Uno spirito libero lo definirebbe un diario di viaggio, una mamma come il luogo per conservare le foto dei bambini fin dai primi passi, un uomo d’affari come una cassaforte in cui conservare informazioni importanti, una ragazzina sognante come un diario segreto, una nonna come il suo libro delle ricette. Non importa chi sei, quello che conta è cosa fai nella vita. Ognuno di noi ha una storia, qualcosa da raccontare. Su Lifekase puoi creare le tue storie ed affidarle alle persone della tua vita, oggi e in futuro. Rendi infinita la tua vita digitale.
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Crescono fatturato (247 milioni di Euro complessivi nel 2015, +34% rispetto al 2014) e numero di dipendenti assunti (2.420 unità, +55%). 90 startup hanno ricevuto finanziamenti da attori formali nel 2015 (rispetto alle 79 del 2014): il 75% appartiene al comparto Digital, il 17% al Life Science e Biotech e il 7% al Cleantech & Energy; emergono anche verticalità concentrate attorno ai settori tradizionali del “Made in Italy” (rivisitati in chiave hi-tech e Digitale) come il Foodtech e il Winetech, il Fashion e il Tessile avanzato e il Turismo digitale. Il Nord Italia continua a rappresentare il centro nevralgico dell’ecosistema, sia in termini di finanziamenti ricevuti (58%) sia di numerosità di startup finanziate (65%)
Il fatturato generato dalle startup hi-tech finanziate in Italia raggiunge i 247 milioni di Euro complessivi nel 2015 (+ 34% rispetto al 2014) e i dipendenti assunti e presenti a bilancio aumentano in termini sia assoluti che relativi, raggiungendo le 2.420 unità (+ 55% sul 2014). Il Nord Italia continua a rappresentare il centro nevralgico dell’ecosistema, sia in termini di finanziamenti ricevuti (58%) sia di numerosità di startup finanziate (65%); aumenta il peso percentuale sugli investimenti effettuati dagli attori formali in Sud e Isole, che passa dal 30% del 2014 al 36% del 2015, ma nello stesso periodo si riduce il numero di startup finanziate nel Mezzogiorno: un risultato determinato dalla rilevazione di alcuni grandi round di finanziamento focalizzati tuttavia su un numero ridotto di startup.
Queste sono alcune delle evidenze emerse dall’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano* in collaborazione con Italia Startup – l’Associazione dell’ecosistema startup italiano – giunto alla sua quarta edizione e presentato in occasione del convegno “Open Digital Innovation: imprese e startup insieme per ridisegnare il futuro”.
“Nel 2016 gli investimenti in capitale Equity di startup hi-tech in Italia ammontano a 182 milioni di Euro, in crescita del 24% rispetto al valore totale consolidato rilevato nel 2015 (147 milioni di Euro)”, afferma Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano. “Nonostante l’aumento riscontrato quest’anno, in Italia i Venture Capital investono ancora solamente 1/7 di quanto fanno le controparti tedesche e circa 1/6 di quanto finanziato da parte dei VC in Francia, mentre viene superato di pochi milioni di Euro il valore degli investimenti domestici dei VC spagnoli; la dimensione del mondo VC negli Stati Uniti rimane un “outlier” di difficile e rischiosa comparabilità rispetto al nostro mercato degli investimenti. Fa tuttavia ben sperare il potenziale ancora inespresso da molti fondi con disponibilità di investimento nel breve-medio periodo, che potrà costituire la linfa vitale per sostenere lo sviluppo nei comparti hi-tech”.
Gli investimenti in startup hi-tech italiane nel 2016 La componente legata al mondo formale sfonda per la prima volta il tetto dei 100 milioni di Euro, raggiungendo il valore assoluto di 101 milioni di Euro e crescendo del 33% (ossia di 25 milioni di Euro) rispetto al 2015: un messaggio positivo importante che arriva dagli attori formali, i quali tornano in maniera decisa a farsi carico – così come da loro ruolo istituzionale – di trainare la crescita dell’ecosistema, anche attraverso alcune grandi operazioni di finanziamento che superano i 10 milioni di Euro. La seconda componente, che aggrega il variegato mondo degli investitori informali o delle aziende che investono in capitale di rischio delle startup al di fuori di progetti strutturati di CVC, vede anch’essa un incremento significativo, passando dai 71 milioni di Euro del 2015 agli 81 milioni di Euro del 2016 (+ 14%).
“A questo dato complessivo sarebbe poi possibile aggiungere un’ulteriore componente, data dagli investimenti in startup hi-tech italiane provenienti da attori internazionali”, afferma Raffaello Balocco, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Hi-tech “Una prima stima di tali investimenti per il 2016 è pari a circa 35 milioni di Euro , i quali, sommati alle componenti precedenti, porterebbero il valore complessivo dei finanziamenti ricevuti dall’ecosistema a 217 milioni di Euro. Il 2016 si rivela dunque anno in cui gli investitori internazionali iniziano in maniera sostanziale e più continuativa a fornire sostegno alle startup italiane di qualità: questa dinamica, in crescita rispetto allo scorso anno, potrà e dovrà costituire una direttrice di sviluppo essenziale per dare una dimensione globale all’ecosistema nazionale (anche nell’ottica di incentivare il processo di internazionalizzazione delle startup nostrane, spesso abilitato proprio dall’intervento di attori esteri).”
“I dati che emergono dalla ricerca di quest’anno sono confortanti” afferma Federico Barilli, Segretario Generale di Italia Startup“e confermano un trend in crescita degli investimenti nel nostro Paese, già evidente nel 2015 e che quest’anno si è ulteriormente consolidato. Il ritardo rispetto a sistemi industriali analoghi al nostro, quali Francia e Germania, rimane consistente, ma il recupero è possibile. Siamo allineati con gli obiettivi del Governo, esplicitati nel programma Industria 4.0, di raggiungere 1 miliardo di investimenti in startup innovative entro il 2020. La leva fiscale, la semplificazione delle procedure, il coinvolgimento del mondo industriale italiano sono alcuni degli strumenti normativi previsti nella Legge di Bilancio che vediamo con favore e che fanno parte di un pacchetto di proposte condiviso di recente con 6 associazioni dell’ecosistema italiano delle startup e dell’innovazione”
I comparti hi-tech e la rivisitazione del “made in Italy” in chiave digitale Sono 90 le startup che a consuntivo 2015 hanno ricevuto finanziamenti da attori formali (rispetto alle 79 del 2014): di queste, il 75% afferisce al comparto Digital, il 17% al Life Science e Biotech e il 7% al Cleantech & Energy (il restante 1% mostra posizionamento in altre aree hi-tech). Oltre a questi macro-comparti, l’analisi mostra come emergano delle verticalità nell’ecosistema startup, di norma concentrate attorno ai settori tradizionali del “made in Italy” (rivisitati in chiave hi-tech e Digitale) come il Foodtech e il Winetech, il Fashion e il Tessile avanzato (per quanto riguarda sia i materiali intelligenti sia le tecnologie produttive all’avanguardia) e il Turismo digitale; ma sempre più spesso si assiste alla nascita di realtà ad altissimo potenziale in ambito Life Science e, con frequenza minore, nel Cleantech & Energy.
Le performance e le dinamiche delle startup hi-tech finanziate Nel 2016 prosegue quel consolidamento e quella sistematicità già evidenziata all’interno della Ricerca 2015 per quel che concerne il ciclo di vita delle startup hi-tech finanziate. Nella fase di introduzione/finanziamento, 44 startup hanno ricevuto almeno 1 milione di Euro in investimenti da attori formali e informali, con un trend crescente del 25% se confrontato con il 2014. Relativamente alla fase di crescita, sono 67 le startup con un fatturato superiore a 1 milione di Euro nel 2015 (rispetto alle 51 del 2014). Per quanto riguarda la fase di consolidamento o “exit”, si rilevano diverse operazioni degne di nota: al 7 ottobre 2016 sono 19 le exit per trade sale (acquisizione da parte di aziende consolidate) o IPO (quotazione) da noi registrate nell’anno, da paragonarsi alle 25 exit conclusesi complessivamente nel 2015.
Tuttavia, nonostante il consolidamento e la sistematicità riscontrati, la mancata crescita sostanziale nel numero di grandi operazioni di finanziamento, e soprattutto di exit, rappresenta un ulteriore segnale che l’atteso rinascimento – o svolta strutturale dell’ecosistema – non è ancora del tutto arrivato. Le exit infatti costituiscono operazioni essenziali per ripagare gli investimenti dei VC e degli investitori informali, così da generare quella fluidità in termini di nascita e consolidamento di startup e quella liquidità che possano davvero far svoltare l’ecosistema italiano. L’ecosistema mostra in questo ancora la sua relativa giovinezza e forte necessità di crescita dimensionale.
“Complessivamente, con riferimento agli investimenti in startup hi-tech in Italia e allo stato di salute dell’ecosistema, alla luce delle nostre analisi non è ancora possibile parlare del 2016 come anno di ‘svolta strutturale’ ”conclude Antonio Ghezzi “Dati alla mano, risulta al contrario più corretto parlare di una serie di segnali positivi tangibili che, se sfruttati sinergicamente e amalgamati per mezzo di corretti interventi su tutti i livelli (politico e privato, formale e informale), potranno rappresentare un ulteriore passo in avanti per l’universo delle startup italiane, inteso come sistema “poroso” e sempre più aperto all’internazionalizzazione e alla commistione con il mondo delle aziende consolidate.”
CeBIT 2017 will present everything businesses need in order to make the transition from paper-based to digital office processes. The technologies on show range from software for managing vacation requests and billing to systems for securely archiving emails and storing mission-critical documents. Going paperless is an area where SMEs in particular have a lot of catching up to do. And it can be a complex, challenging job, so expert advice is a must. The digital office solutions on show at CeBIT 2017 will be clustered in Hall 3.
Hannover. CeBIT 2017, which runs from 20 to 24 March in Hannover, Germany, is totally geared towards helping companies achieve digitalization across all functions – from HR, finance, purchasing and sales and marketing to logistics and R&D.
The digital office aspect of this transformation is the stuff of Hall 3, home to the show’s Enterprise Content Management (ECM) and Input/Output Management Solutions showcase. Investing in digital office technology really pays off – as any company that has already made the transition will confirm. In Germany, for example, 74 percent of companies surveyed as part of a “Digital Office Index” study by the IT industry association BITKOM reported that implementing new digital office software had improved the performance of their internal office and administrative processes. The benefits also flow through to customers, with 63 percent of respondents confirming that their newly optimized processes had resulted in a marked increase in customer satisfaction. What’s more, 51 percent said the change had also improved their data security.
As part of its ECM involvement in Hall 3 at CeBIT 2017, BITKOM is organizing a “Digital Office Area” where manufacturers, providers and advisors will present offerings from all areas of digital office technology. The scope of the showcase is extensive, encompassing everything from the latest tools for mobile collaboration and communication to solutions for process automation and cloud-based archiving to advanced systems for scanning and printing documents.
Visitors to the Digital Office Area will be able to witness real-life user examples and draw valuable parallels for their own organizations. And those who wish to delve more deeply into the subject will be able to do just that at the “Digital Office Stage” expert forum where, throughout CeBIT (20–24 March), experts will explore the opportunities and challenges associated with digitalizing office processes.
CeBIT – Global Event for Digital Business
CeBIT is the world’s foremost event on the wave of digitalization revolutionizing every aspect of business, government and society. Every year, the show features a lineup of around 3,000 exhibitors and attracts some 200,000 visitors to its home base in Hannover, Germany. The spotlight is on all the latest advances in fields such as artificial intelligence, autonomous systems, virtual and augmented reality, humanoid robots and drones. Thanks to a rich array of application scenarios, CeBIT makes digitalization tangible in the truest sense of the word. “d!conomy – no limits,” the chosen lead theme for 2017, underscores the show’s emphasis on revealing the wealth of opportunities arising from the digital transformation. As a multifaceted exhibition/conference/networking event, CeBIT is a perennial must for everyone involved in the digital economy. The startup scene is also right at home at CeBIT and its dedicated SCALE 11 showcase, which sports more than 400 aspiring young enterprises. The next CeBIT will be staged from 20 to 24 March 2017, with Japan as its official Partner Country. For further information, visit www.cebit.de.
Grazie a beBee si coinvolgono professionisti attraverso le passioni in comune
Un social media con contenuti sempre interessanti e selezionati dagli utenti
La possibilità di creare relazioni personali e professionali attraverso i propri interessi
Engagement through passions: coinvolgere grazie alle proprie passioni, questo è il motto che guida la startup spagnola che ha esordito da pochi mesi in Italia con numeri sorprendenti. beBee lavora per creare un mondo professionale più aperto e connesso.
Relazioni e business, non semplici contatti professionaliCiò significa che i contenuti e le informazioni che vengono proposti sono assolutamente interessanti per gli utenti, dato che sono loro a sceglierli. Se, ad esempio, si è interessati solamente alla scienza e alla moda, si vedranno esclusivamente argomenti relativi ai due settori selezionati. Ed è proprio questo il fattore chiave che consente di conoscere persone che condividono gli stessi interessi.
La piattaforma permette ai professionisti che hanno interessi comuni di ritrovarsi e iniziare a costruire rapporti commerciali e relazioni più solide e non limitarsi al semplice contatto.
Bebee – il brand
La “gamificación” è uno strumento di marketing e la marca “beBee” ha lavorato molto su questo aspetto. Sul social si parla di “api” (utenti), “alveari” (gruppi di affinità) e buzz delle api (il ronzio, che sarebbero i link condivisi). Mentre gli articoli più lunghi e scritti integralmente dalle api sono il “miele”, e si trovano nella sezione di blogging denominata Producer.
Piattaforma di blogging
beBee, inoltre, offre la possibilità a tutti di creare facilmente un blog. Si tratta di beBee Producer (www.bebee.com/Producer), in cui ogni utente può introdurre articoli, in modo facile e veloce. E tra poco sarà disponibile anche uno spazio di blogging collaborativo.
Il nostro slogan: “Engagement through passions”
La nostra missione: “Rendere il mondo professionale più aperto e connesso”
➢ È possibile accedere a beBee attraverso il sito webwww.bebee.com o via app mobile disponibile per sistemi Android e iOS.
BEBEE IN BREVE
beBee, il social media con cui fare networking professionale grazie agli interessi personali. Attraverso beBee, gli utenti possono quindi accedere a contenuti che loro stessi reputano rilevanti, seguendo determinati gruppi tematici (denominati alveari) personalizzabili.
La nascita del social risale al febbraio del 2015, inizialmente con le sole versioni in inglese, portoghese e spagnolo. Oggi, beBee è disponibile anche in italiano, francese, russo e tedesco e conta con oltre 11 milioni di iscritti.
Tra i top retailer prevalgono le innovazioni di back-end (il 91% dei rispondenti ne ha implementata almeno una) come CRM e fatturazione elettronica, seguono le innovazioni di front-end in punto vendita (attivate nell’80% dei casi) trainate dai pagamenti innovativi. Marketing e Vendite sono le funzioni più interessate dallo sviluppo, dalla ricerca e dal potenziamento di professionalità legate all’innovazione digitale: l’eCommerce Manager è considerato indispensabile per 6 aziende su 10.
Costi elevati e mancanza di competenze interne frenano l’innovazione dei medio-piccoli retailer: 6 su 10 sono presenti sul web, ma solo il 15% ha un sito di eCommerce. Tra i piccoli retailer che vendono online, i ricavi via eCommerce crescono del 10% e valgono tra l’1 e il 5% del fatturato.
I top retailer italiani sono consapevoli che per affrontare le nuove sfide è necessario un disegno complessivo di trasformazione. Tuttavia il 65% è frenato dall’assenza di una chiara strategia di innovazione digitale nei confronti di temi come la digitalizzazione del consumatore, la complessità crescente dei processi e la competizione delle Dot Com, anche se 3 su 4 si dichiarano al lavoro per definirla. L’assenza di una chiara strategia si traduce in un livello di investimento inadeguato: anche se registra una crescita interessante, passando dal 15% del totale degli investimenti annuali nel 2015 al 17% nel 2016, la spesa in digitale dei top retailer è ancora inferiore a un punto percentuale del fatturato. Queste alcune delle evidenze emerse dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano* e giunto alla sua terza edizione.
“In un contesto di domanda complessivamente stagnante, il futuro dei retailer italiani è legato alla capacità di individuare target e strategie, muovendosi sul piano dell’efficienza e su quello della bontà del servizio ai clienti finali. Sono sostanzialmente gli stessi problemi che stanno affrontando i retailer tradizionali di tutte le economie avanzate, con la differenza – rispetto non solo agli Stati Uniti ma anche a molti Paesi europei – che la nostra distribuzione è estremamente frazionata e che le nostre imprese maggiori sono piccole.” afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, “Sia l’efficienza sia la bontà del servizio offerto al cliente possono trarre notevoli giovamenti dalla digital transformation: una trasformazione che ha speranze di successo solo se non è vissuta come un’operazione meramente tecnica, da delegare agli specialisti dell’IT, e che spesso richiede la presenza di un ecosistema di imprese – solitamente startup per la novità dei compiti svolti – in grado di svolgere quelle funzioni di servizio che il retailer non può sviluppare in casa, perché non ne ha le competenze e/o le convenienze.”
L’Osservatorio ha condotto una survey sui top retailer italiani (i primi 300 retailer per fatturato, presenti in Italia con negozi fisici) analizzandone la maturità digitale attraverso lo studio del livello attuale di adozione e dell’intenzione di adozione futura delle tre principali categorie di innovazioni: nel back-end (processi di interazione retailer-fornitori o processi interni del retailer), nella customer experience in punto vendita e a supporto dell’omnicanalità.
Le innovazioni digitali nel back-end sono le più diffuse e consolidate tra i top retailer italiani: il 93% del campione ne ha adottata infatti almeno una. Gli investimenti nel 2016 sono stati maggiormente focalizzati su soluzioni di CRM (25% del campione), soluzioni a supporto della fatturazione elettronica e dematerializzazione (19%), sistemi ERP (18%), sistemi di business intelligence analytics (18%) e soluzioni per incrementare le performance di magazzino, come il voice picking (16%). Per il 2017, oltre il 40% dei top retailer dichiara un potenziale interesse di investimento in sistemi per il monitoraggio dei clienti in negozio (attraverso telecamere e sensori), sistemi di tracciamento dei prodotti lungo la supply chain (attraverso RFId) e soluzioni di intelligent transportation system.
L’80% del campione di top retailer ha sviluppato almeno una innovazione digitale nel front-end a supporto della customer experience in punto vendita. Le soluzioni su cui si sono concentrati maggiormente gli investimenti nel 2016 sono sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi (22%), sistemi per l’accettazione di couponing e loyalty (19%) chioschi, totem e touchpoint (15%), sistemi di cassa evoluti e Mobile POS (15%) e digital signage e vetrine intelligenti (13%).
Per quanto riguarda l’omnicanalità, infine, la quasi totalità dei retailer utilizza i canali digitali per supportare le fasi di pre-vendita o post-vendita, o per abilitare la vendita. Più precisamente, l’88% dei retailer (era l’80% nel 2015 e il 65% nel 2014) è presente sia online sia su mobile, mentre il 10% è presente solo online e l’1% solo su mobile. Sull’online, il 35% del campione ha sviluppato un sito istituzionale per supportare il pre e post-vendita, mentre il 65% (era il 61% nel 2015) ha un sito di eCommerce per vendere online. Sul mobile, il 34% del campione ha un’iniziativa, App o Mobile site, per offrire funzionalità nel pre e post-vendita e il 55% (era il 42% nel 2015) ha un’iniziativa di Mobile Commerce.
“All’interno del negozio, l’attenzione per il futuro è focalizzata su innovazioni volte a rendere il processo di acquisto più personale, ossia più rispondente alle esigenze del singolo cliente, e più esperienziale, ossia indirizzato a stupire.” afferma Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano “Oltre Il 55% dei retailer dichiara infatti di voler investire nel 2017 in sistemi di indoor positioning, digital signage e vetrine intelligenti, specchi e camerini smart, tecnologie basate sulla realtà aumentata e stampanti 3D. Il successo dell’eCommerce e l’aumento della competizione da parte delle Dot Com costringono poi a una riflessione più profonda sul ruolo futuro dello store in ottica omnicanale”.
Nuove professionalità legate all’innovazione digitale Tra le sfide da affrontare nei prossimi anni attraverso l’innovazione digitale i retailer intervistati segnalano la capacità di ingaggiare e fidelizzare maggiormente i propri clienti (54% del campione), il miglioramento della customer experience in negozio (40%), l’integrazione del negozio fisico e del sito eCommerce (36%) e l’estensione del mercato potenziale attraverso l’omnicanalità (25%). Sono quindi il Marketing e le Vendite le funzioni più interessate dallo sviluppo, ricerca e potenziamento di professionalità legate all’innovazione digitale.
“Tra le figure oggi più ricercate, quella ritenuta più indispensabile da oltre il 60% dei top retailer è l’eCommerce Manager, incaricato del funzionamento dell’online store e della sua integrazione con i canali tradizionali.” afferma Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail. “Seguono con il 55% il CRM Specialist/Manager, impegnato nelle strategie di customer retention & Loyalty, e il Digital Officer, responsabile della digital transformation. Sono ritenuti importanti anche il Digital Marketing Specialist/Manager (54%), il Customer Analytics Specialist/Manager (53%), il Social Media Specialist/Manager (46%) e il Digital Communication Specialist/Manager (42%), ossia tutte le figure che gestiscono e ottimizzano le strategie e le performance legate ai canali web/social dell’azienda”.
I medio-piccoli retailer italiani L’introduzione di innovazione digitale è una priorità per due su tre dei medio-piccoli retailer intervistati. Tuttavia, come per i top retailer, l’incidenza dell’investimento in innovazione digitale è limitata a pochi decimi di punto percentuale del fatturato generato: circa lo 0,2% o lo 0,3% sopratutto a causa dei costi elevati e della mancanza di competenze interne.
Le innovazioni digitali nel back-end sono le più diffuse e consolidate: il 91% del campione ha sviluppato almeno un’innovazione in questi processi, prevalentemente sistemi di comunicazione via web con i fornitori, fatture e bolle elettroniche e sistemi gestionali basati su supporti elettronici.
Il 90% dichiara di aver investito nel miglioramento della customer experience in punto vendita: pubblicizzando la propria attività tramite un canale innovativo (sistemi di pubblicità via web, email, Sms o Social Network), installando sistemi di cassa evoluti e Mobile POS o attivando sistemi promozionali via Sms o coupon digitali, adottando sistemi di sales force automation o installando chioschi, totem o touchpoint all’interno del punto vendita. Il 61% ha infine abilitato innovazioni a supporto dell’omnicanalità. 6 rispondenti su 10 sono presenti sul web, con una scheda di descrizione su un portale online (13%), con un sito informativo (35%) o con un sito eCommerce (15%). 2 rispondenti su 10 hanno sviluppato un’iniziativa sul mobile e altri 2 su 10 stanno pensando di realizzarla a breve. Per i medio-piccoli retailer con un sito eCommerce, le vendite online incidono tra l’1% e il 5% del fatturato online e nella maggior parte dei casi crescono rispetto al 2015 con un tasso superiore al+10%. Iniziano inoltre ad essere offerti anche dai medio-piccoli retailer servizi omnicanale “evoluti” come il click&collect (50% dei rispondenti con eCommerce) e il reso in negozio (25%).
*L’edizione 2016 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail è realizzata con il patrocinio di CONFESERCENTI e Federdistribuzione e con il supporto di Di.Tech, EY, GS1 Italy, Hewlett Packard Enterprise – Intel, HYPE Gruppo Banca Sella, Ingenico Italia, Olivetti, Paypal, TESISQUARE Retail, Toshiba Global Commerce Solutions, Vodafone Italia; Cloud4Wi, Intesa Sanpaolo, Poste Italiane, Praesidium, SIA, Tyco.
Nel mondo dell’innovazione e della tecnologia il tempo scorre più veloce e le cosa cambiano rapidamente, sembrava ieri che si celebrava l’app economy ed ecco che all’improvviso tutto cambia!
Satya Nadella – CEO di Microsoft alla conferenza di sviluppatori Microsoft BUILD 2016 ha dichiarato: “I BOTs saranno le APP del futuro”.
Le abitudini degli utenti stanno cambiando:
Insomma è scoccata l’ora dei BOTs!
I BOTs sono, fondamentalmente, assistenti digitali che erogano un servizio simulando l’interazione con un altro essere umano.
I primi BOTs, sotto forma di veri e propri assistenti virtuali, sono stati il servizio SIRI – integrato nel sistema operativo iOS dei vari iPhone ed iPad – e CORTANA – l’assistente virtuale del mondo Windows. Entrambi i servizi, sfruttando algoritmi di intelligenza artificiale, riconoscimento vocale e collegamento ad Internet, riescono a soddisfare quasi ogni richiesta che gli viene posta ( tra i possessori di iPhone c’è quasi una competition nel provare a mettere in imbarazzo SIRI con domande al limite del consentito).
La prima caratteristica di un BOT è la sua facilità d’uso e la quasi assenza della fase di apprendimento dell’utilizzo perchè, per l’interazione con i propri utenti, si utilizzano forme di comunicazione cui si è naturalmente abituati – come ad esempio la voce – oppure esperienze d’uso comuni come quelle adottate nelle applicazioni di messaggistica quali Telegram oppure Facebook Messenger, tra quelle che negli ultimi tempi hanno accelerato lo sviluppo dei BOTs ed il loro utilizzo.
C’è stato quindi un proliferare di servizi Meteo, Sportivi, di News e molto altro che vivono e si sviluppano all’interno delle stesse applicazioni di messaggistica pre-esistenti. Per sfizio fatevi un giro qui:
In pratica, le applicazioni di messaggistica sono, di fatto, diventate gli ecosistemi all’interno dei quali sviluppare servizi di assistenza digitale per ampliare l’esperienza d’uso delle applicazioni stesse o sviluppare nuovi servizi che possano sfruttare le potenzialità offerte dalle piattaforme di messaggistica.
La seconda caratteristica dei BOTs, è il loro essere applicazioni residenti in applicazioni pre-esistenti: App-in-App, ovvero applicazioni sviluppate all’interno di Sistemi Operativi o Applicazioni di messaggistica per sfruttarne ed ampliarne le funzionalità.
I BOTs possono essere semplici – ovvero l’esperienza si riduce a fare una domanda, sottoporre una richiesta e ricevere una risposta pre-configurata – ma possono essere anche molto complessi simulando l’interazione umana infatti sfruttando le tecnologie di ricerca semantica e algoritmi di Intelligenza Artificiale, i BOTs possono esporre un’esperienza, per l’utente, simile all’interazione umana.
La terza caratteristica dei BOTs è la possibilità di interagire in forme simil-umane utilizzando algoritmi, proprietari o aperti, di Intelligenza Artificiale ed analisi semantica.
Facebook, con la piattaforma Wit.ai, mette a disposizione un servizio di API e strumenti per utilizzare ed integrare algoritmi di Intelligenza Artificiale nei propri BOTs ed aumentarne le capacità di interazione con i potenziali utenti.
Il vantaggio per l’utente è chiaro. Si arricchisce la gamma di servizi e funzionalità di applicazioni che già si utilizzano quotidianamente senza dover imparare nuove funzioni o scaricare nuove applicazioni: i BOTs solitamente sono esposti come un semplice link, si clicca e si ha subito tutta una nuova gamma di servizi.
Ma cosa cambia per gli sviluppatori, in particolare per quelli che sviluppano applicazioni mobili ?
La prima e più importante “possibilità” data dall’introduzione dei BOTs è l’applicazione del concetto: scrivo una volta sola il software e funziona ovunque in quanto i BOTs sono applicazioni di tipo back-end che elaborano le richieste degli utenti ed espongono il risultato dell’elaborazione.
Utilizzando l’esempio delle applicazioni di messaggistica – Telegram, Facebook Messenger etc. – in pratica il BOT attende il messaggio dell’utente, che si è iscritto al servizio e risponde, nella stessa forma di messaggio, con quanto elaborato iniziando l’interazione classica di uno scambio di messaggi tra amici.
Da qui deriva che, definito l’algoritmo che gestisce il servizio, la pubblicazione dello stesso – e quindi dell’applicazione BOT – si risolve nel pubblicarlo all’interno dell’ecosistema dell’applicazione ospite senza dover, di volta in volta, riscrivere tutto o sfruttare qualche framework cross-platform come quando si tenta di scrivere un’applicazione mobile che vada bene per tutte le piattaforme, ovvero che giri su iOS ed Android.
Un risparmio di tempo e di costi notevole che permette allo sviluppatore di dedicare molto più tempo all’applicazione ( alias il BOT ) ed alle sue funzionalità e non allo sviluppo del codice multi-piattaforma. Un ulteriore vantaggio che si declina in un minor tempo di rilascio. Una caratteristica fondamentale soprattutto per gli sviluppatori indipendenti a cui viene consentito un migliore e più efficace utilizzo delle risorse, spesso limitate.
Inoltre, sviluppare all’interno di un’applicazione ospite significa non dover preoccuparsi della parte di esperienza utente legata all’interfaccia. Questo risolve l’annoso problema della frammentazione dei vari dispositivi in termini di dimensioni dello schermo e risoluzioni. Per lo sviluppatore si traduce nella possibilità di pubblicare un’applicazione per un mercato vastisissimo sin dall’inizio ed operare su tutte le piattaforme mobili disponibili.
Se realizzo un’applicazione BOT per Facebook Messenger questa sarà disponibile fin da subito per iOS, Android, Windows Mobile e, soprattutto, per tutti i 900 milioni di utilizzatori del servizio made in Facebook.
I BOTs, offrono la possibilità di un engagement iniziale elevato e multi-piattaforma.
Dal lancio della piattaforma Messenger Platform avvenuto ad F8 lo scorso aprile (la piattaforma di sviluppo con la quale – utilizzando una serie di API è possibile sviluppare servizi che risiedano all’interno di Facebook Messenger) le aziende e gli sviluppatori hanno costruito più di 34.000 bot per entrare in contatto con le persone.
Proprio grazie alla rapida adozione dei bot per Messenger e ai feedback ricevuti, Facebook ha deciso di offrire due nuove risorse per rendere la costruzione e la misurazione dei bot più facile che mai: il supporto Analytics e nuove opportunità con FbStart.
Facebook Analytics per le app: supporto ai Bot per Messenger. A partire da oggi, Facebook rende disponibile Facebook Analytics per le app anche alle imprese che costruiscono bot per Messenger, diventando una delle prime soluzioni nel settore a fornire insight sui bot.
FbStart dà il benvenuto agli sviluppatori di Bot per Messenger. A partire da oggi, gli sviluppatori di Messenger Platform possono fare richiesta per entrare in FbStart, il programma globale di Facebook che aiuta le startup mobile nella costruzione e nella crescita delle loro app. www.fbstart.com
N.B. Questo articolo è stato scritto con la collaborazione fondamentale di Antonio Candela, Sviluppatore software mobile e web che sarà docente del corso chatBOTday (organizzato dal team di hackBIz: Antonio Candela, Antonio Russolillo e Antonio Savarese) che si terrà il 3 dicembre a Napoli presso il BIC di Città della Scienza.
Quello chiuso dalla più grande piattaforma europea per i talenti del digitale è il secondo round d’investimento in Europa nel settore. Talent Garden per la crescita punta su coworking, formazione, eventi e innovazione con le aziende.
Talent Garden S.p.A., la più grande piattaforma in Europa per i talenti nel digitale, ha chiuso un’aumento di capitale da 12 milioni di euro per accrescere la sua rete di spazi coworking e puntare su formazione, eventi e innovazione con le aziende. Si tratta del secondo più rilevante financing round realizzato a livello europeo nel settore, la raccolta tra equity e debito, vede – per la prima volta in Italia – la partecipazione di 500 Startups, il più grande incubatore al mondo basato a San Francisco e diretto da Dave McClure, ed Endeavor Catalyst, sponsor Reid Hoffman founder di LinkedIn. Al suo fianco sono intervenuti molti family office italiani, con la regia di Tamburi Investment Partners (TIP), che ha partecipato al round anche direttamente ed è oggi tra i principali azionisti della società. Tra questi le famiglie Angelini e Dompé (farmaceutica), gli armatori D’amico, gli imprenditori del settore metallurgico della Ferrero a cui si aggiungono imprenditori del digitale italiano come Volagratis, MutuiOnLine, Alkemy ed Esprinet.
Talent Garden è il più grande network di coworking d’Europa per numero di sedi: da Brescia, dove è nato cinque anni fa, è arrivato oggi a 17 campus in 5 Paesi europei, con più 1500 professionisti del digitale che lavorano negli spazi, centinaia di manager provenienti da decine di aziende formati da TAG Innovation School, la scuola dell’innovazione di Talent Garden, e centinaia di studenti che ogni giorno si formano per diventare i professionisti del futuro. In aggiunta si contano oltre 500 eventi ospitati o organizzati ogni anno nei diversi campus sui temi dell’innovazione e del digitale.
Secondo Davide Dattoli, founder e CEO di Talent Garden: “È una soddisfazione immensa, con questa operazione rafforziamo la nostra leadership a livello europeo e soprattutto incrementiamo la forza di un network ormai unico, che partendo dall’Italia si è sviluppato in molti Paesi con l’obiettivo di espandersi in tante altre città. Siamo già il terzo player a livello mondiale per numero di campus e vogliamo realizzare il nostro sogno di connettere i talenti più innovativi e brillanti, non solo europei.”
Talent Garden con questo round si posiziona come primo player in Europa in un settore in crescita in cui velocità e qualità del network sono fondamentali. La scommessa dei più grandi investitori internazionali è quella di riconoscere che il mondo del lavoro è cambiato e che sono necessari nuovi player che offrano servizi innovativi e uno spazio di lavoro in continua evoluzione con una forte componente di community, dove si impara e ci si connette grazie a corsi ed eventi.
Negli Stati Uniti il coworking continua a essere uno dei settori di maggior interesse e attrae capitali molto importanti: WeWork, società basata a New York, ha raccolto più di 620M$ negli ultimi due anni. Sempre nella Grande Mela General Assembly ha raggiunto 110M$ mentre NeueHouse 25M$. A San Francisco, altra roccaforte del coworking, RocketSpace ha chiuso un round da 336M$ e Galvanize da 45M$.
Nel dettaglio il piano industriale 2017-2018 si focalizza su:
Il coworking di Talent Garden, partner per lo smart working: obiettivo è aprire direttamente una decina di nuovi spazi in Europa entro la fine dell’anno per un totale di 70.000 mq e 8.000 talenti connessi al network. Luoghi aperti 24h al giorno in cui tutti i professionisti dell’innovazione, siano essi freelance, startup, PMI digitali o grandi imprese con le proprie aree innovazione, possano trovare uno spazio di lavoro innovativo pensato per stimolare la produttività e aumentare le relazioni professionali. Il piano prevede inoltre l’ampliamento della rete di franchising già presente per fornire un servizio sempre più capillare nei diversi territori.
La formazione di TAG Innovation School, aggiornarsi oggi per il lavoro di domani: la prima scuola del digitale in Europa per numero di studenti e aziende formati continuerà a crescere in Italia (a gennaio 2017 aprirà la nuova sede di Roma) e all’estero (nei mercati in cui Talent Garden è già presente) per preparare i professionisti del domani alle professioni più richieste dal mondo del lavoro (sviluppatore software, designer digitale, esperto di e-commerce, esperto di big data). Forti investimenti anche sulla parte B2B, per aiutare le aziende nel processo di digital transformation formando manager ed executives con percorsi formativi personalizzati.
Gli eventi Talent Garden, per connettere innovatori e aziende: grazie alla presenza capillare sul territorio, Talent Garden si è affermato anche come il luogo dove gli innovatori si incontrano, dove imprese e startup sviluppano collaborazioni e dove tanti professionisti si aggiornano e fanno networking nel mondo del digitale. In tale ambito l’aumento del numero di spazi e di mercati in cui opera rende Talent Garden un player unico per connettersi con il meglio dell’innovazione europea e globale.
Continua Davide Dattoli, founder e CEO di Talent Garden“Siamo partiti 5 anni fa con un piccolo spazio a Brescia, abbiamo creduto nella sfida di crescere in Italia ed Europa, nella diversificazione del nostro business e oggi non siamo più solo un coworking pur essendo in tante città in Europa. Abbiamo una divisione che si occupa esclusivamente di realizzare eventi e attività con clienti corporate e da un anno abbiamo anche TAG Innovation School con una proposta formativa sui temi del digital che coinvolge studenti ma anche tante aziende che vogliono cambiare il loro modo di lavorare. Abbiamo esportato il nostro modello in Europa e, dopo Spagna, Lituania, Romania e Albania, puntiamo ai mercati dove l’innovazione sta nascendo, fuori dai circuiti di Londra e Berlino dove esistono già tanti player molto radicati. Il nostro obiettivo è di arrivare in borsa entro la fine del 2018.”
Sono tante le attività che Talent Garden chiuderà tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017: l’apertura della seconda sede di TAG Innovation School a Roma, il lancio del nuovo spazio di Torino realizzato in collaborazione con Fondazione Agnelli e nuove sedi internazionali che amplieranno il network e il valore per i suoi membri. Questo si affianca ai risultati del 2016 come l’apertura di Talent Garden a Roma prima con Poste Italiane in Viale Mazzini e poi all’interno di Cinecittà, con un campus dedicato alla multimedialità, due realtà che si sono già affermate come centri dell’innovazione nella capitale. L’apertura di Talent Garden Bucarest che rafforza la presenza nell’est Europa e Supernova, il festival dell’innovazione targato Talent Garden che quest’anno ha superato i 100.000 visitatori tra Brescia e Torino.
La società si appresta a chiudere il 2016 con circa 5M di euro di fatturato consolidato e un tasso di crescita del 300% rispetto all’anno precedente. Per il prossimo triennio si prevede un raddoppio anno su anno del fatturato, una crescita dell’organico, del numero di spazi di coworking e dei clienti raggiunti.
infocamere ha pubblicato il 9°rapporto trimestrale sui principali trend demografici e finanziari delle startup innovative italiane con dati al III trimestre 2016.
L’eCommerce B2c continua a crescere anche nel 2016: il valore degli acquisti online degli italiani fa segnare un +18% per un giro d’affari che sfiora i 20 miliardi di euro, tra prodotti (9 miliardi) e servizi (10,6 miliardi). Il Turismo si conferma il primo comparto con una quota del 44% e una crescita del 10%. Seguono Elettronica di Consumo, che vale il 15% e cresce del 28%, e Abbigliamento, che vale il 10% e cresce del 27%. Si rivela sempre più importante il contributo dei settori emergenti (Food & Grocery, Arredamento e home living, Beauty, Giocattoli), che insieme valgono oltre 1,5 miliardi di euro e crescono con tassi compresi tra il +30 e il 50%. Questo lo scenario del mercato del commercio elettronico presentato dall’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm al convegno intitolato “eCommerce B2c in Italia: esame di maturità per l’offerta”.*
“La penetrazione dell’eCommerce sul totale acquisti Retail sale al 5%.Questo risultato ci soddisfa parzialmente, poiché anche nel 2016 non riusciamo a recuperare terreno rispetto ai principali mercati stranieri comparabili al nostro (UK, Francia e Germania), dove l’eCommerce raggiunge penetrazioni da due a quattro volte superiori” afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. “In questo scenario, l’offerta è chiamata a un esame di maturità. Servono capacità di investimento e di innovazione per rendere sempre più semplice e appagante l’esperienza di acquisto, pazienza (intesa come consapevolezza di non poter essere profittevoli da subito), e coraggio (ossia credere con determinazione di potercela fare). Le Dot Com hanno percorso questa strada e continuano a crescere più delle imprese tradizionali (+28% vs +10%). Gli operatori tradizionali, dal canto loro, hanno fatto finalmente il primo passo e devono ora giocare la partita fino in fondo, provando a innovare e facendo contemporaneamente leva sugli asset che li contraddistinguono: base clienti significativa, patrimonio informativo sulle loro abitudini di acquisto, punti vendita sul territorio, e conoscenza estremamente approfondita del mercato e dei prodotti”.
“Il 2016 è stato l’anno più importante per l’eCommerce, durante il quale si sono affermati nuovi modelli di business guidati dal concetto del cross. Cross border, cross canalità e cross device: sono questi i nuovi termini del commercio elettronico, che raccontano l’evoluzione a partire dai nuovi modi di comportamento degli shopper” afferma Roberto Liscia, Presidente Netcomm. “Gli acquirenti comprano da siti italiani e stranieri, confrontano i prodotti sia nel canale fisico che in quello digitale e lo fanno attraverso smartphone e PC. Il digital export rimane comunque un’opportunità che l’Italia non riesce a cogliere a causa della piccola dimensione delle proprie imprese, che non riescono ad aggredire i mercati esteri. L’impegno di Netcomm è quello di incentivare la creazione di distretti digitali e consorzi di imprese attraverso strumenti finanziari, fiscali e promuovendo la nascita di iniziative finalizzate ad aggregare l’offerta attraverso attività legislative a supporto dell’eCommerce italiano.”
Il mercato “Il paniere dell’eCommerce italiano, benché ancora sbilanciato sui servizi (54% del valore complessivo), registra una crescita degli acquisti dei prodotti tasso quattro volte superiore rispetto a quella fatta registrare dai servizi (32% vs 8%). Si sta quindi lentamente avvicinando a quello rilevato nei principali mercati stranieri, dove la componente di domanda legata ai prodotti è intorno al 70%” afferma Riccardo Mangiaracina, Direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano.”
Nel 2016 l’acquisto di servizi (Assicurazioni, Couponing di servizi, Ricariche, Ticketing per eventi, Turismo e trasporti) vale 10,6 miliardi di euro, mentre quello di prodotti (Abbigliamento, Beauty, Arredamento e home living, C2c, Couponing di prodotto, Editoria, Merchandising, Giocattoli, Food&Grocery, Informatica ed elettronica) vale 9 miliardi di euro. Sono 45 milioni gli ordini eCommerce nel 2016 riguardano i servizi, per uno scontrino medio pari a 236€, mentre sono stati 120 milioni gli ordini di prodotti, ossia tre quarti degli ordini eCommerce totali, con uno scontrino medio di 75€, un terzo di quello dei servizi.
Il Turismo (+10%) trascina ancora la crescita dei servizi soprattutto grazie ai trasporti e alla prenotazione di alloggi: con 8.561 milioni di euro, vale il 44% della domanda online e si conferma il primo comparto dell’eCommerce italiano. L’Informatica ed elettronica di consumo, con 2.932 milioni di euro, vale il 15% della domanda eCommerce e si conferma il primo comparto di prodotto anche nel 2016 con una crescita del 28%. L’Abbigliamento, con 1.898 milioni di euro, vale il 10% degli acquisti online e cresce del 27% rispetto al 2015. L’Editoria, con 687 milioni di euro, cresce del 16% grazie agli acquisti di libri (anche scolastici) prevalentemente dalle grandi Dot Com. L’Arredamento e home living è il comparto che cresce con il ritmo più sostenuto (+48%), raggiungendo i 652 milioni di euro nel 2016. Gli acquisti in tutti gli altri comparti di prodotto valgono insieme 2.312 milioni di euro nel 2016, in crescita del 44% rispetto al 2015. Si tratta prevalentemente articoli di profumeria e cosmetica dai grandi retailer e dalle Dot Com sia generaliste sia specializzate, giocattoli dalle grandi Dot Com e dai marketplace, articoli da bazar prevalentemente dai marketplace cinesi e merchandising dai siti delle società sportive e degli eventi musicali.
Il tasso di penetrazione degli acquisti online sul totale del Retail, passa dal 4% del 2015 al 4,7% del 2016 con i servizi al 9% e i prodotti al 3%. La penetrazione più elevata è del Turismo, pari al 29% mentre l’Informatica ed elettronica si attesta al 16%. Se prendiamo come riferimento i paesi dove l’eCommerce B2c è in assoluto più maturo – Corea, Francia, Germania, Giappone, UK e USA – la penetrazione sul totale Retail è fino a quattro volte quella italiana ed è nell’intorno del 15%-20%.
Mobile Commerce ed evoluzione del consumatore online Nel 2016 gli acquisti eCommerce da smartphone sfiorano i 3,3 miliardi di euro (suddivisi tra il 63% dei prodotti ed il 37% dei servizi), con una crescita del 63% rispetto al 2015. Negli ultimi tre anni il mercato è triplicato, a conferma dell’importanza di questo canale per il consumatore. Per i prodotti giocano un ruolo importante sia i siti con modelli di business in cui conta l’istante d’acquisto (ad esempio i siti delle flash sales) sia le iniziative (marketplace in primis), siti che hanno investito per offrire una customer experience semplice ed efficace su questo canale. Per i servizi è invece preponderante l’acquisto di biglietti di trasporto (aerei e ferroviari) e la prenotazione di alloggi (in hotel e case private).
Nel 2016, i web shopper italiani, ossia i consumatori che hanno effettuato almeno un acquisto online nell’anno, crescono del 7% annuo e raggiungono quota 19 milioni, pari al 60% circa degli internet user. Tra questi, gli acquirenti abituali, quelli che effettuano almeno un acquisto al mese, raggiungono i 12,9 milioni e generano il 91% della domanda totale eCommerce (a valore), spendendo online in un anno, mediamente, 1.382 euro ciascuno[1]. Il bacino di utenti dell’eCommerce B2c italiano è decisamente inferiore a quello dei principali mercati eCommerce europei: in UK gli web shopper sono 48 milioni (l’85% degli internet user), in Germania 55 milioni (l’81% degli internet user) e in Francia 41 milioni (il 76% degli internet user).
Continua la crescita dell’Export L’Export, inteso come il valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, cresce nel 2016 del 17% e supera i 3,4 miliardi di euro. Turismo e Abbigliamento, grazie a un’offerta più matura, sono i comparti più incisivi e insieme rappresentano il 78% del mercato. Il Turismo, spinto soprattutto dagli operatori di trasporto, vale il 42% delle esportazioni online, mentre l’Abbigliamento il 36%. Proprio l’Abbigliamento è caratterizzato da una spiccata propensione all’Export, con quasi la metà delle vendite del settore (42% per la precisione) effettuate oltre confine. La forza e la notorietà dei brand, le competenze digitali sviluppate nel corso degli anni da alcune Dot Com italiane e da alcune boutique multibrand, unitamente alla carenza di offerta sui canali tradizionali all’estero, sono le ragioni del successo dell’Abbigliamento fuori dai confini nazionali. Gli altri comparti dove i brand italiani godono di ottima reputazione all’estero (Arredamento e home living e Food&Grocery) contribuiscono ancora marginalmente all’Export, per via di un’offerta poco sviluppata e di alte complessità operative.
*L’edizione 2016 dell’Osservatorio eCommerce B2c è realizzata con il supporto di Accenture Digital, Alpenite, Banca Sella, BRT Corriere Espresso, CartaSi, CLO Servizi Logistici, DHL, Drop, DS Smith, eBay, eBusiness Institute, FACT-Finder, Intesa Sanpaolo, Number 1, PayPal, Poste Italiane, Prestashop, SIA; Fercam, GS1 Italy, Zanox
Intervista a Reed Hastings, Netflix Chief Executive Officer, David Wells, Chief Financial Officer e Ted Sarandos, Chief Content Officer
Summary:
Nel 3° trimestre, il fatturato di Netflix ha superato, per la prima volta, i 2 miliardi di dollari (+36% anno su anno), aiutato dal forte catalogo di contenuti tra cui Stranger Things e la seconda stagione di Narcos.
Nel 3° trimestre, Netflix conta 0,4 milioni di nuovi iscritti negli Stati Uniti contro la previsione di 0,3 milioni e 3,2 milioni di nuovi utenti internazionali contro la previsione di 2 milioni. Questa over-performance rispetto alle previsioni (86.7m totale i membri vs previsione di 85.5m) è stata trainata principalmente da acquisizioni più forti del previsto grazie all’entusiasmo per i contenuti originali Netflix.
Nel corso dei primi 9 mesi del 2016, Netflix ha aggiunto 12 milioni di membri a livello mondiale, esattamente come accadde nei primi nove mesi del 2015.
Nel mese di settembre, Netflix è stato lanciato in Polonia e Turchia. Il servizio di streaming ha iniziato ad accettare il pagamento in valuta locale e ha aggiunto un’interfaccia utente, sottotitoli e doppiaggio in lingua locale, oltre ad alcuni contenuti locali.
Hanno contribuito a questi risultati positivi alcuni dei titoli più acclamati di Netflix: Stranger Things lanciato ad Aprile, The Get Down annunciato ad Agosto, Narcos, Marvel’s Luke Cage. Netflix è ora al quarto anno di strategia legata ai contenuti originali e l’azienda è molto soddisfatta dei progressi. Nel 2017, Netflix renderà disponibili più di 1.000 ore di programmazione originale.
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