Le 4 lezioni che la vicenda Uber ci insegna, cybersecurity

DA YARIX, CYBER DIVISION DI VAR GROUP, 4 LEZIONI CHE POSSIAMO APPRENDERE DALLA VICENDA UBER

 

I DATI SONO L’OBIETTIVO PIÙ AMBITO DALLA CRIMINALITÀ CIBERNETICA:

CYBER INTELLIGENCE, SECURITY ASSESSMENT E CONSULENZA GDPR

SONO LE RISORSE FONDAMENTALI PER TUTELARSI

 

 Uber è stata vittima di un attacco hacker, conclusosi con il furto dei dati dei 57 milioni di utenti in tutto il mondo. È solo l’ultimo degli episodi che, su scala globale, confermano come i dati siano il patrimonio più prezioso e ambito dai cybercriminali.

 Le aziende e istituzioni italiane non sono immuni da questo rischio. Yarix – Cyber Division di Var Group e tra i player più accreditati nel campo della cybersecurity – desidera condividere le 4 lezioni che possiamo apprendere dalla vicenda Uber. Per mettere a fuoco i confini della vulnerabilità del sistema e le contromisure da adottare.

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#1 Accordo con i cybercriminali di non divulgazione dei dati?

Meglio non scendere a compromessi con la cybercriminalità e non cedere a ricatti. Altrimenti si contribuisce ad incrementare il business della malavita e incentivare la rete del cybercrime. Nessun accordo stretto con chi commette crimini può essere considerato un accordo lecito, affidabile e proficuo.

 

#2 Sbagliato cercare di mettere tutto a tacere, per evitare danni di immagine e sanzioni governative

Trasparenza e condivisione tempestiva di informazioni sono la sola via percorribile per ridurre l’impatto dell’incidente e tutelare quanti sono coinvolti. In caso di data breach e data leak (diffusione di dati personali e sensibili), la nuova normativa sulla protezione dei dati personali (GDPR), a partire dal 25 maggio 2018, impone ad aziende e istituzioni colpite l’obbligo di notifica all’Autorità Garante Privacy e, in alcuni casi, anche agli interessati dalla violazione. In caso di mancato rispetto dell’obbligo di notifica, le aziende o le istituzioni potranno subire sanzioni amministrative pecuniarie fino a 10 milioni o, in caso di aziende, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore.

 

#3 Crittografia come scelta strategica

Secondo la normativa GDPR, i dati personali e sensibili nonché le informazioni strategiche per il business o per lo svolgimento della funzione istituzionale devono essere protetti con la crittografia. Non solo. La crittografia presenta il vantaggio ulteriore di consentire, in caso di data breach, di porsi al riparo da qualsiasi danno (i dati crittografati non sono utilizzabili).

 

#4 Proteggersi, proteggersi, proteggersi: i data leak sono e saranno sempre più frequenti

Con sempre maggiore frequenza vengono resi noti data leak che coinvolgono governi e aziende, compromettendo la privacy di utenti di servizi digitali, consumatori, e più in generale interessati che abbiano conferito i loro dati. Tra i trend emergenti e più preoccupanti c’è, in particolare, lo spear phishing, che comporta attacchi sempre più mirati verso aziende e il loro management.

La portata del danno potenziale è in grado di compromettere seriamente – come nel caso di Uber – reputazione e continuità del business aziendale. La scelta di attivare un servizio professionale di Penetration Test, Vulnerability Assessment e Insider Intelligence non rappresenta, dunque, solo una opzione, ma è un imperativo cui non è più possibile sottrarsi.

Marketing & Big Data – La strategia Omnicanale in Italia è fondamentale per 2 imprese su 3, ma solo 1 su 10 sa interpretare i dati sul cliente

 

 Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

www.osservatori.net

 Osservatorio Omnichannel Customer Experience

  

Sono 31,7 milioni[1] (pari al 60% della popolazione di età superiore a 14 anni) gli italiani che utilizzano Internet in una o più fasi del processo di acquisto, ma la personalizzazione del contenuto in funzione dell’utente che accede a un sito o a un’app non è ancora particolarmente diffusa: il 29% delle aziende analizzate la fa, il 43% ci sta lavorando, ma il 28% non l’ha ancora inserita nella tabella di marcia. Più della metà delle aziende intervistate non ha un unico Crm in cui raccoglie tutte le informazioni sull’anagrafica clienti provenienti dai diversi prodotti/brand/canali.

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L’approccio Omnicanale in Italia: per il 63% delle aziende è strategico, ma solo una su dieci è in grado di incrociare molteplici dati sul cliente e garantire un’esperienza integrata e coerente sui diversi punti di contatto .

L’importanza dell’omnicanalità da parte del top management si riflette sul coinvolgimento di più funzioni organizzative: il Marketing è attivo nell’88% dei casi, il Crm nel 68%, l’IT nel 59%, la Comunicazione nel 55% e le Vendite nel 39%. Ma solo nel 24% delle realtà considerate tutte le business unit interessate hanno un elevato grado di coinvolgimento.

Gli obiettivi della strategia omnicanale sono sia tangibili – incremento delle vendite (indicato dall’81% delle aziende del campione) e miglioramento della customer acquisition/aumento dei lead (64%) – che intangibili – come la personalizzazione delle comunicazioni (62%), il miglioramento dell’engagement (59%) e della loyalty (55%). Ancora poco diffusi gli obiettivi legati alla modifica e alla creazione di prodotti e servizi (rispettivamente 25% e 21%).

La quasi totalità delle aziende italiane raccoglie e immagazzina i dati di anagrafica/contatto (98% dei casi analizzati) e storico di acquisto (86%) e circa tre su quattro i dati provenienti da sistemi di analytics su canali proprietari (79%), indagini di mercato e customer satisfaction (76%) e risultati delle campagne pubblicitarie online (74%). Tuttavia quasi un quarto delle realtà non integra ancora alcuno di questi dati per crearsi una vista unica sul cliente e il 40% gestisce in quest’ottica al più due o tre tipologie di informazioni, tendenzialmente quelle più semplici (come anagrafica clienti e storico di acquisto).

Nel 63% dei casi l’omnicanalità è considerata strategica dai vertici aziendali, mentre per il 23%, pur essendo ritenuta rilevante, non rientra nelle direttrici di sviluppo di breve/medio termine e per il 9% non figura per nulla tra le direzioni strategiche aziendali. La base di partenza è la creazione di un Crm unico che integri tutti i dati sull’anagrafica clienti provenienti dai diversi prodotti/brand/canali, ma solo il 47% delle aziende intervistate dichiara di disporne.

Queste alcune delle evidenze emerse dalla prima edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano*, che ha condotto una ricercaattraverso oltre 100 interviste lato domanda e offerta, una survey condotta su un campione di grandi e medio-grandi aziende italiane appartenenti ai principali settori e tre momenti plenari di confronto e discussione che hanno coinvolto complessivamente oltre 150 aziende della domanda.

“Siamo di fronte a profondi cambiamenti del comportamento dei consumatori nella loro relazione con la marca, che avviene sempre più secondo una molteplicità di canali, in qualsiasi momento e luogo” afferma Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. “Sono ormai 31,7 milioni[2], pari al 60% della popolazione di età superiore a 14 anni, gli italiani che utilizzano Internet in una o più fasi del processo di acquisto e si aspettano, pertanto, di vivere esperienze di marca integrate sui vari punti di contatto (punto vendita, sito internet, eCommerce, social network, contact center, pubblicità)”.

“È evidente come anche le imprese italiane abbiano ormai intrapreso un percorso che prevede la creazione di più canali e punti di contatto attraverso cui il cliente possa interagire con l’azienda”, afferma Raffaello Balocco, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience “Tuttavia, sono ancora distanti da una gestione integrata della relazione con il consumatore che possa garantire una customer experience olistica, coerente su tutti i canali e senza interruzioni o ridondanze nel passaggio da uno all’altro (omnicanale appunto) e si trovano, pertanto, di fronte alla necessità di trasformare la logica dei propri modelli aziendali da prodotto centrico a cliente centrico”.

Per poter garantire un’esperienza omnicanale ai consumatori, occorre adottare una strategia basata sui dati lungo tutto il processo di relazione con il cliente, dalla comunicazione alla vendita e al post-vendita.

Raccolta e analisi dei dati

Il punto di partenza è la raccolta dei dati disponibili in azienda a supporto del processo di relazione con il consumatore: dati che provengono da diversi touchpoint (dal punto vendita al sito Internet/eCommerce, dal call center alla pubblicità, dai canali di direct marketing alle mobile app), dati immagazzinati in svariati sistemi informativi (come Crm o sistemi di cassa) e dati che possono provenire non solo dall’interno, ma anche dall’esterno dell’azienda (ad esempio, acquistati da data provider terzi).

La sola raccolta di dati non è però sufficiente senza un’accurata fase di analisi, in cui si vanno a selezionare i dati realmente utili e di valore e a generare insight rilevanti, per massimizzare l’efficacia delle azioni di marketing e vendita. Essa permette, inoltre, di generare cluster di segmenti di clienti e di individuare per ciascuno di essi uno o più customer journey, ossia il percorso che i clienti compiono, attraverso diversi punti di contatto, nel processo d’acquisto (e utilizzo) di un determinato bene o servizio. Infine, questa fase prevede l’analisi dei contenuti fruiti dal consumatore (content intelligence) per comprenderne gli interessi e arricchirne così il profilo così da essere più efficaci nelle successive fasi di contatto.

Dalla Ricerca emerge che la quasi totalità delle aziende raccoglie e immagazzina i dati di anagrafica cliente e informazioni di contatto (98% dei casi analizzati) e di storico di acquisto (86%), tipologie di dati tipicamente raccolte a livello di singolo individuo. Molto diffusa è, comunque, anche la raccolta di dati provenienti da sistemi di analytics su canali proprietari (79%), indagini di mercato e customer satisfaction (76%) e risultati delle campagne pubblicitarie online (74%): questi dati sono invece tendenzialmente gestiti a livello aggregato.

“La maggioranza delle realtà (40%), però, si limita al più ad incrociare due o tre tipologie di dati, tendenzialmente quelle di anagrafica clienti e storico d’acquisto, mentre poco più di una su tre è in grado di integrare anche dati più complessi (come quelli provenienti da analytics, advertising, interazioni one to one). Inoltre quasi un quarto delle realtà non integra ancora alcun dato per crearsi una vista unica sul cliente”, dichiara Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. “Colpisce, inoltre, il fatto che più della metà delle aziende intervistate non abbia ancora un unico Crm che raggruppi tutti i dati sull’anagrafica clienti provenienti dai diversi prodotti/brand/canali.”

Oltre un terzo delle aziende rispondenti non traccia né ricostruisce, ad oggi, il customer journey del cliente, il 44% lo fa ma solo sui touchpoint digitali, mentre il 20% è in grado di farlo su tutti i canali (fisici e digitali).

Attivazione dei dati

A valle della creazione di una vista unica sul cliente e della generazione degli insight vi è la fase in cui i dati vengono “attivati” per generare iniziative di comunicazione, marketing o vendita profilate sulla base del consumatore a cui sono indirizzate (o del suo cluster di appartenenza). Lo scopo è interagire con lo specifico cliente attraverso azioni per lui rilevanti, nel momento più opportuno, nel giusto contesto e attraverso il corretto canale.

L’automazione di tale processo (Marketing Automation) consente alle aziende di mettere in campo azioni di marketing, comunicazione e vendita più tempestive e di misurarne rapidamente l’efficacia: se l’utilizzo di regole e automazioni è piuttosto frequente a livello di singolo canale di contatto, le aziende italiane sono ancora lontane da un approccio integrato su tutti – o almeno molti – dei touchpoint a disposizione. Solo il 16% delle aziende rispondenti alla survey dichiara, infatti, di gestire in maniera integrata tutti o quasi i propri punti di contatto e, inoltre, ben un quarto delle aziende interrogate non pratica alcuna gestione integrata. Anche la personalizzazione del contenuto in funzione dell’utente che accede a un sito/app non è ancora particolarmente diffusa: il 29% delle aziende del campione lo fa, il 43% ci sta lavorando, ma il 28% non l’ha ancora inserita nella tabella di marcia.

“In sintesi, dunque, in Italia, l’implementazione di strategie omnicanale è ancora agli inizi nella gran parte delle realtà, come testimoniato dai numerosi indicatori di maturità rilevati nel corso della Ricerca” afferma Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience.“Possiamo affermare che solo il 10% del campione di imprese analizzato abbia già una discreta maturità nella gestione integrata dei punti di contatto e nella creazione di una vista unica sul cliente. All’opposto, quasi la metà delle aziende intervistate è ancora in una fase embrionale su entrambi i fronti”.

L’impatto sull’organizzazione aziendale e i possibili benefici

Andando ad analizzare la situazione italiana emerge che, in termini di commitment del vertice aziendale, nel 63% dei casi l’omnicanalità è considerata importante: è infatti prioritaria nell’8% delle imprese del campione, mentre nel 55% è una delle direzioni di sviluppo strategico. Per il 23% essa, pur essendo ritenuta rilevante, non rientra nelle direttrici di sviluppo di breve/medio termine. Infine per il 5% essa è prioritaria solo per una specifica business unit e per il 9% non rientra per nulla tra le direzioni strategiche aziendali. La generale consapevolezza dell’importanza dell’omnicanalità da parte del top management si riflette sul coinvolgimento di più funzioni organizzative: il Marketing è attivo nell’88% dei casi, il Crm nel 68%, l’IT nel 59%, la Comunicazione nel 55% e le Vendite nel 39%. A queste si aggiungono le funzioni Digital e Customer Experience, presenti in azienda rispettivamente nel 65% e nel 39% dei casi analizzati. A fronte di ciò emerge, tuttavia, come vi siano gradi di commitment molto diversificati a livello delle diverse funzioni aziendali coinvolte. Solo nel 24% delle realtà considerate tutte le business unit interessate hanno un elevato grado di commitment; nel 54% dei casi ciò non avviene per una diversa percezione dei benefici e nel 17% dei casi per un disallineamento negli obiettivi specifici di ciascuna funzione.

Dal punto di vista dell’impatto delle singole azioni, solo nel 25% delle aziende intervistate è presente un sistema di misurazione completo di tutti i principali obiettivi correlati alla customer experience, mentre per il 64% la misurazione è parziale o relativa solo ad alcuni obiettivi e il rimanente 11% dichiara di non disporre di un sistema di misurazione adeguato.

“Dalla fotografia delle aziende italiane emerge come una buona parte di esse abbia messo in campo azioni volte a rafforzare la propria capacità di generare insight: il 50% di esse, infatti, ha strutturato competenze di analisi dei dati e generazione di insight all’interno delle diverse funzioni aziendali”, aggiunge Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. “Un ulteriore 26%, inoltre, ha creato un team trasversale che si occupa di questa attività. Per quanto riguarda invece la gestione di progetti di revisione delle attività di marketing in ottica data driven, è evidente che ci siano ancora ampi margini di miglioramento: solo il 37% delle aziende intervistate, infatti, afferma di aver attualmente strutturato un gruppo deputato a gestire tali tipologie di progetti”.

“Attraverso strategie di omnicanalità può essere perseguita un’ampia varietà di obiettivi”, conclude Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience.“Tra quelli di maggior priorità per le aziende analizzate nella Ricerca vi sono sia obiettivi tangibili – quali incremento delle vendite (81% dei casi) e miglioramento della customer acquisition/aumento dei lead (64% dei casi) – sia obiettivi intangibili – quali personalizzazione delle comunicazioni (62% dei casi), miglioramento dell’engagement (59% dei casi) e miglioramento della loyalty (55% dei casi). Sono invece ancora poco diffusi obiettivi legati al miglioramento e alla creazione di prodotti e servizi (rispettivamente 25% e 21%)”.

*L’edizione 2017 dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience è realizzata con il supporto di Accenture Interactive, Adobe Systems Italia, Alpenite, Kettydo+, Poste Italiane, SPLIO, Stay Human Group, THRON; Adabra, Fastweb, GS1 Italy, MailUp, rdcom.it, Ubiquity.

[1] Osservatorio Multicanalità, 2017.

[2] Osservatorio Multicanalità, 2017.

Anche Amazon Music Unlimited in offerta speciale

Black Friday 2017

Amazon Music Unlimited:  3 mesi a soli 0,99 euro

In vista dell’imminente settimana di offerte dedicata al Black Friday, che si terrà dal 20 al 24 novembre, e che proseguirà poi fino alla giornata di Cyber Monday (lunedì 27 novembre), Amazon Music mette a disposizione già da oggi un’offerta imperdibile per tutti i clienti che desiderano iscriversi ad Amazon Music Unlimited: 3 mesi di abbonamento al costo di 0,99 Euro. Chi non avesse infatti ancora provato Amazon Music Unlimited, il servizio di musica on-demand che propone un catalogo di oltre 50 milioni di canzoni, centinaia di playlist e radio personalizzate, potrà accedere al servizio, sottoscrivendo l’abbonamento individuale, al costo complessivo di soli 0,99 euro per i primi tre mesi, al posto di 9,99 euro al mese.

L’offerta è già attiva, sarà disponibile fino al 31 dicembre e valida solo per i nuovi clienti Amazon Music Unlimited. Dopo i primi 3 mesi a 0,99 €, l’abbonamento si rinnoverà mensilmente al costo di € 9,99 al mese. È possibile scoprire più dettagli e condizioni della promozione al seguente link: www.amazon.it/amazonmusicunlimited

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Amazon Music

Amazon Music è la meta per i clienti che desiderano avere la maggiore possibilità di scelta per accedere e ascoltare tutta la loro musica preferita. In aggiunta allo streaming tramite Amazon Music Unlimited, Amazon Music offre un’ampia selezione di CD e Vinili, incluso il servizio AutoRip su più di centomila album, tramite il quale ricevi subito e senza costi aggiuntivi la versione in formato digitale del CD o del Vinile acquistato, nonché decine di milioni di canzoni MP3 da acquistare. Per maggiori informazioni visita Amazon Music  www.amazon.it/amazonmusic.

Le terze parti possono essere un grosso rischio per la sicurezza delle aziende

Anche se molte aziende stanno investendo in sicurezza informatica indipendentemente dal ROI (il 63% nel 2017 rispetto al 56% del 2016), un nuovo studio di Kaspersky Lab e B2B International ha rilevato che il costo medio di un incidente di sicurezza informatica è in crescita. Secondo il report “IT security: cost-centre or strategic investment?[1]”, le falle alla sicurezza informatica più costose per le aziende di qualsiasi dimensione derivano da errori di terze parti, il che significa che le aziende non dovrebbero soltanto investire nella propria sicurezza, ma anche prestare attenzione a quella dei loro partner.

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Lo studio di quest’anno rivela una crescita promettente dell’importanza che le aziende danno alla sicurezza IT. Le aziende stanno, infatti, iniziando a vedere la sicurezza come un investimento strategico e la quota del budget IT che viene speso per la sicurezza informatica è in crescita, raggiungendo quasi un quarto (il 23%) del budget IT nelle grandi aziende. Questa tendenza è in realtà comune alle aziende di tutte le dimensioni, incluse quelle molto piccole dove le risorse economiche sono più ridotte. Tuttavia anche se la sicurezza sembra beneficiare di una grande parte del budget IT, il problema è che quest’ultimo si sta riducendo. Per esempio, il budget medio di sicurezza IT nelle grandi aziende in termini assoluti è calato da 25,5 milioni di dollari dell’anno scorso a 13,7 milioni di dollari nel 2017.

Questa è una grande preoccupazione per le aziende, visto che – a differenza dei budget in sicurezza IT – i costi per la ripresa dalle violazioni alla sicurezza sono in aumento. Quest’anno, le PMI hanno speso una media di (87,8 mila dollari per incidenti sulla sicurezza (rispetto agli 86,5 mila dollari del 2016), mentre le grandi aziende hanno affrontato un aumento ancora più grande di 992 mila dollari nel 2017, rispetto agli 861 mila dollari del 2016.

Riguardo all’Italia, lo studio ha evidenziato che nel nostro Paese per le PMI l’impatto totale medio di una violazione di dati è ammontata a 75.600 euro e per le grandi aziende dieci volte tanto, cioè 856.800 euro. Inoltre, le aziende enterprise hanno speso in media 69.720 euro per migliorare il software e l’infrastruttura a seguito di un problema alla sicurezza.

Tuttavia, aumentare i budget per la sicurezza IT è solo una parte della soluzione, visto che le perdite più gravi derivano da incidenti che riguardano terze parti e i loro errori informatici. Le PMI hanno dovuto pagare fino a 140 mila dollari per incidenti che hanno colpito infrastrutture ospitate da terze parti, mentre le grandi aziende hanno perso quasi due milioni di dollari (1,8 milioni di dollari) a causa di falle che hanno colpito fornitori con cui condividevano dati e 1,6 milioni di dollari a causa di un livello insufficiente di protezione degli laaS-provider.

Non appena un’azienda permette l’accesso ai suoi dati o infrastrutture a un’altra azienda, le debolezze di una delle due società intaccano entrambe. Questa questione sta diventando sempre più importante dal momento in cui i governi di tutto il mondo fremono per introdurre nuove legislazioni che richiedono che le organizzazioni forniscano informazioni su come condividono e proteggono i dati personali.

 “Gli incidenti alla sicurezza informatica che riguardano terze parti sono dannosi per le aziende di tutte le grandezze e il loro impatto finanziario è ancora più grave. Questo perché le minacce si evolvono velocemente mentre le aziende e la legislazione cambiano lentamente. Quando norme come il GDPR diventeranno giuridicamente applicabili e prima che le aziende riescano ad aggiornare le loro policy, le società si ritroveranno a dover pagare anche le spese per la loro inadempienza”, afferma Alessio Aceti, Head of Enterprise Business Division di Kaspersky Lab.

Per aiutare le aziende nelle loro strategie di sicurezza IT, Kaspersky Lab presenta il Kaspersky IT Security Calculator, che si basa sul panorama delle minacce del mercato e contiene specifiche raccomandazioni di protezione. Questo strumento per le aziende è una guida aggiornata sui costi per la sicurezza IT in base ai budget medi spesi (suddivisi per area geografica, industria e dimensione dell’azienda), misure di sicurezza, principali vettori di minacce, perdite economiche e consigli su come evitare una compromissione. Si può trovare a questo link il Kaspersky IT Security Calculator e l’intero report “IT security: cost-centre or strategic investment?”.

Kaspersky Lab offre soluzioni che soddisfano le richieste delle piccole e medie imprese e delle grandi aziende in termini di endpoint protection, DDoS protection, cloud security, difesa da minacce avanzate e servizi di sicurezza informatica. Per ulteriori informazioni sulla nostra offerta di soluzioni enterprise di prossima generazione e sui nostri prodotti per le piccole e medie imprese, visitate il sito.

 


[1] Indagine globale condotta a partire dal 2011. L’ondata più recente dei dati sono stati raccolti da marzo ad aprile 2017, con un totale di 5274 interviste condotte in 30 Paesi, inclusa l’Italia.

Agos e Digital Magics lanciano Start & Pulse: Call per startup sul tema della Customer Centricity

Agos, società finanziaria leader nel credito alle famiglie presente da trent’anni sul mercato italiano con più di 230 filiali e agenzie, e Digital Magics, business incubator quotato sul mercato AIM Italia di Borsa Italiana (simbolo: DM), lanciano la Call for Innovation START&PULSE.

La Call di Agos e Digital Magics è rivolta a tutte le startup italiane ed europee che hanno sviluppato prototipi funzionanti e MVP (Minimum Viable Product) nell’ottica strategica della centralità del cliente, per innovare processi, prodotti e servizi aziendali orientandoli al consumatore.

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L’obiettivo di START&PULSE è trovare le migliori soluzioni in grado di creare vera innovazione di valore per una realtà importante come Agos nella relazione e connessione con i propri clienti – che sono al centro della strategia aziendale.

Fra tutte le startup che invieranno la propria candidatura entro il 15 dicembre 2017 su https://www.startandpulse.io/agos/ saranno selezionate le 10 migliori proposte, che saranno protagoniste Mercoledì 14 febbraio 2018 della giornata di Pitch a Milano. I fondatori e i team finalisti presenteranno i loro progetti davanti alla giuria composta da Agos e Digital Magics.

La migliore startup verrà premiata con 5.000 Euro in servizi e potrà collaborare con l’Innovation Lab di Agos per lo sviluppo di un progetto sperimentale nell’ottica dell’Open Innovation.

Seminario I linguaggi della creatività. Conversazione con Mogol

MOGOL IN CATTEDRA ALL’UNIVERSITÀ FEDERICO II.
RELATORE AL SEMINARIO SUI LINGUAGGI DELLA CREATIVITÀ

Giovedì 16 novembre alle 15.00, presso il Complesso dei Santi  Marcellino e Festo dell’Università Federico II, si terrà il seminario  I linguaggi della creatività. Conversazione con Mogol, promosso  dall’Osservatorio Territoriale Giovani del Dipartimento di Scienze  Sociali dell’Ateneo Federico II, in collaborazione con Optima Italia,  nell’ambito delle attività di StartUp Music Lab (MiBACT – SIAE).

Attraverso il confronto con l’autore e produttore discografico Giulio  Rapetti, in arte Mogol, uno dei principali protagonisti del panorama  musicale italiano, il seminario ha l’obiettivo di riflettere – e far    riflettere – sul concetto di creatività nelle sue diverse forme e suI  linguaggi musicali che contribuiscono alla costruzione sociale delle    nostre identità individuali e collettive.

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La musica si nutre di una costante interconnessione con la realtà  sociale e rappresenta un indicatore significativo delle trasformazioni  socio-culturali. Gli artisti sono testimoni privilegiati, interpreti  dei linguaggi giovanili che registrano e spesso anticipano i mutamenti   sociali. L’analisi delle culture giovanili è centrale per cogliere  le  dinamiche sociali e i cambiamenti che investono la società  contemporanea.

L’incontro che vede la partecipazione di Red Ronnie – noto conduttore  televisivo e critico musicale italiano – sarà moderato dal docente di  Comunicazione e culture giovanili dell’Università Federico II Lello  Savonardo – autore del volume “Pop music, media e culture giovanili.  Dalla Beat Revolution alla Bit Generation” (Egea) – e prevede i saluti  del Magnifico Rettore dell’Ateneo Gaetano Manfredi e della  Direttrice   del Dipartimento di Scienze Sociali Enrica Amaturo.
Nel corso del seminario, il Rettore consegnerà a Mogol il Sigillo  dell’Università Federico II per il rilevante ruolo che ha svolto, in  qualità di autore, nell’ambito dell’industria culturale italiana.

StartUp Music Lab – promosso dal Dipartimento di Scienze Sociali, in  collaborazione con il MiBACT e la SIAE – si propone di formare, nei  soggetti partecipanti, una cultura d’impresa in campo artistico; di  sviluppare, valorizzare e ottimizzare capacità creative ed espressive  al fine di misurarsi con il sistema musicale, discografico e  produttivo italiano, l’industria creativa e culturale e tutto ciò che  è indispensabile per diventare “imprenditore di se stesso”.

OM OptiMagazine è la testata edita da Optima, dedicata principalmente  al mondo della musica italiana e internazionale, tra le maggiori in    Italia con 3.975.000 visite mensili.

Interviene Red Ronnie
Introduce e modera Lello Savonardo
Saluti istituzionali di
Il Magnifico Rettore e Presidente CRUI Gaetano Manfredi
La Direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali – Federico II Enrica Amaturo

TAKE MY THINGS. IL LATO CHARITY DELLE APP

TAKE MY THINGS. IL LATO CHARITY DELLE APP

Chi ha detto che sharing economy non può fare rima con charity?

E’ il caso di Take My Things, la startup nata circa un anno fa a Torino e incubata all’I3P del Politecnico, per mettere in contatto chi deve trasportare una cosa con chi ha la possibilità di farlo che oggi è il mezzo attraverso il quale tante Onlus trasportano piccoli oggetti per chi ne ha bisogno.

Take My Things è una start up, pensata prima e realizzata poi da due amici, Guido Balbis e Francesco Demichelis, dopo che Francesco aveva dimenticato a Saluzzo le chiavi della casa al mare e, non trovando una soluzione, era tornato indietro 150 km per riprenderle! Nel giro di pochi mesi l’idea si è trasformata in un modello di business. Ai privati che affidavano alla App piccoli oggetti da trasportare e/o si mettevano a disposizione per effettuare il trasporto si sono uniti i negozi e le PMI, che hanno trovato in TMT una soluzione più agile e meno costosa rispetto alla logistica tradizionale.

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Scaricare la App è gratuito, iscriversi semplice e facile. Basta inserire l’oggetto, l’indirizzo di presa e di consegna, la data e l’ora massima per la consegna, la cifra che si è disposti a pagare. Fatto questo Thake My Things incrocia i dati inseriti creando una rete in grado di soddisfare le esigenze di trasporto 24 ore su 24.

Trasportare le cose per chi ne ha bisogno. Un’idea che quasi subito ha svelato il proprio lato charity e si è rivelata un prezioso strumento per tante Onlus e Associazioni No Profit. Perché non utilizzare la piattaforma con uno scopo benefico, sfruttare la rete per effettuare piccoli trasporti, approfittare della rete per veicolare solidarietà? La community di Take My Things è stata subito pronta a recepire l’esigenza di chi ha bisogno di un po’ di tempo e di un po’ di energia…E allora c’è la Caritas parrocchiale che qualche volta affida i pacchi alimentari e li recapita agli anziani che abitano magari ai piani alti senza ascensore; c’è un mobile da trasportare, un elettrodomestico donato che non si sa come far arrivare a destinazione di chi ne ha bisogno… “La risposta è pronta – ci dice Francesco. Il tempo di reazione è il medesimo che registriamo anche per le transazioni a pagamento. Sia che si tratti di trasporti a pagamento sia che si tratti di mettersi a disposizione di chi ha bisogno in pochi minuti il match è fatto…”.

 www.takemythings.com

 

FACEBOOK, IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE MONDO DIGITALE, LANCIA IL PROGETTO #SHEMEANSBUSINESS PER SUPPORTARE L’IMPRENDITORIA FEMMINILE IN ITALIA

La versione italiana dell’iniziativa globale #SheMeansBusiness si propone di formare, nel corso del 2018, 3.500 donne in Italia sull’utilizzo di Facebook e Instagram per far crescere il proprio business

Facebook lancia oggi in Italia, in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale, #SheMeansBusiness, il programma globale che mira a supportare le donne che fanno o vorrebbero fare impresa. 

#SheMeansBusiness si propone di aiutare le donne che fanno impresa a far crescere il proprio business e di ispirare tutte coloro che sognano di avviare un’attività imprenditoriale, fornendo loro gli strumenti, la formazione e gli esempi necessari per realizzare il loro obiettivo. Facebook e Instagram possono, infatti, aiutare concretamente le piccole aziende a crescere, fornendo a tutti i business accesso agli stessi strumenti affinché possano avere successo, indipendentemente dalla dimensione, le competenze, il settore industriale o la collocazione geografica.

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In Italia, il progetto #SheMeansBusiness verrà realizzato in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale, l’associazione no-profit che lavora per una società della conoscenza inclusiva coniugando innovazione, istruzione, inclusione e valori fondamentali.

Seguendo il modello train the trainer, Facebook formerà i coach di Fondazione Mondo Digitale, che a loro volta si occuperanno di formare 3.500 donne in tutta Italia nel corso del 2018. Per farlo, avranno a disposizione strumenti e moduli formativi specifici, lezioni online e pratiche su come utilizzare al meglio le piattaforme Facebook e Instagram per migliorare il proprio business, senza dimenticare lezioni di autostima per le donne che parteciperanno.

Con #SheMeansBusiness, Facebook dimostra, attraverso la formazione di donne che fanno o vogliono fare impresa, il proprio impegno ad aiutare la crescita economica del Paese.  Le piccole e medie imprese rappresentano, infatti, la spina dorsale dell’economia italiana e tra queste, una su cinque, il 21,8%, è un’impresa femminile[1] .

Inoltre, nonostante il ruolo delle donne in Italia sia ampiamente riconosciuto come fattore chiave per il progresso, il divario di genere nel mondo del lavoro resta ancora troppo alto rispetto alla media europea: in Italia è del 18,8% vs il 12,7% dell’EU. Da stima Censis, se l’Italia riuscisse a ridurre il divario di genere sul posto di lavoro del 25% entro il 2025 (target ILO), l’aumento delle donne attive (pari a oltre 300.000 nuove occupate) produrrebbe una crescita stimata del PIL italiano di circa il 2%, pari a 33,6 miliardi di euro[2].

Quando le donne hanno la possibilità di migliorarsi, anche l’economia migliora – ha dichiarato Nicola Mendelsohn, VP EMEA di Facebookper questo Facebook celebra le donne che hanno costruito e gestiscono imprese e si impegna a fornire risorse per aiutare coloro che un giorno potrebbero farlo. In Italia, ogni mese, 30 milioni di persone accedono a Facebook e più di 14 milioni visitano Instagram. Questa comunità fiorente offre l’opportunità per le PMI di raggiungere direttamente i propri clienti esistenti e trovarne di nuovi. Con #SheMeansBusiness, vogliamo aiutare le donne imprenditrici in Italia a cogliere questa opportunità spingendole e sostenendole nel raggiungimento dei loro sogni“.

“Secondo i dati elaborati dall’European Institute for Gender Equality l’Italia è uno dei paesi europei che sta facendo di più per colmare il divario di genere nel mondo del lavoro, ma manca ancora un approccio di sistema. Con l’alleanza con Facebook vogliamo rafforzare il ruolo strategico della Fondazione Mondo Digitale che sempre di più fa da collante tra istituzioni, grandi aziende ICT, scuola, università, privato sociale e comunità territoriali, senza abbandonare le ragazze che si trovano al di fuori dei circuiti formativi e lavorativi. Anche a loro vogliamo offrire la chance di diventare imprenditrici digitali” ha dichiarato Mirta Michilli, General Director Fondazione Mondo Digitale.

Oltre ad un programma di training in giro per l’Italia, Facebook metterà a disposizione delle donne che si iscriveranno a #SheMeansBusiness anche un sito, https://shemeansbusiness.fb.com/it  dedicato, dove sarà possibile trovare le storie di successo di donne imprenditrici italiane, consultare i materiali di formazione ed entrare in contatto con altre donne che vogliono avviare un’attività.

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Ecco alcune delle storie di successo che saranno presenti sul sito di #SheMeansBusiness, raccontate dalla viva voce delle fondatrici, che hanno saputo utilizzare strategicamente Facebook e Instagram per crescere:

Chiara Burberi, ideatrice di Redooc, la “palestra della matematica più grande d’Italia”, una piattaforma di didattica digitale dedicata alle materie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).  Chiara e il team di Redooc hanno fatto del digitale uno strumento per avvicinarsi al mondo dei ragazzi e con la loro presenza su Facebook e Instagram riescono a dialogare con genitori, professori e studenti.

Betta Maggio, fondatrice di U-Earth, la prima azienda biotech al mondo ad occuparsi di purificazione dell’aria in ambito professionale, nei social media ha trovato il fulcro della sua rivoluzione culturale, sensibilizzando l’opinione pubblica e dialogando con le persone attraverso Facebook. Mentre Instagram le ha permesso di invitare le persone a partecipare ai loro eventi e incoraggiarle ad entrare nelle Pure Air Zone.

Infine Enrica Arena e Adriana Santanocito, convinte paladine dell’innovazione costruita sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale, due giovani imprenditrici siciliane fondatrici della start up Orange Fiber, l’unica azienda al mondo in grado di creare tessuti di alta qualità utilizzando i sottoprodotti dell’industria di trasformazione degli agrumi. 

I training di #SheMeansBusiness, realizzati dai trainer di Fondazione Mondo Digitale,  toccheranno tutta la penisola italiana nel corso dell’anno. Le prime diciassette città, tra dicembre 2017 e febbraio 2018, saranno Torino, Brescia, Busto Arsizio, Vicenza, Padova, Parma, Imperia, Arezzo, Pesaro, Chieti, Roma, Napoli, Cosenza, Matera, Termoli, Bari e Catania.

Le donne interessate a partecipare possono già iscriversi alle sessioni di training di Fondazione Mondo Digitale tramite questo link.

2.       Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat e stime ILO –World Employment Social Outlook 2017

Il divario di genere è calcolato sul tasso di attività rapporto tra popolazione attiva e popolazione in età lavorativa

 

Sellf sul palco del Web Summit 2017 a Lisbona

 

  • Sellf è la start-up italiana premiata da Apple come App Più Innovativa e come Migliore Nuova Business App in tutto il mondo. Sellf conta più di 100.000 utenti e sta portando una ventata di aria fresca nel settore dei CRM – Customer Relationship Management – per le reti di vendita, sviluppando un’applicazione definita il RunKeeper o Runtastic del CRM, che aiuta i team di venditori/agenti a raggiungere i propri obiettivi commerciali e li motiva usando la gamification.
  • Sellf parteciperà al Web Summit 2017 di Lisbona come espositrice nell’esclusivo gruppo “START”, ovvero tra le startup selezionate in crescita più rapida nel 2017, inoltre giovedì 8 novembre Diego Pizzocaro, CEO e Founder di Sellf sarà relatore sul palco del Web Summit nella sessione “Growth Summit”.

Sellf (www.sellfapp.com), la start-up che sta portando una ventata di aria fresca nel settore dei CRM per le reti di vendita, premiata da Apple come App Più Innovativa e come Migliore Nuova Business App in tutto il mondo – torna a Lisbona per l’edizione 2017 del Web Summit con due grandi novità.

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La prima è la sua presenza tra le startup selezionate come espositrici nell’esclusivo gruppo “START” ovvero quelle in crescita più rapida nel 2017, la seconda è la partecipazione di Diego Pizzocaro, CEO e Founder di Sellf, come relatore sul palco del Web Summit, con una platea stimata quest’anno di circa 60.000 persone.

Dopo essere stata selezionata tra le startup nel gruppo Beta al Websummit 2016, aperto a tutte le startup che avessero raccolto più di 1M di euro, quest’anno l’azienda partita dal famoso incubatore di startup trevigiano H-Farm ha ottenuto l’accesso nel cosiddetto gruppo “START”, il gruppo delle startup considerate in più rapida crescita a livello mondiale.

Si tratta di un’occasione importante, soprattutto se si pensa che aziende che oggi hanno raggiunto un rilievo su scala mondiale (come Uber o Trello, per fare due nomi) negli anni passati sono state selezionate per far parte di questo gruppo, come sottolinea Diego Pizzocaro, CEO e Founder di Sellf: “Essere ammessi nel track START è per noi motivo di grande orgoglio, sia perché è un’opportunità preziosa di far conoscere ad investitori e potenziali clienti di primissimo livello il nostro progetto e il frutto del nostro lavoro, sia perché si tratta di un riconoscimento importante che valorizza tutto l’impegno che il nostro team ha riversato in questi 4 anni.

Inoltre, giovedì 8 novembre proprio Diego Pizzocaro sarà relatore sul palco del Web Summit per parlare di crescita nella sessione “Growth Summit” assieme ai founder e manager di Plynk, Nello, GetSocial BV e MicroInvest. “Calcare lo stesso palco dove parleranno personaggi come Al Gore, Werner Vogels (CTO di Amazon) o Brian Krzanic di Intel (solo per citarne alcuni) è sicuramente una grande emozione, ma sarà soprattutto l’occasione per raccontare la nostra storia e discutere di quale sia il metodo più efficace per far crescere il proprio progetto in una realtà complessa come quella italiana, pur offrendo il proprio prodotto sulla scena mondiale: la chiave che ci ha portati ad avere un team di 13 persone e 100.000 utenti nel mondo sta nel porre i bisogni dei nostri clienti al centro dello sviluppo del progetto. Spesso si pensa che l’obiettivo delle startup sia trovare nuovi finanziatori, ma in realtà solo fornendo un servizio di qualità e ampliando la nostra utenza possiamo crescere in maniera rapida e solida.”

Il team di Sellf cercherà di raccontare attraverso i canali social questi quattro giorni a Lisbona, in cui farà il possibile per rappresentare al meglio l’Italia assieme a tutte le altre eccellenze del digitale made in Italy.

Come diventare Data Scientist: pratica, intuito e specializzazione

I suggerimenti di Irion per chi vuole svolgere questa professione

 

Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di Data Scientist; ma chi è, cosa fa e quali competenze deve avere questa figura professionale? E, soprattutto, come si diventa Data Scientist? Alcuni consigli per districarsi in questo stimolante ma insidioso contesto, arrivano da Irion, software house italiana specializzata nell’Enterprise Data Management, partner dell’Università degli Studi di Torino e da sempre attenta a formazione, ricerca e sviluppo.

 

Innanzitutto, per essere in grado leggere, analizzare e gestire i “big data” è necessario avere un solido background in matematica applicata, statistica, informatica o fisica, oltre a specifiche competenze di machine learning e data mining. In un contesto in rapidissima evoluzione come quello delle tecnologie digitali, in base alle quali vengono riprogettati un numero sempre maggiore di processi aziendali, le skill tradizionali non sono però più sufficienti, e l’aggiornamento continuo è fondamentale. I “maghi del dato” sono molto ricercati (e ben remunerati!), proprio perché per intraprendere questa professione, e svolgerla con profitto, è necessario un complesso background di competenze e attitudini.

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Ecco quindi i tre suggerimenti di Alberto Scavino, CEO di Irion:

       Integrare la pratica allo studio teorico: Sembra banale, ma è la realtà. Un robusto background accademico è fondamentale per un Data Scientist, ma è ancora più importante “sporcarsi le mani” e lavorare su dati reali. Molte delle skill necessarie al professionista si possono infatti apprendere solo sul campo. Quindi, è essenziale accumulare esperienze, che siano stage o collaborazioni – già durante gli studi. Solo in questo modo, è possibile comprendere a pieno, e anticipare, i principali trend del settore.

       Sviluppare l’intuito: Un buon Data Scientist non deve solo avere forti competenze tecniche, ma deve anche essere dotato di un ottimo intuito. Non si tratta di gettare dati grezzi in uno strumento in grado di elaborarli, e aspettarsi che ne venga fuori qualcosa di buono: prima di tutto bisogna accertarsi che ciò che si sta facendo abbia un senso. Ad esempio, bisogna essere in grado di capire quali caratteristiche sono importanti e quali implicazioni vi stanno dietro, oltre a comprendere quale modello utilizzare in base a come i dati sono distribuiti.

       Massima specializzazione: In tutti i settori, dal finance, al pharma, alle utilities, solo per fare alcuni esempi, si registra una sempre crescente domanda di professionisti in grado di interpretare con precisione la mole di informazioni che quotidianamente le aziende ricevono: questo per trarre vantaggio competitivo, ma anche per conformarsi alle normative vigenti, in termini di privacy, protezione e sicurezza dei dati: uno su tutti il GDPR. Nelle infinite possibilità di applicazione, per un giovane che si avvia al mestiere, è fondamentale specializzarsi: le imprese ricercano infatti competenze sempre più specifiche.

        

In qualsiasi campo, dalla medicina alla finanza, passando per il marketing, è dunque necessario convergere e interpretare dati e informazioni, trasformandoli in indicazioni utili per il progresso di un’organizzazione. Per questo motivo, tra i profili più ricercati dalle aziende di ogni settore, negli anni a venire continueranno ad esserci proprio loro, gli “scienziati del dato”: professionisti dell’innovazione in grado di leggere, analizzare e gestire enormi quantità di informazioni digitali, permettendone l’utilizzo in infiniti ambiti applicativi, ponendo la massima attenzione su qualità, privacy e sicurezza.

 

Di conseguenza, anche il mondo accademico si sta muovendo per formare risorse con le competenze necessarie al ruolo di Data Scientist: all’Università La Sapienza di Roma, è nato persino un corso di laurea magistrale in Data Science, il primo del genere in Italia, che nei giorni scorsi ha visto la proclamazione dei suoi primi quattro laureati; l’Università di Torino, in collaborazione con il Collegio Carlo Alberto, propone invece il MADAS, Master in Data Science for Complex Economic System che, grazie a interventi curati da professionisti e aziende del settore, tra cui la stessa Irion, permette di coniugare lo studio teorico ad esercitazioni pratiche.

 

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