La scarsa protezione delle password espone i gamer ai cyber attacchi

Game Over: la scarsa protezione delle password espone i gamer ai cyber attacchi

Il gaming online è rapidamente diventato un settore estremamente remunerativo e il numero di account è in costante crescita. Secondo una ricerca condotta da Kaspersky Lab, più della metà delle persone (53%) in tutto il mondo gioca regolarmente online, un dato che sale al 64% per le persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni e al 67% per la fascia d’età 16-24. Si tratta di un settore potenzialmente remunerativo anche per i cyber criminali, che possono rubare gli account di gaming e venderli nel mercato nero. Nonostante i rischi, spesso i gamer non proteggono i propri account online dai cyber attacchi, rischiando di perdere non solo i propri progressi ma anche i dati personali e, potenzialmente, il proprio denaro.

L’audience globale del settore gaming – guidato da piattaforme online come Steam, PlayStation Network e Xbox Live – viene stimato tra i 2,2 e i 2,6 miliardi di utenti ed è tuttora in crescita, fattore che rende questo settore un obiettivo interessante per i cyber criminali, che desiderano bloccare le attività online o ottenere l’accesso a dati come password e dettagli delle carte di credito. L’interesse dei criminali informatici è chiaramente dimostrato dai recenti attacchi alle piattaforme Xbox e PlayStation.

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Considerato l’elevato numero di persone che giocano regolarmente online, i cyber criminali hanno a disposizione moltissimi utenti tra i quali scegliere le future vittime. Inoltre, il gaming è diventato una parte importante della vita di molte persone, che si affidano ai videogiochi quando si sentono sole, annoiate o desiderano socializzare. I cyber attacchi possono quindi risultare molto fastidiosi per le vittime: oltre a vedersi rubati i propri dati, possono subire conseguenze emotive, perdendo l’accesso ai propri giochi preferiti (sia temporaneamente, sia definitivamente) e vedendo vanificati i risultati raggiunti e sprecato il denaro speso.

Tra chi è stato vittima di un tentativo di attacco o di un attacco andato a buon fine ai danni di un proprio account online, il 16% ha visto presi di mira i propri profili gaming, percentuale che sale al 21% tra gli uomini. Inoltre, considerato che il 55% delle persone non sarebbe in grado di ripristinare in breve tempo i dettagli del proprio account in caso di perdita, il fastidio causato da un cyber attacco è ulteriormente amplificato.

Non più relegato all’ambiente domestico, il gaming fa sempre più parte della vita quotidiana di molte persone, come dimostrato dal fatto che quasi un intervistato su tre (27%) gioca regolarmente via smartphone. Quasi una persona su quattro (23%) usa connessioni wi-fi pubbliche per effettuare il login ai propri account gaming e il 56% dichiara di non adottare alcuna precauzione aggiuntiva quando usa network pubblici, sebbene i dispositivi non siano di per sé sicuri, esponendosi quindi a seri rischi. Questo pericolo viene ulteriormente aggravato dal fatto che solo il 5% delle persone indica il proprio account gaming tra i tre che richiedono le password più forti.

Inoltre, considerando che al giorno d’oggi molti profili online sono connessi tra loro, le vittime possono facilmente perdere l’accesso a diversi account, come quelli di email e social network. Mentre questo potrebbe causare gravi conseguenze emotive per gli utenti comuni, i giocatori professionisti possono subire conseguenze ancora più serie, arrivando a perdere denaro.

“Un vero e proprio tesoro di informazioni personali è disponibile online, offrendo ai cyber criminali sempre più opportunità di entrare in possesso dei dati più preziosi degli utenti, che possono essere venduti sul mercato nero digitale”, ha commentato Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab. “I gamer – sia amatori che professionisti – sono comprensibilmente preoccupati dalla possibilità di subire attacchi ai propri account ma anche dal pericolo di dimenticare la password e non riuscire ad accedervi. Si tratta di un dilemma che gli utenti affrontano tutti i giorni e molti scelgono l’opzione meno sicura: usare la stessa password per tutti i propri account o password semplici che gli hacker possono indovinare facilmente. Tuttavia, solo prendendo le giuste precauzioni e usando password uniche e forti gli utenti potranno essere sicuri che i propri account siano protetti e che il loro impegno non vada sprecato”.

Per proteggere gli account online dei gamer, molti prodotti Kaspersky Lab includono una funzionalità per la gestione delle password che aiuta gli utenti a tenere al sicuro le proprie informazioni, come Kaspersky Password Manager incluso in Kaspersky Total Security. Questo tool conserva tutte le password degli utenti in un archivio sicuro e semplifica l’accesso ai propri account da PC, Mac e smartphone. Un generatore automatico di password crea password forti, mentre gli utenti devono ricordare solamente la master password per accedere a tutti i propri account online.

Per maggiori informazioni sulle principali minacce informatiche per gli utenti, è possibile leggere il report “Consumer Security Risks Survey 2017: Not logging on, but living on” a questo link.

Smart Working – intervista alle ricercatrici dell’IRISS CNR

Nell’ultimo anno in Enel mi sto occupando di Smart Working ed ho avuto l’opportunità di conoscere tante realtà interessanti con cui confrontarmi.

Ho deciso quindi di intervistarli per mettere a fattor comune la conoscenza.

Inizo questo ciclo di interviste con Luisa Errichiello e Tommasina Pianese, ricercatrici dell’IRISS CNR 

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Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart Working in Italia?

Luisa: L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, come l’Olanda o la Danimarca, mostra ancora un forte ritardo rispetto all’implementazione di modelli di lavoro flessibile, compreso lo Smart Working. Tuttavia, è innegabile che da quando quest’innovazione, al contempo tecnologica, organizzativa e sociale, ha mosso i primi passi nel nostro Paese, il suo tasso di diffusione sembra procedere a ritmi ben più incoraggianti rispetto a quanto tempo addietro era avvenuto col telelavoro.  Complice non solo l’attuale contesto normativo-istituzionale, con una legge specifica che disciplina il lavoro agile, ma anche un mutato scenario socio-economico in cui l’agilità, al centro del paradigma Smart Working, è ormai riconosciuta come una leva di competitività per le imprese. Lo stesso accade per l’innovazione tecnologica. Al riguardo, infatti, è impensabile per tutte le organizzazioni, siano esse pubbliche o private, grandi o piccole, ignorare il progresso tecnologico e gli effetti che esso ha già prodotto sulla concezione del lavoro, che si permea di nuovi significati anche rispetto alla sfera esistenziale dell’individuo. Tuttavia, anche in base a dati forniti da varie ricerche, emerge che allo stato attuale sussiste, come spesso accade quando si parla di adozione di innovazioni, un forte divario tra le grandi e piccole imprese. Queste ultime, infatti, spesso non dispongono dei capitali necessari all’implementazione dello Smart Working, mancando al contempo di quel pool di competenze dedicate chiamate a costituirsi in team interdisciplinari fondamentali per la sua efficace implementazione. Al riguardo, tuttavia, è interessante evidenziare – come è emerso dal confronto diretto con alcuni imprenditori – che spesso le realtà più piccole, soprattutto start-up che operano nei settori della consulenza, dell’ICT o della creatività, adottano già un modo di lavorare in azienda fondato su principi quali flessibilità, autonomia e management by objectives che contraddistinguono il paradigma dello Smart Working. In questi casi la piccola dimensione, che spesso si accompagna a strutture organizzative piatte, poco formalizzate e burocratiche, diventa un fattore di vantaggio rispetto all’implementazione di questo nuovo approccio,, laddove le strutture e le pratiche organizzative riflettono una cultura manageriale più aperta al cambiamento.

Tommasina: In Italia, si è registrata recentemente un’inversione di rotta ed un cambiamento culturale importante nei confronti dei modelli di lavoro in remoto. Infatti, fino a poco tempo fa, questa modalità di lavoro era associata quasi esclusivamente al tradizionale telelavoro domiciliare, di fatto mai realmente decollato nel nostro Paese. Una delle spiegazioni è da ricercare in un impianto normativo piuttosto carente, che si limitava a prevedere che il telelavoratore venisse dotato di una postazione fissa per lo svolgimento del lavoro a casa; mancavano, invece, riferimenti normativi riguardo ad un più ampio spettro di tipologie di lavoro in remoto (es. lavoro mobile, team virtuali), incentrate sulla mobilità e flessibilità spazio-temporale e, dunque, sulla possibilità di sfruttare le tecnologie ICT per svolgere da qualsiasi luogo le attività assegnate. Alla luce di tali considerazioni, la recente disciplina del “lavoro agile” nell’ambito della legge n. 81/2017 (artt. 18-24) ha innescato un cambiamento culturale importante nel nostro paese secondo cui lo smart working, e più in generale le forme di lavoro flessibile, sono esplicitamente riconosciute e legittimate come una nuova modalità di svolgimento del lavoro i cui contenuti restano, tuttavia, immutati. Ciò ha favorito un crescente interesse ed una più ampia adozione dello smart working da parte di numerose organizzazioni comprese quelle che, di fatto, avevano già introdotto al loro interno programmi di smart working in maniera informale e talora inconsapevole. Inoltre, un’ulteriore spinta alla diffusione dello smart working deriverà senz’altro dall’applicazione della direttiva del Ministero della Funzione Pubblica n. 3/2017 che prevede l’estensione di queste nuove modalità di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione e rispetto alle quali si registrano già sperimentazioni e progetti pilota in diversi enti pubblici. Infine, il numero crescente di spazi collaborativi, tra cui co-working e smart work centers, saranno in grado di supportare ulteriormente il lavoro a distanza degli smart workers, come spazi di lavoro condiviso dove dipendenti pubblici e privati hanno a disposizione gli strumenti e tecnologie per lavorare a distanza dalla sede centrale. In via generale, è comunque importante rimarcare l’ampio spettro di modalità con cui le realtà italiane stanno attuando i programmi di smart working. Infatti, benché il paradigma dello smart working assuma una riprogettazione degli spazi (bricks), tecnologie (bytes) e comportamenti (behaviors), in molte organizzazioni risulta carente tale sforzo di riprogettazione complessiva ed integrato per cui il management si limita a consentire ai dipendenti di lavorare a distanza uno o più giorni alla settimana/mese, senza intervenire e dunque innovare il layout degli spazi fisici, sulle tecnologie in dotazione, sulle pratiche di gestione delle risorse umane. 

Quali credi siano i fattori critici di successo?

Luisa: Il successo, purtroppo, non si basa su una ricetta universale valida per tutte le aziende. Fattori di contesto della specifica realtà presa in esame influenzano in maniera significativa le traiettorie di sviluppo dell’innovazione e ne decretano perciò il successo o, al contrario, il fallimento. Tuttavia, come emerso da numerose ricerche sul tema condotte da altri studiosi ma anche da diverse ricerche field condotte personalmente in aziende che hanno adottato lo Smart Working, un adeguato supporto organizzativo gioca un ruolo di primo piano in un qualsiasi programma finalizzato alla sua implementazione. Come accade per qualsiasi processo di change management, anche nel caso dello [amazon_textlink asin=’8814222576′ text=’Smart Working’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’c7aa8bf5-fc22-11e7-b198-f767c6562624′] è fondamentale far fronte alle perplessità e timori che possono nascere tra i dipendenti, soprattutto quando il cambiamento, come accade ne caso specifico, può portare a una crisi di identità professionale, generare percezioni di discriminazione e ingiustizia organizzativa da parte degli smart worker o il timore che la ridotta visibilità possa compromettere il rapporto di fiducia con i propri capi ma anche con i propri colleghi. Un’efficace risposta, in tale direzione, può essere fornita ai propri dipendenti da parte dell’organizzazione non solo attraverso attività di comunicazione e formazione ad hoc, ma anche con l’offerta di un adeguato set di strumenti tecnologici funzionali per l’efficace svolgimento delle attività a distanza, inclusivi dei connessi servizi di formazione e assistenza tecnica. A fronte del carattere imprevedibile e della natura non lineare del processo di cambiamento è altresì fondamentale considerare il ruolo chiave svolto dai middle manager, dal momento che essi sono al contempo destinatari del cambiamento e esecutori delle decisioni strategiche dei propri responsabili senior. Ciò vuol dire che diventa fondamentale capire in che modo essi rispondono ai piani di cambiamento stabiliti in maniera top-down, dal momento che le loro aspettative e il loro comportamenti influenzeranno la traiettoria evolutiva e dunque il tasso di successo del programma di Smart Working che si intende implementare. In fase di implementazione, è auspicabile, ad esempio, che i responsabili siano essi stessi chiamati ad operare in modalità Smart Working e che utilizzino i canali a loro disposizione (es. telefono e meeting face-to-face) per instaurare e/o mantenere una relazione di fiducia con i singoli smart workers e supportarli rispetto allo svolgimento delle attività ed al raggiungimento degli obiettivi.

 Tommasina: A fronte di una pluralità di fattori rilevanti per gestire la complessità del cambiamento derivante dall’implementazione di programmi di smart working, occorre porre enfasi su una questione emersa come particolarmente rilevante dai casi condotti su imprese che adottano questi nuovi modelli di lavoro. Il riferimento è all’importanza di individuare adeguati sistemi di misurazione delle performance degli smart worker e relativa definizione di percorsi di carriera. Generalmente si ritiene che la principale preoccupazione degli smart workers sia la riduzione delle interazioni sociali con colleghi; l’indagine empirica ha, invece, evidenziato uno scenario più complesso secondo cui una delle principali perplessità degli smart workers attiene all’isolamento professionale, ossia al timore di penalizzazioni di carriera (in termini di benefit, assegnazioni di promozioni e responsabilità, ecc.) dovute alla non presenza e non visibilità al proprio responsabile. Al riguardo, pur riconoscendo l’importanza del [amazon_textlink asin=’0070513600′ text=’Management by Objectives (MbO)’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’d7c4b642-fc22-11e7-9347-23c96eabc567′] in contesti di smart working, ossia all’esercizio del controllo basato sull’assegnazione di obiettivi rispetto ai quali il lavoratore è autonomo circa le modalità di raggiungimento, è emerso come questo sistema di valutazione da solo non sia in grado di cogliere la complessità dello svolgimento del lavoro a distanza. Ad esempio, il Management by Objectives non tiene conto delle personalità individuali, ossia la circostanza per la quale non tutte le persone hanno la medesima capacità di autogestirsi ed auto-monitorarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi assegnati; al pari trascura di considerare che fattori esogeni, quindi non direttamente controllabili, potrebbero ostacolare l’attività e dunque il raggiungimento degli obiettivi da parte degli smart workers. Ne discende l’importanza di prestare attenzione ai sistemi di valutazione da adattare al contesto specifico dello smart working, considerando il contributo di leve informali, come la fiducia e l’empowerment, per allineare obiettivi individuali ed organizzativi.

Citami una best practice motivandola

Luisa: Recentemente ho avuto l’incredibile opportunità di visitare uno dei nuovi edifici di BNL Gruppo BNP Paribas a Roma, ed in particolare la sede ubicata nei pressi della stazione Tiburtina. Dal confronto con uno dei facility manager impegnato in prima linea nella gestione del cambiamento organizzativo, ho avuto modo di apprezzare il processo strutturato e l’approccio integrato adottato nel progetto SmartBank, fondato, sulla progettazione simultanea di tutte le leve dello Smart Working e nel quale, perciò, la Worplace Strategy è stata trattata come parte integrante di un programma di innovazione di più ampio respiro, molto attento anche alla sfera comportamentale, oltre  che a quella delle tecnologie abilitanti.  Al riguardo, è emersa una forte attenzione a far emergere le difficoltà sperimentate dai dipendenti nel dover affrontare il cambiamento ma anche la scelta deliberata di sperimentare lo Smart Working attraverso progetti pilota che hanno coinvolto in una prima fase proprio le figure professionali chiamate a progettare e gestire il cambiamento su più larga scala.

Inoltre, tra i numerosi elementi interessanti che sicuramente contribuiscono a renderla una best practice, ritengo importante sottolineare lo sforzo di riqualificazione dello spazio urbano associato alla realizzazione del nuovo edificio realizzato nei pressi della stazione Tiburtina. L’azienda ha dichiarato al riguardo l’intenzione a procedere in tale direzione, anche attraverso la costituzione di partnership con le autorità locali, affinché l’area circostante possa svilupparsi ulteriormente, attraverso un accresciuto livello di sicurezza nonché un maggior numero di servizi e attività, fruibili anche dai propri dipendenti.

Tommasina: A mio avviso, una best practice nell’implementazione dello smart working in Italia è rappresentata dalla società Microsoft. Al riguardo, ho visitato recentemente la nuova sede di Milano di cui ho avuto modo di apprezzare lo sforzo di progettazione degli spazi fisici, in termini di postazioni individuali negli open space, aree concentrazione, sale riunioni con differenziato livello di privacy, nonché le aree comuni organizzate con un angolo cucina ed un tavolo da ping pong per favorire lo svago e l’interazione informale. Al pari, è stato interessante constatare che la dotazione tecnologica associata allo smart working non si è limitata agli strumenti standard per lavorare a distanza (es. smartphone) ma è stata estesa per ricomprendere una serie di strumenti atti a favorire la collaborazione anche in prossimità fisica (es. lavagna interattiva). Infine, rispetto alla leva behavior, la responsabile ha sottolineato una maggiore enfasi sui risultati, la cui implicazione tangibile è data dall’eliminazione del cartellino e della macchina segnatempo, e l’accesso allo smart working (per ora) una volta la settimana per tutti i dipendenti, con l’unica eccezione di coloro che svolgono un tipo di attività che richiede reperibilità fisica.

Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?

Luisa: L’innovazione tecnologica sarà sicuramente il principale driver dei cambiamenti a cui assisteremo nel mondo del lavoro. Grazie a tecnologie sempre più pervasive, come il cloud, il social computing, i big data, mi aspetto che la flessibilità e la mobilità dei lavoratori aumenterà sempre di più e che le organizzazioni , di conseguenza, diventeranno sempre più virtuali. Un aspetto particolarmente importante da considerare è che i mutati pattern di uso della tecnologia da parte dei lavoratori produrranno degli effetti anche nei comportamenti individuali e nelle interazioni orizzontali e verticali, alterando i tradizionali assetti di potere, la distribuzione della conoscenza, il significato della “gerarchia” organizzativa. Al contempo la tecnologia contribuirà a rendere rapidamente obsolete le competenze e renderà la formazione continua un must imprescindibile, anche internamente alle organizzazioni. Infine, si accrescerà il divario esistente tra i giovani lavoratori ( i cosiddetti “millenials”) e quelli delle precedenti generazioni. Non ci si riferisce solo ad un gap di competenze tecnologiche da colmare. La scarsa familiarità e conoscenza delle nuove tecnologie spesso è il riflesso di una cultura diversa, che include una rigidità di pensiero e un’inerzia al cambiamento.

Tommasina: A mio avviso, il mondo del lavoro sta cambiamento rapidamente sia per i lavoratori, da cui ci aspetta un’enfasi sempre maggiore sulla responsabilizzazione ed all’autonomia, sia per i manager, il cui ruolo assume i profili del coach per gli smart workers.

 


 Luisa Errichiello

Ricercatore presso l’IRISS CNR, studia i processi di innovazione organizzativa nelle imprese di servizi e in particolare i modelli di lavoro flessibile abilitati dall’ICT.  Attraverso casi studio, ha analizzato le  trasformazioni organizzative dello smart working, approfondendo i cambiamenti nelle strutture di controllo, l’uso delle tecnologie, il ruolo degli spazi di coworking.  Al riguardo, è coordinatore in Italia del network internazionale “Research Group on Collaborative Spaces”. Le ricerche sul tema sono state presentate a convegni e workshop accademici e operativi e pubblicati su volumi e riviste internazionali e nazionali.

Tommasina Pianese

Assegnista di ricerca presso l’IRISS CNR. Si occupa di comprendere, attraverso casi aziendali, i cambiamenti organizzativi e manageriali derivanti dall’introduzione dello smart working. Si interessa di smart work centers ed è coordinatore in Italia del Research Group on Collaborative Spaces. Ha pubblicato contributi e partecipato a conferenze e workshop rivolti al mondo accademico, HR manager, consulenti aziendali e dirigenti.

Social recruiting – Intervista a Silvia Zanella

Come si svolge la giornata tipo di un recruiter 2.0, quali sono gli strumenti di cui si avvale, come collabora con gli altri dipartimenti, come costruisce e affina la propria strategia di personal ed employer branding… Silvia Zanella insieme con Anna Martini ha scritto un libro che è un manuale, ricco di esempi pratici, di interviste a direttori del personale e di spunti per mettersi subito al lavoro.

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La figura del recruiter sta cambiando. Il suo successo dipenderà sempre più dalla sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti. Questo libro è dedicato a chi, in azienda o all’interno di società di selezione o agenzie per il lavoro, vuole dare una risposta concreta a domande tipo: Come utilizzare LinkedIn e Facebook per venire a contatto con i profili professionali più interessanti? Ha senso sperimentare Snapchat o i video? Su quali competenze marketing è meglio puntare per essere selezionatori davvero efficaci? Quali leve usare per coinvolgere colleghi (attuali e futuri) nella comunicazione aziendale?

Ho intervistato Silvia:

Come sta cambiando la figura del recruiter?

La figura del recruiter è già cambiata, andando a integrare competenze tradizionali con quelle digitali. Non stiamo ovviamente parlando solo di skill informatiche, ma di una più ampia padronanza delle piattaforme online, dai motori di ricerca ai social network. Senza contare la familiarità con (ancora) piccole interazioni attraverso l’intelligenza artificiale.

Quanto conta la sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti?

Diventa essenziale, per filtrare meglio le candidature, venire a contatto con i profili passivi, crearsi una rete, fare leva sulla reputazione, mettere a frutto nuove occasioni di business, favorire la comunicazione interna. Quali sono le opportunità per le aziende e quali per i candidati? Ascoltare direttamente le persone, dare loro feedback, costruire relazioni.

Ed i rischi invece?

Non avere consapevolezza che tutto ciò che finisce online è sempre pubblico e potenzialmente lesivo della propria immagine.

Quali tool online ritieni indispensabili? Quali sono gli strumenti di cui si avvale un recruiter?

Siti e app di società di selezione accreditate, pagine aziendali (sia profili corporate sui social network, sia le sezioni “Lavora con noi”), connessioni dirette con candidati e recruiter.

Hai delle case history in positivo e negativo?

Le aziende hanno fatto passi in avanti straordinari e sono molto più attente che in passato. A me piace in particolare la strategia di employer branding di Cisco, Microsoft, Facebook. Passi falsi sono sempre in agguati. Dal lavoratore che parla male del proprio capo in post pubblici ad annunci di lavoro che riportano situazioni degradanti. Purtroppo entrambe le casistiche sono all’ordine del giorno. Per questo è essenziale discutere di questi temi, il social recruiting non è un argomento di nicchia ma riguarda potenzialmente tutti noi.

 
 

Silvia Zanella – Responsabile a livello globale del digital marketing per Adecco Group, società dedicata ai servizi per le Risorse Umane presente in oltre 60 Paesi nel mondo. Ha un grande interesse per il futuro del lavoro, digitale e non. Segue con attenzione le tendenze in ambito social media e HR 2.0 e ha un forte focus su innovazione, business social networking, social recruiting, recruiting marketing, employer e personal branding. Giornalista professionista, collabora con il Corriere.it per La Nuvola del Lavoro, il più importante blog italiano sui temi del lavoro. È inoltre autrice di Social Recruiter (Franco Angeli, 2017) e della Guida al Lavoro (Mondadori).

Non più big data, ecco le nuove sfide nella gestione dei dati

Irion: 5 previsioni per la data management nel 2018

La software house stila una lista di temi caldi: l’adeguamento al GDPR, la Data Preparation, la misurazione della qualità, la facilità di accesso ai dati e la formazione degli ‘Ingegneri dei dati’

 

Con il nuovo anno iniziato da pochi giorni, Irion, software house italiana specializzata nell’Enterprise Data Management, ha stilato una lista dei trend nella gestione dei dati, di cui sentiremo sicuramente parlare nei prossimi 12 mesi. Partendo da una premessa: la discussione sui Big Data non sarà più all’ordine del giorno, poiché ormai è data per assodata, con le aziende consapevoli dell’enorme mole di dati di cui dispongono. Il vero problema è capire cosa (e chi) serve per proteggerli e sfruttarli al meglio, traendo massimo valore e vantaggio competitivo e rispettando i requisiti normativi.

 

Il solito (ig)noto [amazon_textlink asin=’8890341912′ text=’GDPR.’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’0116c0f4-f9d8-11e7-9333-3dffe7c37bb0′] Il 2018 sarà l’anno dell’applicazione del GDPR, che entrerà in vigore – senza se e senza ma – il 25 maggio. Un tema caldo già nel 2017, vista la portata del regolamento, che impone, alle aziende residenti nell’UE o che gestiscono dati di persone residenti nell’UE, la revisione dell’assetto tecnico e organizzativo per adottare le adeguate misure di Data Protection. Sebbene se ne sia molto parlato, buona parte delle aziende sembra non aver compreso a pieno i requisiti necessari e, soprattutto, ha fatto poco o nulla per adempiervi. Nei primi mesi del 2018 dovranno necessariamente prenderne atto, e correre in fretta ai ripari.

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La Data Preparation. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Proprio per questo, e per evitare il fenomeno noto come “Garbage In, Garbage Out”, la Data Preparation, ovvero, a monte delle analytics, l’atto di predisposizione o pre-processing di dati grezzi e/o provenienti da fonti differenti, e conseguente traduzione in un formato condiviso, riveste e rivestirà sempre di più un ruolo fondamentale in ogni strategia di gestione dei dati.

 

Come misurare la qualità. Un’altra questione su cui si tornerà a ragionare nei mesi a venire, relativamente alla Data Management, è quella relativa alla misurazione della qualità: essenziale infatti sviluppare un metodo puntuale, preciso e condiviso.

 

Rendere facile l’accesso ai dati. Uno dei temi sempre più caldi è quello di rendere accessibile in modo semplice la gran massa di dati disponibile, evitando di impantanarsi in “laghi” che si trasformano rapidamente in “paludi”… In questo senso la disponibilità di una piattaforma in grado di pubblicare in modo organizzato e fruibile per gli obiettivi del destinatario è un fattore di successo.

 

Ingegneri dei dati cercasi. Si parla molto di Data Science e di Data Scientist, ma è arrivato il momento di passare a un livello successivo, ovvero all’Ingegneria dei dati. Tra la formazione accademica e le esigenze del mondo del lavoro resta infatti un divario troppo ampio, ed è necessario agire per colmarlo. Attualmente ci sono molti percorsi di ingegneria, ma nessuno dedicato ai dati: eppure i Data Engineer sono figure professionali sempre più appetibili e strategiche per le aziende.

 

“In generale, gestire e interpretare con precisione i dati di cui si dispone è essenziale per le aziende, in quanto crea un vantaggio concreto sulla concorrenza. Inoltre, nel 2018, la data management sarà ancora più cruciale per qualsiasi business, in un contesto di continuo aggiornamento normativo come quello attuale, con l’entrata in vigore del GDPR e le direttive verticali sui settori” ha dichiarato Alberto Scavino, CEO di Irion. 

Indagine sulle abitudini di scelta delle password

Password deboli e facili da ricordare vs password complesse e meno semplici da memorizzare

Gli utenti accedono quotidianamente ai propri account online per trasferire denaro dai propri conti bancari, fare shopping, consultare il meteo o prenotare un taxi. Purtroppo spesso succede di non riuscire ad effettuare l’accesso perché è stata dimenticata la password e in alcuni casi questo può creare diversi problemi. Da una ricerca di Kaspersky Lab è emerso il “dilemma” di fronte al quale si trovano gli utenti nel momento in cui devono decidere la password per proteggere i propri account online.

Oggi la dipendenza dagli account online è sempre più forte e dall’indagine di Kaspersky Lab è emerso che gli utenti, quando devono scegliere le password per proteggerli, si trovano sempre più frequentemente di fronte ad un dilemma. Alcuni utilizzano password forti e diverse per ciascun account per evitare che vengano hackerati, ma rischiano di dimenticarle quando servono. Altri scelgono invece password facili da ricordare che però rendono più semplici anche i tentativi di violazione degli account da parte dei criminali informatici.

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 Password complesse e difficili da ricordare

Secondo la ricerca di Kaspersky Lab, sono molti gli utenti che comprendono la necessità di avere password sicure per i propri account. Infatti, quando è stato chiesto agli intervistati per quali account online utilizzassero password più efficaci, il 63% ha risposto per i conti bancari online, il 42% per le applicazioni di pagamento tra cui e-wallet mentre il 41% per gli acquisti online.

Tuttavia, non è semplice ricordare password complesse e diverse tra loro e questo rende molto più probabile la possibilità che gli utenti le dimentichino e non riescano più ad accedere ai propri account. Due utenti su cinque (38%) non riescono a ripristinare rapidamente le password dei propri account online personali dopo averle perse. Questo può suscitare frustrazione o stress perché non consente all’utente di svolgere le normali attività.

Quando si tratta di archiviare le password, la metà degli intervistati (51%) ha dichiarato di memorizzare le password in modo poco sicuro, il 23% le scrive addirittura su un blocco note per non doverle ricordare, il che mette a rischio anche la loro sicurezza.

Password deboli e facili da decifrare

Per evitare la frustrazione di dover ricordare password troppo lunghe, alcune persone stanno sviluppando abitudini poco sicure. Ad esempio, il 10% usa una sola password per tutti gli account perché è più semplice e non rischia di dimenticarla. Questo fino a quando un criminale informatico non riesce a identificare la password e a bloccare gli accessi ad ogni account in un colpo solo.

Infatti, negli ultimi 12 mesi, il 17% degli intervistati ha dovuto fronteggiare la violazione (o il tentativo di violazione) del proprio account. Gli account di posta elettronica sono quelli presi di mira più frequentemente (41%), seguiti da social media (37%), conti bancari (18%) e account per gli acquisti online (18%).

Per il “dilemma” relativo alle password esiste una terza opzione

Secondo Kaspersky Lab, gli utenti non devono necessariamente limitarsi a due sole opzioni per rispondere al “dilemma” della password. Non è necessario scendere a compromessi, come spiega Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab: “Se le persone potessero usufruire di password sicure e facili da ricordare, non solo sarebbero in grado di accedere a tutto ciò di cui hanno bisogno ogni volta che serve, ma potrebbero anche proteggere dai criminali informatici tutte le informazioni contenute all’interno degli account. Questo è importante per gli utenti che vogliono sentirsi sicuri senza troppe complicazioni e vivere la propria vita digitale senza rivelare le proprie informazioni a hacker o criminali.

Ma ricordare password sicure è difficile, il che significa che gli utenti si trovano quotidianamente in situazioni in cui dimenticano password complesse o creano password semplici da ricordare ma anche da hackerare. Esiste però una terza opzione che può aiutare gli utenti a risolvere questo dilemma: utilizzare una soluzione di gestione delle password che consenta di avere password complesse, senza la necessità di scriverle sui blocchi note o di ricordare complesse stringhe di parole e caratteri speciali”.

Per aiutare gli utenti a controllare la propria identità online, Kaspersky Password Manager memorizza tutte le password dell’utente in una “cassaforte” sicura. Sarà necessario ricordare solo una password principale che consente l’accesso a tutti gli account e non si dovrà più temere che l’accesso venga impedito da un motivo qualsiasi. Tramite l’account gratuito My Kaspersky, gli utenti possono accedere alle proprie password tramite diversi dispositivi, in qualsiasi momento o luogo, mantenendo gli account e le informazioni preziose al sicuro con un accesso disponibile solo all’utente. La funzione automatica del generatore di password aiuta anche a creare password sicure, eliminando il problema per gli utenti ma rendendo le cose più difficili ai criminali informatici.

Ulteriori informazioni su come i prodotti Kaspersky Lab possono aiutare gli utenti a mantenere il controllo dei propri account online, sono disponibili su https://www.kaspersky.com/home-security

Vesuvius Valley, suggestione o realtà?

Negli ultimi anni, occupandomi di innovazione,  spesso mi sono imbattuto in questa tematica.

A volte era solo una provocazione, a volte un sogno di tanti giovani startuppers, a volte una triste speculazione politica.

Qual è la verità?

Stefano De Falco analizza nel suo libro Vesuvius Valley: Perché Napoli è la città più innovativa al mondo!?’  

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le potenzialità di innovazione e miglioramento del capoluogo partenopeo giocando sul parallelismo con la Silicon Valley californiana, culla mondiale dello sviluppo tecnologico, e la mela della Apple di Cupertino cede il posto come simbolo di innovazione alla mela annurca dei mercati del Borgo di Sant’Antonio Abate.

Il libro dimostra come Napoli sia potenzialmente la città più innovativa al mondo e lo fa partendo dal [amazon_textlink asin=’8804518065′ text=’teorema di Richard Florida’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’4d182234-f6b5-11e7-89d2-45396d1ddb6a’]: secondo lo studioso americano la creatività, la vivacità e il multiculturalismo si pongono alla base dell’innovazione e dello sviluppo locale. La città di Napoli, secondo questa prospettiva, sarebbe un terreno fertile per la crescita innovativa, forse più di qualsiasi altro posto al mondo.

Personalmente ne sono convinto ma ahimè credo che dovremmo finire di dirci che siamo belli e che siamo bravi e dovremmo invece iniziare con i fatti a dimostrarlo…step by step…così come ad esmepio sta facendo la Federico II con la Apple Academy…più fatti e meno proclami.

E perchè no una volta tanto remare tutti dalla stessa parte.

Di seguito l’intervista a Stefano che spero serva come spunto di discussione.

Iniziamo dalla domanda che poni, Napoli è o non è una delle città più innovative?Tu spingi il lettore a farsi la “sua” opinione, ma tu cosa pensi?

Il titolo del testo in realtà era più serio (non che questo non ,o sia come spiegherò tra un attimo) ed era legato ad una piega più scientifica e meno divulgativa, poi l’incontro con il mio amico e vulcanico editore Amedeo Colella (ex ricercatore informatico ed ora esperto di folclore napoletano) ha cambiato le cose.

Di fatto non è che io non abbia una opinione, ma per l’interrogativo posto dal titolo del testo è Protagora (mi riferisco al film di Bellavista piuttosto che ad una citazione aulica del filosofo!) che ci ricorda la soggettività necessaria di certe risposte. D’altra parte la doppia punteggiatura finale, esclamativo ed interrogativo allo stesso tempo ribadisce la natura sibillina della provocazione.

La mia opinione è che se volessi argomentare scientificamente la risposta e dunque riferirmi a metriche codificate, dovrei iniziare a scindere il tema della innovazione cosiddetta statica (capacità di trasformare il reddito in benessere) da quella dinamica (capacità di generare innovazione e investimenti) per poi ammettere che sicuramente Napoli non è la città più innovativa al mondo.

Tuttavia, ritengo che Napoli porti con se un germe di attività innovative legate alla sua dinamicità, poliedricità, alla sua mistura sociale, che da questo punto di vista la rendono si in grado di primeggiare a livello mondiale.

Il leitmotiv resta sempre quello, tanta energia potenziale che deve diventare energia cinetica di movimento, dove per movimento intendo proprio quello della innovazione dinamica, ossia attività e investimenti in risorse umane e infrastrutturali con orizzonte di almeno medio periodo.

Negli ultimi mesi grazie sopratutto all’arrivo della Apple Academy si è ripartiti con il sogno di Napoli culla dell’innovazione, non credi che però manchi ancora qualcosa?Tu che ricetta hai?

Capire se Tim Cook abbia scelto proprio Napoli come sede della iOS Academy perché città con DNA innovativo o se essa diventerà una città innovativa grazie alla Apple, significa rispondere ad un paradigma che da secoli attanaglia il dibattito scientifico sul rapporto tra uomo e ambiente e di recente sulla relativa declinazione alla innovazione territoriale.

Rapporto tra uomo e territorio che è stato visto in due modi antitetici, quello del determinismo geografico, di genesi scientifica tedesca, secondo cui i caratteri distintivi e peculiari di una società sono frutto di un’influenza ambientale e quello del possibilismo geografico, di matrice francese, secondo cui l’uomo sviluppa un dato genere di vita sì in rapporto all’ambiente, ma non a causa dell’ambiente in cui vive, manifestando in tal modo una sua possibilità di scelta (da cui deriva il termine possibilismo individuato da Lucian Febvre nel 1949, nella sua opera La Terre et l’evolution humaine), scelta che rimanda a quello slancio vitale che Bergson predicava come antidoto alle necessità imposte dalla Natura.

Detto questo, la mia opinione (non oso parlare di ricetta di questi tempi dove sono ormai tutti chef!) è che per la canalizzazione di tutte le energie positive sotto la bellissima, vivida, dinamica, ricchissima di passato glorioso, valle del Vesuvio, occorra agire in termini progettuali e non attraverso azioni spot a macchia di leopardo frastagliate sia nel dominio dello spazio che in quello del tempo. Serve una progettualità in cui, alla stregua del modello determinista di cui si accennava, si operi in termini causali e non casuali, cioè attraverso virtuosi paradigmi di causa-effetto tra fondi di investimento e azioni sul territorio. Per fare un esempio con la fisica, non si può più ragionare in termini particellari ma in quelli di campo, ossia implementando progetti urbani nei quali le azioni relative all’efficientamento dei servizi pubblici locali, ai piani urbanistici, ai PIU, i piani urbani della innovazione e smart city, alla integrazione delle università e degli enti di ricerca con il territorio di riferimento, alle azioni per lo sviluppo del turismo e anche alle ZES, le [amazon_textlink asin=’8899304955′ text=’Zone Economiche Speciali’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’95a5168d-f6b4-11e7-a8c2-1b5c0ca9f7b6′] che stanno esplodendo, siano tutte integrate in un unico disegno che le coordini e mutuamente valorizzi in modo sinergico. Gli stakeholders necessari ad una tale progettualità ovviamente sono tantissimi, ma in questo territorio non mancano, a mancare è la regia che dovrebbe coordinarli.

Se tu potessi decidere su cosa investire quale settore sceglieresti e perchè?

La bussola delle scelte deve essere sempre mossa dalle attitudini e aspirazioni individuali perché ogni forzatura verso il business momentaneamente più appealing non può che rivelarsi controproducente.

Per chi ha passione in primis e necessariamente preparazione per le nuove tecnologie, sicuramente il settore della robotica, della stampa digitale, del cosiddetto advanced manufacturing, in piena compliance con la rivoluzione 4.0, è una fucina di opportunità sia per tecnologici che per artisti d’avanguardia e artigiani che coniugano tradizione e innovazione.

Per chi ha più spirito imprenditoriale il settore dello street food potrebbe rivelarsi molto indicato.

Ma i settori nei quali ricercare opportunità sono tantissimi, come anche quelli relativi ai temi dell’ambiente, sempre attuale, delle nanotecnologie, dell’agricoltura evoluta in ottica 4.0, l’importante è acquisire un know how differenziale rispetto ai competitors di settore e a tal fine aiuta tantissimo fare esperienze in posti del pianeta nei quali il livello di conoscenza e applicazione di un certo tema è più sviluppato che in altri. Quindi partire per tornare più preparati, non partire come cervelli in fuga!

Nel tuo libro analizzi molti luoghi comuni o personaggi famosi…..raccontaci qualcosa?

In sincerità, potrebbe sembrare retorica spicciola, ma veramente trovo idee geniali quotidiane in personaggi anonimi piuttosto che in nomi noti che certamente hanno illuminato scienza e territorio ma che poi a furia di leggerli su articoli scientifici, vederli in convegni, nei giornali, ti sembrano troppo noti ed è nell’indole umana il fatto di perdere adrenalina per ciò che si conosce troppo.

Detto questo è chiaro che anche solo un caffè con qualcuno delle menti geniali che il nostro territorio offre rappresenta un’apertura di orizzonti incredibile.

Per fortuna se citassi già solo le eccellenze, native napoletane, che mi vengono in mente, dovrei scrivere un elenco lunghissimo.

Ma per concludere con un aneddoto, vorrei citare si una mente più che geniale, una eccellenza napoletana di caratura mondiale, un amico, ma soprattutto un tifoso del Napoli come pochissimi, Bruno Siciliano. Vabbeh lo si sa, è inutile che lo dica, professore di robotica, visiting di centinaia di università nel mondo e autore di un handbook sulla robotica tradotto in decine di lingue in tutto il mondo. L’aneddoto è relativo ad un fatto semplice ma emblematico della persona: mi aveva promesso, e ne era anche compiaciuto, di partecipare ad un incontro in una libreria per la presentazione del mio libro e mentre era in un importantissimo incontro universitario con il Rettore ed altre personalità, ha chiesto a un certo punto spostare l’ordine degli interventi per anticipare il suo e poi con la sua vespa ha raggiunto in tempo la libreria estasiando gli astanti con i suoi racconti che oscillavano tra applicazioni di robotica chirurgica avanzatissima, a sue attività a Stanford, fino ad aneddoti sul suo cameo nel film su Maradona.

E questa è Napoli! L’innovazione non è giacobina! Non va separata la Napoli folcloristica da quella scientifica. Ragionare in termini di campo, non di particelle!

Credi che Napoli e i Napoletani siano davvero consci del potenziale della nostra Città?

Molti dei punti a favore in questa intervista sono stati tracciati a favore della valle vesuviana (con buona pace del sociologo De Masi che non è proprio della stessa convinzione), però va detto che i napoletani hanno anche tante colpe e il tema della consapevolezza e soprattutto della fase post-consapevolezza, ossia quella della reazione né un esempio.

La resilienza senza reazione è un paradigma di sola sofferenza senza speranza e il tema della sofferenza, a mio parere, è già stato ampiamente impiegato con ottimi risultati nella teatralità e nella commedia dell’arte da Eduardo e Totò in poi, ma con pessimi risultati a livello sociale.

Ogni rivoluzione è un atto d’amore diceva Silvio Pellico nella Mie Prigioni e allora visto che il napoletano è un uomo d’amore (non di libertà per ri-citare il [amazon_textlink asin=’B01HHIN05Y’ text=’prof. Bellavista di Luciano De Crecsenzo’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’02f678e1-f6b5-11e7-ae7c-75722dde1e2f’]) sia innovativo rivoluzionando questa sofferenza passiva!

 


Stefano de Falco

Ingegnere, Dottore di Ricerca in Ingegneria Elettrotecnica, si è sempre occupato di geografia della innovazione come rapporto tra tecnologia e territorio.

Insegna Geografia della Innovazione Urbana all’Università Federico II di Napoli, dove è anche Direttore dell’IRGIT, Istituto di Ricerca sulla Geografia della Innovazione Territoriale. Inoltre è Presidente della AICTT, Associazione Italiana Cultura per il Trasferimento Tecnologico, con cui ha lanciato, di recente, alla presenza della vice-ministra Bellanova, la prima norma italiana per la certificazione della innovazione territoriale.

E’ autore di numerosi testi con le principali case editrici italiane e di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali.

Kaspersky Lab commenta le vulnerabilità nei chip Intel

Ido Naor, Senior Security Researcher, GReAT di Kaspersky Lab, in merito alle vulnerabilità nei chip Intel.

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“Sono state scoperte due gravi vulnerabilità nei chip Intel, che potrebbero consentire agli aggressori di sottrarre informazioni sensibili dalle app accedendo alla memoria principale. La prima vulnerabilità, Meltdown può efficacemente rimuovere la barriera tra le applicazioni utente e le parti sensibili del sistema operativo. La seconda vulnerabilità, Spectre, che si trova anche nei chip AMD e ARM, può indurre le applicazioni vulnerabili a perdere il contenuto della memoria.

 Le applicazioni installate su un dispositivo funzionano generalmente in modalità utente, lontano dalle parti più sensibili del sistema operativo.  Se un’applicazione ha bisogno di accedere a un’area sensibile, ad esempio il disco, la rete o l’unità di elaborazione sottostante, deve chiedere l’autorizzazione per utilizzare la “modalità protetta”. Nel caso di Meltdown, un aggressore potrebbe accedere alla modalità protetta e alla memoria principale senza bisogno di autorizzazione, eliminando in modo efficace la barriera e consentendogli di sottrarre potenzialmente i dati dalla memoria delle app in esecuzione, come ad esempio i dati provenienti da gestori di password, browser, e-mail, foto e documenti.

 Poiché si tratta di bug hardware, trovare la patch è complesso. Per Linux, Windows e OS X sono state emesse patch contro Meltdown e si sta lavorando per rafforzare il software contro lo sfruttamento futuro di Spectre. Google ha pubblicato ulteriori informazioni qui. È fondamentale che gli utenti installino immediatamente le patch disponibili. Ci vorrà del tempo perché gli aggressori capiscano come sfruttare le vulnerabilità – fornendo una piccola ma importante “finestra” di protezione”, Ido Naor, Senior Security Researcher, GReAT di Kaspersky Lab.

DIGITAL MAGICS ENTRA NEL CAPITALE SOCIALE DELLA STARTUP TWO HUNDRED

La prima campagna in collaborazione fra la startup FinTech e l’incubatore quotato in Borsa è quella di WeBeers, e-commerce delle birre artigianali, che raggiunge il primo traguardo raccogliendo adesioni per 250.000 Euro

TWO HUNDRED ha chiuso recentemente un round di investimento di 300.000 Euro e da fine 2015 ha raccolto oltre 1,5 milioni di Euro con le sue campagne sulla piattaforma

Digital Magics, business incubator quotato su AIM Italia di Borsa Italiana (simbolo: DM), entra nel capitale sociale della startup innovativa TWO HUNDREDportale di equity crowdfunding, autorizzato da Consob, che permette a chiunque di investire facilmente in aziende private non quotate.

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Oltre ad affiancare i fondatori con i propri servizi di incubazione per la crescita della società, Digital Magics con TWO HUNDRED aggiunge un ulteriore asset strategico per favorire il finanziamento e lo sviluppo delle startup e PMI digitali italiane. La prima collaborazione è la campagna della startup di Digital Magics WeBeers, e-commerce per scoprire le migliori birre artigianali, che ha raccolto adesioni per 250.000 Euro raggiungendo l’obiettivo minimo della raccolta fondi, che proseguirà fino al 31 dicembre:https://200crowd.com/V2/IT/Campaign/details/webeers

Fondata nel 2013 da Matteo Masserdotti (CEO) e Carlo Saccone (CTO) come Tip Ventures, la startup FinTech ha recentemente effettuato un rebranding con il nuovo brand 200 Crowd, e ha chiuso un round di investimento di 300.000 Euro, a cui hanno partecipato importanti business angel, investitori privati e l’incubatore certificato Digital Magics.

Da fine 2015 TWO HUNDRED ha raccolto con le sue campagne oltre 1,5 milioni di Euro – tra cui quelle di BIOGENERA, PMI innovativa che opera nel settore delle biotecnologie farmaceutiche, e di Glassup, startup specializzata nella fabbricazione di smartglasses per la realtà aumentata. Nel 2017 TWO HUNDRED ha registrato il +300% del numero di iscritti al sito e il +350% di investitori attivi.

Il portale di equity crowdfunding www.200crowd.com favorisce l’incontro di investitori professionali, qualificati, retail, business angel e venture capital con aziende non quotate, startup e PMI innovative o piccole medie imprese, garantendo massima trasparenza e velocità grazie a un algoritmo proprietario, qualitativo e quantitativo, che fornisce una valutazione preliminare sulle informazioni del business, manageriali e finanziarie delle società che si candidano per la ricerca di capitali su TWO HUNDRED.

L’obiettivo di TWO HUNDRED è costruire round di investimento strutturati, offrendo agli investitori la possibilità di co-investire nell’innovazione italiana, diversificando il proprio portfolio e favorendo la nascita e la crescita di neoimprese digitali.

L’equity crowdfunding – strumento alternativo per finanziare la crescita di una società tramite la campagna di raccolta fondi online, con una durata e un obiettivo – in Italiaha raggiunto oltre 18 milioni di Euro di capitale di rischio raccolto dall’avvio della legge del 2013, con un tasso di successo del 60% delle campagne e ha registrato unacrescita del 152% nel 2017 rispetto al 2016 (Fonte: Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano, novembre 2017).

Matteo Masserdotti, Fondatore e CEO di TWO HUNDRED, ha dichiarato: “L’equity crowdfunding in Italia sta dando ottimi risultati, ma dobbiamo lavorare insieme per garantire la massima professionalità agli investitori, che hanno oggi meno esperienza nel valutare e seguire queste aziende. Sappiamo che il mercato dell’investimento in capitale di rischio in Italia è solo all’inizio e siamo anche coscienti che questo tipo di investimenti è sempre più alla portata di tutti e l’interesse in forte aumento. Grazie alla partnership strategica con Digital Magics lavoreremo per creare un mercato più professionale e liquido per tutti”. 

Gabriele Ronchini, Fondatore e Amministratore Delegato di Digital Magics, dichiara: “Dopo aver lanciato MAGIC WAND, il primo acceleratore FinTech e InsurTech in Italia con 10 importanti operatori del mercato, continuiamo a investire nel settore della finanza, che è in evoluzione a livello mondiale grazie al digitale. Siamo doppiamente soddisfatti di dare il benvenuto a Matteo, Carlo e il loro team nella nostra squadra e di cominciare questa collaborazione con il raggiungimento per la nostra partecipata WeBeers del primo obiettivo della raccolta fondi. TWO HUNDRED non è solo una nostra partecipata, ma diventa un vero e proprio partner per il nostro portfolio e per l’innovazione in Italia”.

Akamai gli 8 trend che guideranno lo sviluppo del web nel 2018

Nel 2018 si celebrerà il trentesimo anniversario dalla connessione di Stoccolma al National Science Foundation Network (NSFNET), che ha significato il collegamento dell’Europa alla neonata infrastruttura internet negli Stati Uniti. Il web, oggi, apparirebbe irriconoscibile ai primi pionieri e ogni anno sono numerose le novità che determinano la sua evoluzione. Akamai ha individuato gli 8 temi principali che guideranno lo sviluppo della rete il prossimo anno:

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 1.       Realtà Virtuale

Nel 2018, la realtà virtuale, la realtà aumentata e la realtà mista avranno un ruolo sempre più importante nel mondo reale, rendendo una connessione a internet di qualità essenziale per le aziende che desiderano migliorare l’esperienza utente.

Alcune organizzazioni stanno già sperimentando l’utilizzo di esperienze di realtà virtuale all’interno di strategie di vendita, consentendo ad esempio di vedere come un nuovo divano si abbinerebbe all’arredamento del soggiorno o provare a guidare il nuovo modello di un’auto senza dover visitare lo showroom. Tuttavia, anche le applicazioni meglio progettate possono non generare l’effetto desiderato a causa di una pessima connessione a Internet. L’ottimizzazione del trasferimento di dati è quindi diventata fondamentale in sempre più ambiti.

 2.       IoT

L’evoluzione dell’Internet of Things sta dando vita a un’armata di bot dormienti che, il prossimo anno, potrebbero venire sfruttati dai cyber criminali con effetti devastanti.

Le password di default dei dispositivi connessi a Internet portano qualsiasi oggetto – dal citofono smart alla lampadina connessa – a poter diventare uno strumento nelle mani dei cyber criminali. La crescente diffusione dei dispositivi IoT li porta a diventare obiettivi sempre più interessanti per i criminali, che nel 2018 li useranno per lanciare attacchi DDoS su una scala sempre più vasta o come backdoor per accedere ai network aziendali e rubare informazioni sensibili.

3.       Esperienze mobile

Oggi, i produttori di dispositivi mobile puntano sempre più sull’esperienza video ma, come può testimoniare chi possiede un TV 4K, la qualità delle immagini dipende in gran parte dalla connessione.

 Gli utenti non sono più disposti a perdonare una scarsa qualità in cambio della mobilità e sta diventando sempre più importante offrire esperienze simili a quelle televisive su smartphone e tablet. Il 5G giocherà sicuramente un ruolo fondamentale in questo campo ma, dato che non sono previsti grandi lanci prima del 2020, gli operatori dovranno trovare altri modi per migliorare la qualità video nel frattempo.

4.       Auto connesse

Le auto connesse evolveranno significativamente nel 2018, rendendo sempre più prossimo l’arrivo dei veicoli autonomi.

I guidatori possono accettare che il navigatore satellitare perda il segnale per uno o due minuti, mentre ovviamente non è ammissibile che un’auto a guida autonoma perda la connessione. Nel 2018, verranno lanciate nuove soluzioni per la connettività mirate a risolvere questo problema, primi fra tutti gli aggiornamenti dei software Over The Air (OTA). I governi europei stanno iniziando a riconoscere questi sviluppi e il prossimo anno i legislatori stabiliranno le regole che definiranno lo status di queste tecnologie.

5.       Streaming video

Il Campionato mondiale di calcio in Russia porterà il settore globale della comunicazione ad affrontare le principali sfide dello streaming Over The Air (OTA).

Le aziende dovranno risolvere i problemi legati alla connettività globale e alla sovranità in materia di dati per poter migliorare il ROI dei propri investimenti legati ai Mondiali 2018. Allo stesso modo, i costi elevati connessi ai diritti di proprietà spingeranno i broadcaster a impegnarsi nella protezione dello streaming a livello globale. Nel 2018 verranno probabilmente sviluppate tecnologie per identificare lo streaming pirata di prodotti protetti da diritti e inserire forzatamente pubblicità per conto dei legittimi proprietari.

6.       HomePod

Il lancio di HomePod, previsto nel 2018, si aggiungerà al fenomeno Echo/GoogleHome, incentivando lo streaming audio in Europa.

 Secondo Gartner, entro il 2020 il 75% delle case possiederà uno smart speaker. Questi prodotti stanno già avendo un impatto significativo sulle tendenze di ascolto della musica: il 90% di chi li possiede usa gli smart speaker per ascoltare la musica e il 39% ha comprato questo nuovo dispositivo per sostituire lo stereo. Di conseguenza, la musica e la radio – in precedenza trasmesse sulle frequenze FM – vengono sempre più ascoltate in streaming.

 Con la costante crescita dello streaming, i proprietari di contenuti e i service provider dovranno dedicare maggiore attenzione alle piattaforme di delivery e ai metodi di distribuzione per garantire agli utenti esperienze positive supportate dalle proprie infrastrutture.

7.       GDPR

L’entrata in vigore del GDPR il 25 maggio implica per le aziende la necessità di agire rapidamente per rispettarne i requisiti. Tuttavia, il regolamento sulla protezione dei dati non sarà l’unica ragione di discussione su dove e come i dati debbano essere archiviati e processati. Il Privacy Shield è stato contestato legalmente dai gruppi per la privacy e, se il caso si dimostrasse ammissibile, potrebbero esserci ulteriori ripercussioni per la gestione dei dati da parte delle aziende. 

Inoltre, i trend europei del nazionalismo e del separatismo stanno rendendo ulteriormente confusa la situazione, creando incertezze sulla portata del regolamento europeo in luoghi come il Regno Unito o la Catalogna.

8.       Brexit

La Brexit e la paura dell’ignoto porteranno le aziende a riconsiderare quale sia il luogo migliore per l’archiviazione dei propri dati: conservarli nel Paese in cui vengono raccolti o dove sono processati? Oppure affidarli al cloud?

Cosa significherà per le aziende che hanno attività nel Regno Unito se, uscendo dall’Unione Europea, il Paese rifiutasse il regolamento sulla protezione e il transito dei dati? Le aziende globali che hanno fissato il proprio headquarter EMEA nel Regno Unito dovranno decidere se trasferirlo all’estero e, in tal caso, dove collocare i server.

 Le possibilità offerte dal cloud e la possibilità di accedere alle applicazioni da remoto sembrano sempre più interessanti ma comportano anche sfide relative alla sicurezza e a un accesso rapido e affidabile. Il 2018 sarà l’anno in cui le aziende decideranno se i dati debbano essere archiviati a livello locale o solamente accessibili localmente.

 “Il 2018 non sarà sicuramente un anno tranquillo, caratterizzato da innovazioni tecnologiche, cambiamenti politici, grandi eventi internazionali e un’evoluzione del modo in cui gli utenti usano Internet. Sarà per certo un anno in cui andranno a delinearsi maggiormente i possibili scenari evolutivi legati al mondo dell’intelligenza artificiale mentre diverrà chiarissima l’importanza del machine learning e dei data base corposi, nonché le opportunità legate all’associazione delle due cose”, ha commentato Alessandro Livrea, Country Manager di Akamai Italia. “L’inarrestabile evoluzione delle intelligenze artificiali e del machine learning porterà con sé esperienze sempre più coinvolgenti e personalizzate per gli utenti, ma anche nuove minacce informatiche e nuove modalità di difesa: solo le aziende che sapranno evolversi e rimanere un passo avanti rispetto ai competitor potranno distinguersi e ottenere dei vantaggi competitivi sostanziali. Akamai offre ai propri clienti la possibilità di beneficiare pienamente di servizi di sicurezza bastati sul deep learning nonché di sfruttare degli algoritmi predittivi in grado di massimizzare il business e la comunicazione su Internet”.

CONFCOMMERCIO PREMIA L’INNOVAZIONE NEL TERZIARIO

Il Premio Nazionale per l’Innovazione nei Servizi 2017, organizzato in collaborazione con la Fondazione COTEC (Fondazione per l’innovazione tecnologica) e giunto alla sua nona edizione, intende valorizzare e sostenere le migliori capacità innovative e creative di aziende al fine di favorire la crescita della cultura dell’innovazione del Paese. Stamattina si è svolta la cerimonia di premiazione in Confcommercio.

Le sei imprese vincitrici, insieme alle quattro menzionate, sono state premiate dal Presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia, Carlo Sangalli, che ha dichiarato: “Dal 2009 ad oggi, siamo orgogliosi delle imprese che anno dopo anno crescono e fanno crescere questo premio. Le idee premiate sono molto diverse tra loro, ma sono espressione del nostro modo di vedere l’innovazione con semplicità e armonia”. 

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I vincitori per l’anno 2017 nelle categorie di premio previste da Confcommercio.

Per il Commercio:

·         Lago Spa per il progetto “Lago Design Network”, una formula di retail che estende la rete commerciale coinvolgendo, anche attraverso l’uso del web, clienti business quali negozi, musei, ristoranti e alberghi che utilizzano complementi di arredo Lago come showroom/dimostratori e business partner, puntando sulla filosofia dell’home feeling.

·         Lanieri Srl per il progetto “Lanieri”, un e-commerce  specializzato sulla moda  maschile, integrato con atelier fisici (anche in formula temporary) in un’ottica multicanale, che permette la configurazione personalizzata di capi sartoriali solo made in Italy consegnando in oltre 50 paesi.

 

Per il Turismo:

·    Viniexport Srl per il progetto “Viniexport”, una piattaforma B2B di commercio online di vini basata sul meccanismo dell’asta competitiva con un portafoglio di 5mila etichette e 200milioni di bottiglie, per promuovere territori e piccole produzioni vitivinicole italiane.

·         StayDo Srls per il progetto “StayDo”, una piattaforma B2B2C per promuovere destinazioni turistiche meno commerciali e allungare il tempo medio di soggiorno che consente ai clienti di scegliere la meta turistica in base alla tipologia di esperienza di visita che decidono di fare.

 

Per l’ICT nei Servizi:

·         Satispay Spa per il progetto “Satispay Business”, App di mobile payment per micro-pagamenti anche online, alternativa al circuito delle carte di credito/debito, che permette ai piccoli operatori commerciali di abbattere notevolmente le commissioni.  

 

Per il Service Design:

·         Edisonweb Srl per il progetto “MVMANT Smart MObility”, APP di servizio di mobilità intelligente in modalità condivisa e disponibile su chiamata già sperimentato a Ragusa e Mestre, che integra i BID DATA del trasporto pubblico e ottimizza l’occupazione a bordo dei veicoli e la dislocazione sui punti di carico.   

 

I vincitori di ciascuna categoria riceveranno una onorificenza che sarà consegnata il 18 dicembre prossimo a Montecitorio dalla Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini.

 

La giuria del Premio ha, inoltre, riconosciuto la menzione di merito alle seguenti imprese:

·         Hic Mobile Srl per il progetto “AdMove.com”, piattaforma digitale che, attraverso algoritmi di analisi predittiva, consente ai piccoli esercizi commerciali di creare autonomamente campagne di local mobile advertising per ottimizzare attività di marketing personalizzato sul web e sui social. 

·         Fit For Lady International Srl per il progetto “Fitforlady – La palestra woman friendly”, nuovo concept di centro fitness dedicato esclusivamente alle donne in età pre e post parto, donne con bambini piccoli e donne over 50, integrato con servizi e spazi per l’infanzia.  

·         Xoko Srl per il progetto “Hotel Brand”, un sistema di business intelligence per strutture ricettivo-alberghiere che permette di effettuare, attraverso un algoritmo proprietario, la sentimental analysis dei clienti e la brand reputation di una struttura alberghiera, per la corretta definizione delle tariffe rispetto ai propri competitor. 

·         ProntoPro Srl per il progetto “ProntoPro.it”, marketplace che mette in contatto domanda e offerta di lavoro professionale e artigiano su circa 430 categorie di servizi, con risultati molto significativi in termini di clienti e professionisti in rete.

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