronti del web: ora è pratica comune non più solo cercare informazioni sui motori di ricerca, ma anche semplificarsi la vita utilizzando i numerosi servizi online. Allo stesso tempo – forse anche a causa del rallentamento indotto dalla crisi economica – l’apertura dei ristoratori verso il mondo online è cresciuta, insieme alla disponibilità a sperimentare nuove idee.
I responsabili di restOpolis sono quindi convinti che i tempi siano maturi per fare un passo ulteriore rispetto ai puri servizi di social deal (basati sui coupon), per offrire al mondo della ristorazione uno strumento che amplifica la proposta (raggiungendo un numero vastissimo di utenti rispetto al puro sito web del ristorante) e la possibilità di avvalersi di un partner tecnologico sempre all’avanguardia per promuovere la loro offerta.
Numerose novità e annunci sono in arrivo da restOpolis per i prossimi mesi: preparate il palato!
Con l’apertura di una propria sede in Francia, Aruba intende posizionarsi nel mercato transalpino con un’offerta totalmente localizzata a livello geografico
Arezzo, 11 Febbraio 2013 – Aruba S.p.A. (www.aruba.it), leader italiano nei servizi di web hosting, e-mail, PEC e registrazione domini, annuncia la propria espansione in Francia con la creazione della società Aruba SAS nata per offrire servizi di Cloud Computing e di Cloud Object Storage in modalità Infrastructure as a Service (IaaS).
Attraverso un’infrastruttura tecnologica ed un team francese di esperti, entrambi localizzati a Parigi, Aruba offre sia a imprese di tutte le taglie sia ad aziende ICT che desiderino diventare riveditori, tutta la potenza della propria piattaforma Cloud, garantendo la possibilità di attivare servizi sia a livello nazionale, in un data center con sede in Francia che gestisca i dati ospitati in ottemperanza delle normative francesi, sia in altri paesi appartenenti al network di data center Aruba, al momento Italia e Repubblica Ceca e prossimamente Germania e Inghilterra.
La nascita della società a marchio Aruba su territorio francese rappresenta dunque il primo passo verso l’obiettivo di servire i principali mercati europei con un’offerta che possiede le medesime caratteristiche in tutti i paesi, ma che garantisce come principale punto di forza la possibilità di localizzare i dati sul territorio di appartenenza dell’utente. Questo approccio risulterà particolarmente vantaggioso non solo per le aziende presenti in Francia, ma anche per realtà italiane o di altri paesi europei che vogliano aprire un business all’estero, e che potranno garantire agli utenti del servizio una velocità di accesso ottimale alle informazioni grazie alla vicinanza del data center, nonché un supporto tecnico e commerciale grazie a personale madrelingua.
Allo stesso tempo, la presenza di un network di data center con le medesime caratteristiche su territorio europeo faciliterà la scelta delle aziende che vogliano depositare i propri dati all’estero per attivare un piano di Disaster Recovery, in quanto basterà replicare con una semplice operazione la propria infrastruttura informatica in una delle strutture del network, in maniera veloce e totalmente sicura.
Aruba supporterà la sua società francese mettendo a disposizione la propria esperienza sia nella creazione e gestione di infrastrutture tecnologiche complesse, sia fornendo le competenze accumulate in oltre un anno di vita dei propri servizi Cloud in Italia e in Repubblica Ceca, facendo sì che il nuovo player francese sia da subito fortemente competitivo grazie ad un servizio di qualità e prezzi molto convenienti.
Stefano Cecconi, Amministratore Delegato di Aruba S.p.A., commenta così l’apertura della nuova società: “Per lanciarci sul mercato francese dove la competitività è alta, abbiamo deciso di puntare sulla localizzazione geografica sia dell’infrastruttura, sia dei servizi di supporto al cliente, al fine di offrire ai nostri clienti francesi il meglio in termini di innovazione tecnologica in ambito Cloud, la sicurezza di un servizio 100% ‘made in France’, e l’opportunità unica di scegliere se ospitare i propri dati o parte di essi anche in altri paesi europei. La nostra presenza fisica sul mercato transalpino – aggiunge l’AD – ci permette inoltre di espandere l’offerta dei data center per i nostri clienti Cloud italiani che da pochi giorni, usando il pannello di controllo presente su cloud.it, possono scegliere di creare la propria infrastruttura nel nostro data center di Parigi.”
“L’innovazione, con la Rete, ha al suo servizio velocità e quantità. Dovunque ci porti, non possiamo evitare di andarci”
Il Sud è una risorsa per il nostro Paese, questo è un dato di fatto! Tutti ne parlano: chi ipotizzando nuove politiche industriali, chi fantasticando il ritorno del Regno delle Due Sicilie. L’attenzione è molta ma è facile cadere nella demagogia. Spostando il focus sulla tecnologia e l’innovazione quello che vorrei capire è se davvero come si dice, queste sono le leve su cui puntare per risollevare il Meridione. Io credo di sì.
è convinto che la tecnologia sia l’arma con cui arrivare finalmente alla fine della Questione Meridionale
In che modo la tecnologia rende libero il Sud?
La Rete è un mondo senza distanze, dimensioni e senza ostacoli, frontiere. Chiunque vi entri, vale come chiunque altro e non importa da dove agisci; importa solo se fai clic ed entri in Rete o clic, e ne esci. Questo pone il Sud (non solo il nostro) penalizzato da mancanza di strade, aeroporti, ferrovie, nelle stesse condizioni di chiunque; e può competere alla pari, finalmente. E vince, quando ne ha le capacità.
Puoi citarmi alcuni dei casi virtuosi che hai inserito nel tuo libro?
A Bisaccia, Comune terremotato dell’Irpinia, Patrick Arminio, 21 anni, nato a Basilea e rientrato al suo paesello, con i suoi coetanei mette su un’azienda di grafica con cui progetta e conduce la campagna promozionale dell’ultimo cd di una pop star statunitense; dal Salento, un creativo produce per Google, in California (a giudicare dallo stipendio, a livelli altissimi) e due neodiplomati inventano “app” fra le più vendute dalla Apple. L’università di Lecce è ormai una multinazionale della ricerca, dell’innovazione: nei suoi laboratori si scopre come recuperare i metalli preziosi che vengono vaporizzati durante gli esperimenti (è, letteralmente, trarre oro da spazzatura); si mette a punto il primo microscopio tridimensionale; si varano sistemi di controllo dell’automazione per la Marina militare indiana; si isola una cellula iperassorbente che toglie la sensazione di fame e che darà luogo, secondo gli analisti, a una delle 15 più potenti economie del pianeta, nei prossimi anni. Mentre un giovane di Conversano, spendendo 200mila euro, mette a punto il più potente motore di ricerca e offerta di lavoro on line, rivendendolo poi per 30milioni di euro. E in Sicilia, un neolaureato di Scordia, da Milano organizza, on line, con volontari, il recupero della valle degradata del suo paese, poi vi torna e la trasforma in parco. Nei sei principali distretti dell’innovazione, al Sud, lavorano ormai già in 30mila: un quarto delle esportazioni italiane, nel settore, è prodotto da loro.
L’innovazione può fare tanto, anche se mancano alcune basi come democrazia, istruzione, infrastrutture?
La Rete è ormai un altro mondo, cui il vecchio tende a somigliare (cadono le frontiere, l’Europa si dota di moneta unica; l’impero sovietico si apre al mercato e alle idee, la Cina smette di essere un mistero e si riduce a concorrente). La Rete, il mondo punto-zero è la terza rivoluzione della storia dell’umanità, dopo la scoperta dell’agricoltura e quella industriale. Chi si abitua alla parità che c’è sul web, accetta sempre meno le disparità che trova quando spegne il computer. I vecchi poteri cercheranno di controllare anche questo territorio di libertà, ma è sempre più difficile, paradossalmente, si direbbe, proprio per la possibilità di farlo troppo: puoi controllare, in Rete, se vuoi, tutto di tutti. È tanto, che ti ci puoi perdere, rischi di non riuscire a tener chiuse tutte le porte, tutte insieme. La Cina cerca di abbinare controllo della gente con anarchia produttiva, ma è una battaglia persa. La rete è uno strumento attraverso il quale puoi istruirti, raggiungere chiunque, intraprendere. Tanto che, dal mondo 1.0 (passaggio di informazione da uno a uno), si è velocemente passati a quello 2.0 (da uno a tutti e da tutti a uno: non più comunicazione, ma comunità) e ora si discute di 3.0 e @democracy, ovvero la definizione di regole per governare il mondo e il popolo della Rete: solo Facebook, con un miliardo di frequentatori, è stato definito “il terzo Paese più popoloso del pianeta”. L’innovazione, con la Rete, ha al suo servizio velocità e quantità. Dovunque ci porti, non possiamo evitare di andarci.
Condivido molte delle opinioni e delle idee di Pino, ma non posso fare a meno di pensare che ci sia il rischio concreto di spostare la discriminazione. Non più territoriale ma forse anagrafica, nel Web i giovani sono avvantaggiati rispetto agli anziani oppure discriminazione tecnologica, non a caso si parla spesso di Digital Divide. Non tutti hanno accesso allo stesso modo alla tecnologia né in Italia né in altre parti del Mondo.
Forse è un sogno ma mi piacerebbe che la tecnologia riuscisse davvero a essere democratica senza guardare in faccia nessuno e garantendo a tutti le stesse possibilità.
La tecnologia, intesa come nuovi media, può aiutare molto a superare ritardi storici di alcuni territori. Il sud può trarre dalla Rete, grosse opportunità, sia in termini di conoscenze sia in termini di movimento, delle idee e dei prodotti. Uno degli ostacoli storici alla crescita dell’economia meridionale è stato proprio il mancato collegamento con i grossi mercati europei, la lontananza anche fisica. Oggi molte idee d’impresa e molti prodotti viaggiano con un click e questo accorcia le distanze, mette in campo anche i luoghi più remoti. C’è poi un’idea di libertà legata alla conoscenza, all’informazione, che, con la Rete, si allarga, include anche chi era tagliato fuori. Infine, la Rete è un luogo dove insediare talenti creativi, non necessariamente produttivi, senza grossi costi e facendo leva prevalentemente sulle abilità personali. Saltano le mediazioni, ciascuno può esprimersi e questo dà più forza a chi era lontano dai luoghi, ad esempio, dell’editoria cartacea, musicale, dai mercati dell’arte. Chi ritiene di avere un talento creativo può provare a esprimerlo anche lontano dai centri tradizionali del potere. E avere, magari, successo.
Perché molti talenti decidono di lasciare il Sud?
Le possibilità sono due: insistere, oppure andarsene. Non biasimo nessuna delle due scelte. Chi vuole insistere, è giusto che lo faccia, sapendo i rischi e gli ostacoli che ci sono. Chi se ne vuole andare ha il diritto di farlo, sapendo che comunque non è facile sradicarsi, rinunciare a pezzi della propria identità. C’è sempre un costo. Nel mio libro ho usato una storia paradossale non per dire che in Italia, e a Napoli, le cose non si possono fare, ma che si fanno con grandissima difficoltà, e che si perdono grosse potenzialità. Potremmo fare cento, e invece facciamo venti. L’ottanta per cento della forza dei nostri talenti lo disperdiamo su ostacoli, problemi, fattori esterni che non si vogliono affrontare o risolvere. Accesso al credito, burocrazia, inefficienza della pubblica amministrazione, corruzione, criminalità organizzata sono ostacoli oggettivi allo sviluppo, e colpiscono soprattutto i più giovani, i più liberi, i più innovatori. Qualcuno resta, insiste, ci prova. Molti falliscono, qualcuno riesce. Altri se ne vanno, e diventano eccellenze nel mondo, lasciando a noi il rammarico di averli perduti.
Davvero la tecnologia è la panacea?
Io credo nella forza della rete, nelle nuove comunicazioni, nella tecnologia ma farei attenzione a non enfatizzarle troppo. Intanto perché queste hanno bisogno anche d’investimenti strutturali. Penso alla banda larga, cui mi pare sia estranea buona parte del Paese, e buona parte del Sud. Penso a una Pubblica amministrazione che ancora ti chiede di produrre carte. Penso a una scuola che è ancora attaccata ai feticci del passato, che fatica a modernizzarsi. Se non si fa un lavoro preliminare su queste aree, è difficile immaginare l’innovazione come campo di un nuovo sviluppo. Poi rifletterei sul fatto che noi, per rispondere al bisogno di lavoro che c’è al sud, abbiamo bisogno di creare occupazione di massa, per grossi volumi. Le start up che vedo in giro, nell’innovazione e nella tecnologia, almeno quelle nate in Italia, anche quelle più brillanti, mi sembra che diano occupazione a poche persone. Vedo grande intelligenza, talento creativo, ma poca capacità produttiva. Così sarà difficile superare la crisi del sud, che è soprattutto crisi occupazionale, mancanza di lavoro, mancanza di prospettiva personale.
La Rete però non è solo un’occasione di riscatto per il futuro è già presente e non mancano esperienze di successo come ad esempio Ninjamarketing,: se non fosse stato per internet come sarebbe stato possibile che un cult dell’economia digitale risiedesse a Cava de’ Tirreni, alle porte della Costiera Amalfitana lontano dai centri di potere? Quali sono i fattori critici di successo?
Per Alex Giordano, esperto di etnografia digitale – “Diciamo che aldilà di realtà pop la cosa interessante è che la natura tribale e diffusa, fatta di tante preziose bellezze e tipicità, tipica del mediterraneo, risponde perfettamente alla metafora della Rete e quindi mi aspetto che ci siano tante realtà che riusciranno ad interiorizzare l’etica del networking non solo nel web ma anche e sopratutto nelle forme di organizzazione, di cooperazione, di socializzazione. Solo così sarà possibile che il grano autoctono di Caselle In Pittari (nel Cilento) , saprà mettersi in rete con i volontari locali del WWF che insieme all’amministrazione comunale di Morigerati (sempre in Cilento) ha restaurato gli antichi mulini a pietra per fare un pane buonissimo che può essere venduto anche attraverso il web.”
Quest’approccio funziona con i singoli producendo eccellenze e best practices ma non funziona a livello macro e non diventa sistema, perché?
Perché dobbiamo capire che il social network non è un software, un qualcosa che risiede nel web, ma è un’etica da recuperare. E se saremo bravi a fare quello che non siamo stati bravi a fare, in altre parole sistema, potremo competere da leoni su un piano global.
Tutto quello che è emerso, è sicuramente da tenere a mente per la costruzione di un futuro migliore del Sud, in attesa di ciò però voglio rilevare alcuni casi virtuosi. Ci sono tanti casi meritevoli di essere citati e anzi mi piacerebbe che nei commenti citiate casi di successo che magari ancora non sono noti al grande pubblico.
progetto del Comune di Napoli voluto dall’AssessoreMarco Esposito che ha saputo risvegliare il magma che ribolliva a Napoli dando a molti ragazzi la possibilità di provare a realizzare i loro sogni. Alcuni numeri (5 tappe in 5 facoltà diverse napoletane, più di 100 partecipanti, 72 progetti, sei startup già finanziate tra cui DeRev di Roberto Esposito).
In Puglia segnalo: QIRIS: un incubatore di start-up e iniziative innovative, promotore tra l’altro di BeMyApp Italia, follow-app e Startificio. Laboratori dal Basso la nuova idea di Bollenti Spiriti e ARTI Puglia per sostenere le giovani idee di impresa con formazione guidata dalla domanda.
Dal mio punto di vista mancano ancora due cose per fare il salto di qualità: la capacità di fare sistema per costruire davvero un ecosistema dell’innovazione che aiuti tutti a realizzare i propri sogni, dove le Università insegnino agli studenti cosa vuol dire fare l’imprenditore, dove le istituzioni comprendano davvero il valore dell’innovazione delle nuove tecnologie, dove i capitalisti, non solo i Venture capitalist, ma anche i piccoli borghesi o i palazzinari capiscano che investire in innovazione possa essere molto conveniente. Inoltre manca ancora la vision, quella con cui ad esempio il mio amico Luca Perugini ipotizzavauna riconversione dell’Ilva di Taranto in un Data center di Google,
sarebbe bello se un’idea simile venisse ai nostri politici no?
Durante il tour nella Silicon Valley ho visitato Cloudera una startup protagonista nel settore dei Big Data.
Cloudera, sviluppa e distribuisce Hadoop, il software open source che alimenta i motori di elaborazione dei dati di siti web più grandi e più popolari al mondo.
Cloudera è leader nell’utilizzo del software Apache Hadoop-based e offre servizi e una potente piattaforma dati che permette alle aziende e alle organizzazioni di guardare tutti i loro dati – strutturati e non strutturati – in modo da rispondere a molte grandi domande dando di fatto una visibilità senza precedenti, il tutto alla velocità del pensiero.
Oggi, Cloudera è leader di mercato con decine di migliaia di nodi in gestione; i mercati serviti includono i servizi finanziari, pubblica amministrazione, telecomunicazioni, media, web, pubblicità, vendita al dettaglio, l’energia, la bioinformatica, farmaceutico / sanitario, ricerca universitaria, petrolio e gas, giochi e altro ancora.
Fondata da esperti di primo piano sui Big Data (tre migliori ingegneri di Google, Yahoo e Facebook (Christophe Bisciglia, Amr Awadallah e Jeff Hammerbacher, rispettivamente) a cui si si era unito con un ex Executive di Oracle (Mike Olson)) ha l’obiettivo di affrontare “i problemi inerenti l’analisi rapida ed efficace di grandi moli di dati.
Con sede in Silicon Valley, Cloudera ha il sostegno finanziario di Accel Partners, Greylock Partners e di alcuni angels tra i quali Diane Greene (ex CEO di VMware), Marten Mickos (ex CEO di MySQL), e Jeff Weiner (CEO di LinkedIn). I fondatori del progetto Hadoop, Doug Cutting e Mike Cafarella sono i consulenti di Cloudera.
Con Mike Olson, Chief Executive Officer di Cloudera, abbiamo ripercorso la storia dell’azienda, con un focus sul business model e sugli skills che deve avere la figura del Data Scientist.
Burlington, MA – 6 febbraio 2013 – Nuance Communications, Inc. (NASDAQ: NUAN) presenta al mercato italiano Nina – Nuance Interactive Natural Assistant – l’assistente virtuale per il customer service nell’ambito mobile.
Grazie al supporto di ben 38 lingue e l’ottimizzazione dell’esperienza in ambito mobile applicata a smartphone e tablet, le principali aziende a livello internazionale ritengono strategico integrare Nina nelle app per il customer service, con l’obiettivo di migliorare il proprio servizio clienti.
Nina si propone agli utenti come un’assistente personale virtuale con le vesti di una App disponibile su dispositivi Apple iOS e Google Android, offrendo un’interazione dinamica e intelligente grazie all’integrazione di tecnologie diverse: Speech Recognition, TTS (text-to-speech), biometria vocale e comprensione del linguaggio naturale (NLU, Natural Language Understanding) garantendo compatibilità con tablet, tra cui Apple iPad, iPad Mini e soluzioni con Android 4.1, in 38 lingue.
È inoltre la prima soluzione a offrire un tool di sviluppo SDK aperto, che consente di integrare rapidamente le funzionalità di un’assistente virtuale nelle app per dispositivi mobile esistenti. In aggiunta, Nina permette alle aziende di introdurre sul mercato l’assistente personale con il proprio brand, offrendo la possibilità di implementare voci TTS personalizzate.
“Proposta al mercato americano lo scorso agosto, Nina è la prima soluzione che permette agli utenti di sfruttare tutti i vantaggi di un’assistente personale direttamente nelle app per il mobile customer service. Il supporto di 38 lingue, ha permesso di affrontare e gestire un numero considerevole di richieste a livello internazionale e le aziende e i rispettivi clienti hanno dato un riscontro sorprendente” commenta Agostino Bertoldi, VP Southern Europe Divisione Enterprise & Mobility, Nuance Communications ” Anche il mercato in Italia si è dimostrato sensibile e interessato al modello tecnologico di Nina, comprendendo il valore e l’ambito di applicazione. Nina è un’assistente personale virtuale in grado di interagire con l’utente attraverso un dialogo interattivo e intelligente – prosegue Bertoldi – non solo riconosce le parole e la voce di chi le pronuncia, ma ne comprende il significato e il contesto, portando l’utente ad ottenere una risposta puntuale, riuscendo a prevedere la domanda, senza trascurare i requisiti di sicurezza. Il forte posizionamento e l’unicità nell’ambito delle tecnologie vocali, pone Nuance come leader indiscusso. Nina è l’ennesimo risultato dell’esperienza e della competenza di Nuance nello sviluppo di tecnologie sempre innovative.”
“Il vero fenomeno globale del momento è rappresentato dalle assistenti personali virtuali. Fornire allo stesso tempo un’ampia copertura linguistica, contestualizzazione intelligente, dialogo interattivo e comprensione del linguaggio naturale è qualcosa che solo poche aziende al mondo sono in grado di offrire” spiega Dan Miller, senior analyst di Opus Research. “Nuance è chiaramente fra le prime a far fronte alla crescente domanda globale di nuove opzioni di interazione per il mobile customer service, consentendo l’integrazione di un’assistente virtuale in mobile App e trasformare così uno smartphone in un assistente personale.
Aziende leader di tutto il mondo hanno scelto, in brevissimo tempo, di integrare Nina nelle proprie soluzioni rispondendo così alle esigenze del mercato dei settori diversi, dal finanziario alle assicurazioni, sanità, telecomunicazioni e prodotti consumer. USAA, il principale fornitore di soluzioni e servizi assicurativi e finanziari rivolti ai membri dell’esercito statunitense, a inizio 2013 ha annunciato pubblicamente di aver scelto di integrare Nina in una app già presente nei dispositivi mobile.
Nina include il tool di sviluppo (SDK) di Nina Mobile per Apple iOS e Android, che permette di collegarsi al cloud di Nina, disponibile ora in 38 lingue
Huawei is to launch a low-cost Windows Phone 8 device in seven African markets this quarter as part of a partnership with Microsoft to drive up smartphone penetration on the continent.
The Huawei ’4Afrika’ smartphone will be available in Egypt, Nigeria, Kenya, Ivory Coast, Angola, Morocco and South Africa “towards the later part” of Q1. It is expected to retail at around $150.
The device is a customised version of the Chinese vendor’s Ascend W1 smartphone launched at CES last month. It sports a 4-inch 480×800 display, dual-core 1.2 GHz Snapdragon processor, front and rear-facing cameras, and 4GB of internal storage. It also features a customised store offering apps and content “built and designed by Africans for Africans.”
The launch forms part of Microsoft’s wider 4Afrika initiative, which also launches today. Microsoft says Windows Phone already has a strong presence in Africa with devices from HTC, Samsung, and Nokia. Indeed, another aspect of 4Afrika is a joint Nokia and Microsoft customer training programme in Kenya and Nigeria designed to help accelerate adoption of Nokia Lumia 510 and 620 phones.
Huawei, meanwhile, has been active in Africa since 1999, and claims to have worked with more than 18 African governments.
Seguo il mondo delle startup per lavoro da alcuni anni; ho visto crescere questo fenomeno negli ultimi tempi in maniera vertiginosa, ormai tutti parlano di questo nel settore IT. Ultimamente il termine si sta affrancando ed è iniziato a diventare uno slogan da utilizzare anche per ministri o candidati premier. Questo accade in Italia ma non solo, addirittura c’è chi pensa di realizzare una speciale versione di X Factor – “X Factor for Tech” dove invece che talenti musicali ci siano giovani startuppers a contendersi fama e soldi. Sono nati alcuni termini come startuppers seriali, startup market, e così via. Ultimamente anche le grandi aziende hanno fiutato l’opportunità e hanno deciso di finanziare eventi in questo mondo, la prima è stata Telecom con Working Capital, a seguire Microsoft, Enel, etc… forse si sono accorti che è scattata l’ora dello startup marketing?
Vedo cose positive e cose negative e davvero non so quale possa essere la cosa giusta da fare, per far crescere questo movimento se cavalcare l’onda o magari abbassare i toni e puntare i riflettori solo su chi davvero ha avuto successo.
Ho chiesto aiuto ad alcuni amici che sono molto più esperti di me per provare a capirne qualcosa in più: Fabio Lalli, Presidente di Indigeni Digitali, Marco Marinucci e Alberto Onetti , Fondatori di _Mind The Bridge e Paolo Iabichino, Executive Creative Director di OgilvyOne e OgilvyAction Italia.
A loro ho posto queste domande:
Quanto le Startup sono una moda e quanto una realtà?
Fabio Lalli: penso che il termine startup in questo momento sia abbondantemente abusato E’ pur vero che il mercato è sempre trainato e stimolato da mode e quindi non saprei se sia un bene o un male. Quello che vedo in questo momento è una forte euforia che sta spingendo molti ragazzi a lanciarsi in un percorso imprenditoriale in alternativa alla ricerca del posto fisso. Da una parte c’è un vantaggio e riguarda lo stimolo e le nuove opportunità per una generazione che necessariamente ha bisogno di una nuova modalità di lavoro, dall’altra, il contro, è la creazione di tanti piccoli kamikaze che si sentono imprenditori solo per aver fatto due righe di codice o aver in mente la prossima Facebook.
Paolo Iabichino:Farei una distinzione: un discorso è farci prendere dall’euforia come spesso noi provincialissimi italiani facciamo facendoci affascinare dagli idiomi e dal fatto che la parola startup suona bene ed ha a che fare con il futuro, con la tecnologia e con l’innovazione. Sono tutti temi che ci stanno a cuore, molto affascinanti e seduttivi e quindi sono d’accordo con te, è una moda e il tema può essere facilmente strumentalizzato in chiave di marketing. Improvvisamente le aziende diventano tutti dei business angels tutte alla rincorsa dell’ultima idea etc. c’è pertanto un pericolosissimo fenomeno hype.
Tuttavia in un momento dove mancano realmente le opportunità e dove realmente manca la possibilità di confrontarsi con dei mentori e di avere delle guide in qualsiasi campo il fatto che ci sia qualcuno che decide di fare impresa in autonomia contando solo sulla bontà della propria idea è un bellissimo segnale. Vuol dire che nonostante tutto c’è qualcuno che ha voglia di mettersi o rimettersi in gioco. Quand’è che l’acqua s’intorbidisce? Quando il messaggio che arriva è quello della fascinazione della Silicon Valley; soldi facili e applicazioni create in 24 ore durante una maratona che fa tanto showbiz. Laddove vanno in onda questo genere di meccanismi io m’insospettisco.
Quello che non mi piace è la strumentalizzazione ai fini di marketing che è fatta ed una lettura un po’ superficiale del fenomeno. Per me una startup è anche il caso di un art director di 29 anni che si è rotto della multinazionale in cui lavora e apre una libreria a Trastevere od un caffè sui Navigli. Anche queste sono startup, anche se non hanno nulla di tecnologico, c’è qualcuno che ha avuto un’idea ed ha deciso di avviare un’impresa sfidando la sorte. Per essere una startup non c’è bisogno per forza di algoritmi o piattaforme tecnologiche in questo momento chi può ed ha un’idea e la mette in circolazione è solo da ringraziare, è salutare per l’intero Sistema Paese e deve essere incoraggiato.
Mi sembra che si sia un grosso hype ma numeri certi pochi, si parla spesso d’impatto potenziale ma oggi ?
Marco Marinucci: L’ecosistema delle startups, per quanto sia difficile misurarlo, è di certo in crescita, sia sul fronte della quantità sia della qualità. Come abbiamo annunciato all’inizio del Venture Camp, limitandoci al sottoinsieme dei 7 progetti scelti come vincitori del Venture Camp 2011 (IlikeTV, Vivocha, D-Orbit, Timbuktu, StereoMood, Vinswer, NextStyler). In meno di 10 mesi: in aggregato, $6.4M ricevuti di funding, una valutazione di oltre $32M. Ovvero 824% in più’ di valore di mercato in meno di un anno. Per non parlare del 156% di crescita di posti di lavoro creati da queste startup. Pochi, certo, in valore assoluto. Tuttavia creano a loro volta una cultura di startupper che diventa virale e fa crescere le opportunità’ in progressione biometrica.
Fabio Lalli: Questo credo sia normale. L’hype è generato dall’euforia e soprattutto da un’esigenza economica. La realtà è che non esistono cambiamenti sociali ed economici che fanno uno switch da 0 a 100 senza tutto il percorso intermedio. Per arrivare ad avere numeri interessanti in termini di realtà che fanno risultato, è necessario avere numeri straordinari in termini di produzione, avvio e morte. Penso sia normale, è sempre successo così, non credo che di aziende tessili o industriali ne siano nate solo quelle che poi sono emerse. Per 1000 che ne nascono, uno decolla.
Come presidente di ID mi dai numeri reali relativi l’Italia? Quante Startup? In che settori?Che fatturato?
Fabio Lallibeh questa domanda è difficile. Per quanto ci stiamo proponendo come osservatorio sulle startup da qualche giorno e stiamo iniziando una serie di studi (come estensione della mappa che abbiamo già realizzato che stiamo sviluppando ulteriormente) ti dico che numeri “ufficiali” non ne ho. Quello che posso dirti è che ora, trovato per lo meno un perimetro comune di definizione di startup, si può procedere con un’analisi più puntuale. Sul discorso fatturato… è ancora più difficile.
Si moltiplicano gli eventi e le competitions relative a questi settori, non c’è un rischio X Factor o Amici dove si vendono sogni e si illudono molti ragazzi? Siamo sicuri che qualcuno non ci stia speculando?
Alberto Onetti: Il fenomeno è di certo diventato una moda e come tale si presta a generalizzazioni che possono in alcuni casi, essere fuorvianti. Il fatto che se ne parli crediamo possa aiutare a farlo crescere e diffondere. Ovviamente diventa sempre più importante fare informazione obiettiva e non auto celebrativa. E’ quanto noi facciamo da anni per esempio con la nostra MTB Survey (link per il download http://venturecamp.mindthebridge.org/files/2012/10/SURVEY_MTB_2012_DEF.pdf). Da questi dati è evidente che startupper non ci s’improvvisa, ma sono necessaria istruzione ed esperienza.
Fabio Lalli: in tutto c’è qualcuno che specula, anche tra fantomatici Angels, Investitori e Incubatori. E’ normale: se c’è una domanda, c’è qualcuno che si propone con servizi per fare business. Questo è il mercato! Sul discorso eventi ne abbiamo parlato spesso anche in rete: non esiste il troppo o il poco. Ogni evento, per quanto marchetta, può dare allo startupper un beneficio fatto di contatti, relazioni, visibilità, accelerazione economica seppur minima o anche, non da sottovalutare, consapevolezza e stimolo a confrontarsi di più. Sta allo startupper capire quando, come, dove e quanto partecipare in base al suo progetto, all’esigenza e al mercato in cui si deve inserire.
Paolo Iabichino:Ti racconto un aneddoto qualche mese fa ho registrato un dominio Stortup.it, l’idea era di raccontare le storie delle decine, centinaia di startup che non hanno funzionato e soprattutto il perché non hanno funzionato. Raccontare i fallimenti da una prospettiva lucida (che inevitabilmente sono molti di più dei successi) può insegnare molto. In Italia abbiamo il tabù del fallimento e ciò è proprio contrario alla filosofia delle startup ovvero provare a realizzare la tua idea e provarci in ogni caso. Può andare bene o male ma se va male non devi essere messo alla gogna e invece in Italia succede questo. Il format dei talent show serve, però, forse a sdrammatizzare; spettacolarizzando, infatti, mitigo l’effetto fallimento addolcendolo; perché tutto sommato non abbiamo bisogno più di un business plan ma solo di 3 minuti di elevator pitch su un palcoscenico.
Il mondo del lavoro sta cambiando causa anche la crisi perdurante, la soluzione è l’auto imprenditorialità? Se sì come si cambia la storia e la cultura di un Paese come l’Italia dove il lavoro e’ stato sempre sinonimo di posto fisso?
Alberto Onetti: Il posto fisso fa parte di un mondo che non esiste più. Bisogna educare i giovani a essere imprenditori di se stessi. Il che non significa che tutti debbano fare partire una startup ma che debbano cogliere le opportunità che gli sono offerte dal mondo del lavoro con uno spirito imprenditoriale… Il lavoro viene sempre più di rado offerto, bisogna trovarselo e convincere il potenziale datore di lavoro del valore che si può produrre.
Fabio Lalli: Questa euforia sta cambiando la mentalità e l’approccio, e sta portando un cambiamento importante nella cultura del lavoro. Questo cambiamento è ancora incompleto e privo di molte strutture sia culturali sia organizzative. Culturali parlo di formazione e cultura imprenditoriale, e strutturale intendo la formazione e lo sviluppo di tutti quegli stakeholder necessari ad un ecosistema imprenditoriale (VC, incubatori, università, reti di imprese, …) come scritto anche in The Rain Forest.
Paolo Iabichino:Bisogna riflettere sul valore delle parole, nel senso che quando un ministro dice che forse siamo un po’ choosy, lasciando correre la superficialità dell’affermazione, forse è una verità con cui dobbiamo fare i conti ovvero cambiare drammaticamente la prospettiva rispetto ad un lavoro che siamo stati abituati a concepire in questo paese in un modo che purtroppo è diventato anacronistico. Come cambiare? Secondo me poiché è un fattore endogeno culturale che ci appartiene, dobbiamo educare le nuove generazioni: questo è un discorso che deve entrare nelle scuole, nelle università, nelle accademie. Dobbiamo aiutare chi deve entrare nel mondo del lavoro ad orientare le proprie professionalità in una logica più imprenditoriale che aziendalista, meno protettiva. Dovremmo cominciare già nelle scuole un lavoro d’inserimento o di “startup” con workshop progettuali in cui le persone si cimentano con quello che sanno fare e prendono le misure delle loro capacità di lavoro in autonomia, non necessariamente a livello imprenditoriale. Ed anche addestrare al turnover. I nostri ragazzi quando entrano a scuola si siedono in un banco e rimangono lì fino all’ultimo giorno di scuola. Le scuole devono diventare delle palestre di cambiamento La laurea non è più una condizione di privilegio non dà più nessuna garanzia, bisogna ripensare il nostro modo di studiare e formarci.
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