Nella Giornata Internazionale della navigazione sicura, l’Internet Safer Day, Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab, ha partecipato all’evento organizzato a Roma da Telefono Azzurro per creare un momento di confronto sul tema della sicurezza in Rete in difesa dei diritti dei bambini e dei ragazzi.
Kaspersky Lab, partner di Telefono Azzurro, è da anni impegnata a far crescere anche in bambini e ragazzi la consapevolezza dei rischi che la rete può nascondere. Sempre più persone condividono, infatti, informazioni o foto su social media come Facebook e Instagram rendendo accessibili agli estranei un’elevata quantità di informazioni private. Una recente indagine di Kaspersky Lab ha indagato quante informazioni personali siano diventate di dominio pubblico: la ricerca ha rivelato che la maggior parte delle persone intervistate (93%) condivide le proprie informazioni online e di queste il 70% condivide foto e video dei propri figli.
In modo preoccupante, quasi la metà (44%) degli utenti non prende in considerazione il fatto che le informazioni personali condivise su internet, una volta diventate di dominio pubblico, possono sfuggire al controllo dei loro proprietari. Una persona su cinque ammette di condividere dati sensibili con persone che non conosce bene e con estranei, limitando così la possibilità di controllare il loro uso futuro.
Inoltre, sempre secondo una ricerca di Kaspersky Lab, i social media, nati come modo per rimanere in contatto con gli amici e condividere ricordi piacevoli, diventano spesso fonte di frustrazione. La caccia ai “like” gioca un ruolo centrale in questo processo, poiché la maggior parte delle persone si sente abbattuta o arrabbiata quando non riceve tutti i “mi piace” che si aspettava per un post e il 42% afferma di essere geloso quando i propri amici ne ricevono di più. Inoltre, l’indagine evidenzia che le persone provano invidia quando vedono, sui social, che la vita degli amici appare migliore della propria.
In un sondaggio su un campione di 16.750 utenti in tutto il mondo, Kaspersky Lab ha rilevato la frustrazione nei confronti dei social media. Le persone, spesso, dopo aver passato del tempo sulle diverse piattaforme, provano sentimenti negativi, che superano gli effetti positivi che i social dovrebbero generare.
Ad esempio, il 59% si è sentito triste dopo aver visto i post di amici a una festa a cui non era stato invitato e il 45% ha rivelato che le foto delle vacanze degli amici hanno avuto conseguenze negative sul proprio umore. Inoltre, il 37% ha anche ammesso che riguardare vecchi post e ricordare momenti felici li ha lasciati con la sensazione che il passato fosse meglio del presente.
L’unico motivo per cui gli utenti non decidono di abbandonare i social media è la paura di perdere i contatti coi propri amici e i propri ricordi online, come le foto e, se il primo problema potrebbe essere più difficile da risolvere, Kaspersky Lab sta lavorando a una soluzione per aiutare gli utenti a salvare i propri ricordi digitali.
Agi riunisce a Roma il mondo dell’innovazione italiana
I protagonisti del mondo italiano delle startup riuniti a Roma per chiedere al Ministro dello Sviluppo Economico e a tutte le forze politiche un Piano Nazionale per l’Innovazione.
All’incontro la presentazione del SEP Monitor “Scaleup Italy” realizzato da Mind the Bridge e Startup Europe Partnership e delle linee guida indicate dagli investitori e imprenditori italiani del mondo dell’innovazione per portare l’Italia nel futuro.
Nel giorno in cui parte formalmente la campagna elettorale per le elezioni politiche Agi – Agenzia Italia riunisce a Roma i principali protagonisti del mondo italiano delle startup e della politica per sottolineare l’urgenza di un intervento deciso e chiedere di mettere l’innovazione e il futuro al centro dei programmi dei partiti.
Lunedì 5 febbraio dalle ore 11 alle 14 nel Tempio di Adriano di Roma (Piazza di Pietra) e in diretta web su Agi.it #StartupDay: mettete il futuro nei vostri programmi. Ad aprire l’incontro la presentazione del SEP Monitor Scaleup Italy realizzato dall’organizzazione internazionale Mind the Bridge nell’ambito dell’iniziativa Startup Europe Partnership della Commissione Europea che si propone di sostenere la crescita delle migliori startup europee anche attraverso le grandi aziende e le principali borse. Scarica qui lo Startup Europe Partnership Monitor.
A tracciare le linee guida per portare l’Italia nel futuro gli investitori, imprenditori ed esperti del mondo italiano delle startup e del venture capital, riuniti nell’ambito di una round table moderata dal direttore di Agi Riccardo Luna: un Piano Nazionale per l’Innovazione per indicare al Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e a tutte le forze politiche le strade da seguire negli anni a venire.
Ecosistema startup, gli investimenti in Italia e in Europa
Sono passati 6 anni da quando nell’aprile 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico, accogliendo i suggerimenti di una task force di 12 esperti, diede il via alla costruzione in Italia dell’ecosistema delle startup. Dall’inserimento con il Decreto Crescita 2.0 nell’ordinamento giuridico italiano della definizione di nuova impresa innovativa ad alto valore tecnologico, la startup innovativa, qualche tratto di strada è stato fatto. Ma non è abbastanza.
Nel 2017 sono stati investiti 110,8 milioni in startup italiane, 68 milioni in meno rispetto ai 178 milioni del 2016 (-39%). È la prima volta negli ultimi tre anni che si assiste ad un’inversione di marcia rispetto alla crescita degli investimenti in neo imprese innovative. Il primo dato disponibile sugli investimenti in venture capital è del 2012, e con questo dato l’Italia del 2017 ha investito esattamente gli stessi soldi che cinque anni fa. Il mercato del venture capital e dei finanziamenti in startup rimane quindi uno dei principali problemi dell’ecosistema dell’innovazione italiana. Le oltre 10mila startup italiane non trovano finanziatori. E i cento milioni investiti negli ultimi 12 mesi portano l’Italia ad un abisso di distanza rispetto ai principali paesi europei, con Francia, Germania e Regno Unito che investono oramai stabilmente cifre superiori ai due miliardi di euro ogni anno.
“L’Italia presenta una situazione di ritardo drammatico rispetto agli altri paesi europei: è all’undicesimo posto per numero di scaleup e capitale raccolto, con Gran Bretagna, Francia e Germania praticamente irraggiungibili – sottolinea Alberto Onetti, chairman di Mind the Bridge – E l’aspetto preoccupante è che, nonostante il ritardo, continui a viaggiare a passo lento, investendo in innovazione importi trascurabili. Questo Report, oltre a lanciare un grido di allarme, intende comprendere e spiegare le ragioni del gap esistente tra l’Italia e gli altri Paesi al di là delle mere cifre, così come evidenziare i passi in avanti registrati negli ultimissimi anni. Nonostante l’Italia sembri navigare a vista, ci sono difatti energia e passione cui bisogna dare le ali”.
“Il rapporto SEP mostra l’enorme ritardo che caratterizza il nostro Paese per quanto riguarda l’ecosistema delle startup, nonostante i grandi sforzi fatti negli ultimi anni, soprattutto da parte del Ministero dello Sviluppo Economico – racconta il direttore di Agi Riccardo Luna – Questo tavolo, quindi, vuole essere allo stesso tempo un momento di speranza per il nostro Paese nonché un incontro dal quale uscire con le idee chiare su cosa dovrà fare l’Italia nei prossimi anni per colmare il più possibile il gap che ci separa dagli altri Paesi europei. Non si riparte senza un decisivo contributo strategico di investimenti pubblici in innovazione, meno annunci e più fatti concreti. Questa dell’innovazione è una vera emergenza nazionale”.
Come evidenzia l’indagine Agi/CENSIS “La Cultura dell’Innovazione”, raccontata dal Segretario Generale del CENSIS Giorgio De Rita, per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile gli italiani, e le giovani generazioni soprattutto, richiedono uno scatto di protagonismo ed un impegno diretto molto concreto dei soggetti pubblici con poteri decisionali, soprattutto attraverso il sostegno alle forme più avanzate di imprenditoria giovanile, le start up innovative (27,9%).
Il mondo dell’innovazione riunito per #StartupDay
Presenti all’incontro: Andrea Ciampalini, Direttore Generale Lazio Innova; Andrea Di Camillo, Managing Partner P101; Antonio Falcone, AD Principia SGR; Augusto Coppola, Managing Director Acceleration Programs LVenture Group Spa; Carlo Mammola, AD Fondo Italiano; Aurelio Mezzotero, Managing Director Italian Angels for Growth; Chiara Russo, AD Codemotion; Claudio Giuliano, Managing Director Innogest SGR; Cosimo Palmisano, Co-founder Decisyon; Davide Dattoli, AD Talent Garden; Diva Tommei, AD Solenica; Domenico Arcuri, amministratore delegato Invitalia; Fabio Gallia, AD e Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti (CDP); Fabio Mondini, Venture Partner Idinvest Partners; Fausto Boni, General Partner 360 Capital Partners; Francesco Nazari, AD CharityStars; Franco Petrucci, Founder & CTO Decisyon; Giancarlo Rocchietti, Presidente Club degli Investitori; Gianluca Dettori, Executive Chaiman Primomiglio SGR; Giovanni De Caro, Strategic portfolio manager di Esense Ventures; Giovanni De Lisi, AD Greenrail Srl; Layla Pavone, Chief Innovation Marketing Digital Magics; Leone Pattofatto, Chief Strategy Equity Officer Cassa Depositi e Prestiti (CDP); Luigi Capello, AD LVenture Group Spa e Founder Luiss Enlabs; Marco Bicocchi Pichi, Presidente Italia Startup; Marco Cantamessa, Professore Innovation Management and Product Development Politecnico di Torino; Marco Gay, AD Digital Magics; Marco Trombetti, Co-Founder Pi Campus; Massimiliano Magrini, Managing Partner United Ventures; Mario Mariani, Managing Partner The Net Value; Mauro Del Rio, Presidente Docomo Digital; Paolo Barberis, Founder Nana Bianca; Paolo Cellini, Professore Economia Digitale Università Luiss; Raffaele Mauro, Managing Director Endeavor; Renato Soru, Founder Tiscali; Riccardo Donadon, AD & Chairman H-Farm; Roberto Magnifico, Partner LVenture Group Spa; Salvo Mizzi, General Partner Principia SGR; Stefano Firpo, Direttore Generale Direzione Generale per la politica industriale, competitività e le piccole e medie imprese del Ministero dello Sviluppo Economico; Stefano Scalera, Consigliere del Ministro dell’Economia per l’attrazione degli investimenti esteri in Italia.
Ad ascoltare le proposte degli imprenditori: l’Onorevole Sergio Boccadutri, Coordinatore Area Innovazione del Partito Democratico; l’Onorevole Laura Castelli, Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione del Movimento 5 Stelle; l’Onorevole Antonio Palmieri, Responsabile Internet e Nuove Tecnologie di Forza Italia; e Armando Siri, Responsabile Economico e Formazione Lega Nord.
UNILEVER E PEEKABOO PREMIANO COZEAT – The cozy breakfast,
PROGETTO VINCITORE DEL LEAN STARTUP PROGRAM
Il progetto COZEAT – The cozy breakfast ha vinto l’edizione speciale del Lean Start Up Program, il corso di formazione leader in Italia per creare una startup e validare il modello di business sul mercato che Peekaboo, pre-acceleratore di impresa di Roma, ha organizzato per Unilever Italia e che ha preso il via nella sede romana dell’azienda lo scorso 20 novembre.
“Questo progetto ha per protagonisti i giovani e le loro idee più innovative, che da sempre rappresentano il futuro della nostra azienda e l’investimento più sicuro su cui puntiamo” – afferma Gianfranco Chimirri, Responsabile HR di Unilever Italia – “In particolare, il team vincitore individua un segmento in crescita nel mercato delle strutture ricettive complementari, il delivery breakfast. Abbiamo premiato un progetto che intercetta un bisogno oggi non soddisfatto cui risponde in modo innovativo e concreto. In Unilever crediamo fortemente nell’apporto generato dall’incontro virtuoso tra innovazione e giovani talenti esterni all’azienda e, insieme a Peekaboo, abbiamo avuto l’opportunità di uscire dagli uffici e raggiungere una reattività senza pari nello sviluppo di nuovi progetti che possano incrementare crescita, competitività e fiducia tra i consumatori. Sono convinto che nella convergenza tra i talenti interni e quelli esterni, nella contaminazione tra le capabilities Unilever e quelle presenti nell’Open talent economy e nell’apertura dell’organizzazione a nuovi modi di lavorare risieda la chiave per il successo in un business che si evolve in maniera costante”.
L’idea vincitrice prevede la realizzazione di una piattaforma di delivery delle colazioni dai migliori bar sino alle strutture ricettive partner: COZEAT – The cozy breakfast risponde al bisogno degli host che affittano appartamenti ma non possono offrire la colazione ai propri ospiti a causa di vincoli normativi, lasciando un vuoto primario per chi vive l’esperienza vacanza.
Con l’avvicinarsi del 25 maggio 2018, data fissata per l’entrata in vigore del GDPR (General Data Protection Regulation), è sempre maggiore la pressione all’interno delle organizzazioni, praticamente tutte, chiamate a conformarsi al regolamento.
Per adempiere alla normativa è infatti necessario interpretare e ‘scaricare a terra’ principi e indicazioni, definendo una roadmap e un framework attuativi concreti e sostenibili. Il regolamento impone infatti di dichiarare un percorso di consolidamento del sistema di protezione dei dati personali, partendo dalla definizione del perimetro, dall’analisi delle minacce a cui sono sottoposti i dati, fino alla esplicitazione delle misure organizzative e tecnologiche adottate a copertura dei rischi.
“Non basta però dire cosa si fa. Bisogna anche fare quello che si è detto,” sostiene Alberto Scavino, CEO di Irion, software house specializzata nell’Enterprise Data Management. “Le misure dichiarate devono essere implementate e organizzate in un sistema codificato di gestione dei dati personali, che ha molti punti in comune con la conformità a normative già attive in diversi settori, come il Finance, e con le migliori pratiche di governo del patrimonio informativo”.
Questa analogia è una grande opportunità in termini di efficienza e sostenibilità: gli stessi metodi, tecniche e strumenti di data management e data governance possono e devono essere estesi per coprire esigenze di conformità al GDPR.
Il ruolo dell’enterprise data management
Un approccio proattivo, integrato e coerente necessita di un solido supporto strumentale, ovvero di un sistema di [amazon_textlink asin=’B01MTBKS2U’ text=’Enterprise Data Management’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’95920948-04fe-11e8-87c1-93c7eeda07d2′] in grado di assicurare la flessibilità e la dotazione funzionale necessarie a coprire i requisiti di differenti finalità di gestione dei dati.
Una piattaforma in grado di esplorare il system landscape (data discovery) per creare una mappa dei dati, categorizzarli in base alle singole tipologie e finalità di impiego, valutare i rischi connessi, configurare ed eseguire le regole di dismissione dei dati, verificarne l’esattezza eventualmente attivando le opportune azioni di rettifica. Per salvaguardare le informazioni può rivelarsi necessario lo sviluppo di una delle misure per la protezione dei dati suggerite dalla normativa stessa, la pseudonimizzazione, attraverso tecniche di [amazon_textlink asin=’1546377972′ text=’data masking.’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’84b5eef3-04fe-11e8-8086-4f162dc340be’] La piattaforma deve inoltre disporre delle funzionalità necessarie a garantire una risposta efficace e tempestiva all’esercizio da parte degli interessati dei propri diritti (consenso, rettifica, oblio, portabilità) al verificarsi di violazioni (data breach), ai requisiti di reportistica regolamentare (es. registro dei trattamenti).
Ma lo strumento è solo uno dei fattori abilitanti: è necessario impiegarlo in modo corretto, con il supporto di professionisti del dato, per valorizzarne tutte le caratteristiche sulla base di un metodo concreto applicabile a differenti esigenze gestionali.
La piattaforma EDM, gli add-on RTG e i relativi servizi professionali abilitanti di Irion danno una risposta completa e integrata a queste esigenze, fornendo un potente ambiente integrato di governo e gestione dei dati con tutte le feature necessarie a coprire i requisiti tecnici introdotti dal GDPR: data quality, data discovery, data governance, gestione di business glossary e metadata, data masking, master data management e workflow management. Il tutto, arricchito da potenti funzionalità di autodocumentazione e di reporting, costituisce una risposta completa e modulare, basata su una chiara visione del percorso di adeguamento alla normativa e al suo presidio in esercizio.
Per approfondire tematiche connesse al regolamento, Irion ha inoltre creato il gruppo LinkedIn GDPR Italia, attraverso il quale è possibile entrare in contatto con Manager che si occupano della “protezione dei dati personali”: un luogo d’incontro virtuale dove condividere esperienze o confrontarsi con altri esperti, facendo chiarezza sulle indicazioni normative e trovando spunti, idee o soluzioni utili.
Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart working in Italia?
Il termine Smart Working si è ormai affermato nell’immaginario collettivo, travalicando anche i confini degli addetti ai lavori. L’approvazione della legge sul Lavoro Agile, all’interno del cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo, ha aiutato a sbloccare un processo organizzativo che i dati del Politecnico di Milano (Osservatorio Smart Working 2017) certificano ormai come dato non transitorio (sono 305 mila i lavoratori agili, in crescita del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013).
Al di la della diffusa introduzione del contratto agile in diverse grandi aziende con cui abbiamo contatto quotidiano, si percepisce che le potenzialità in termini di abbattimento di costi diretti ed indiretti, di miglioramento del work-life balance, di produttività, di organizzazione e diffusione della responsabilità e, soprattutto di engagement – personale e verso l’azienda – possa subire un netto miglioramento.
Insomma: la consapevolezza che siamo nel pieno di una rivoluzione è, ormai, diffusa. La sensazione, però, è che non si abbia reale consapevolezza delle sue ragioni e della sua portata e che quindi non ci si doti degli strumenti adeguati per viverla e per interpretarla. Troppo spesso, si tende a riportare lo Smart Working ad una evoluzione del telelavoro e, quindi, a confonderlo con concetti come Home Working, Remote Working, Agile, e questo può deviare azioni e sforzi dei singoli e delle aziende.
Siamo solo agli inizi di questa trasformazione ma, sono certo che, sarà epocale. Molte aziende si stanno avvicinando ad approcci integrati al nuovo approccio lavorativo e di collaborazione che chiamiamo Smart Working. Ritengo che il 2018 sarà un anno molto importante per la maturazione del mercato Italia e internazionale.
Quali credi siano i fattori critici di successo?
Lo Smart Working va inteso come nuovo approccio lavorativo e di collaborazione all’interno di un’organizzazione e non può prescindere dalla costruzione di un modello organizzativo che abbracci la classica formula BBB : Bricks, Bites and Behaviour. La trasformazione del lavoro deve essere legata ad una azione parallela su :
Trasformazione degli strumenti aziendali (fisical & digital collaboration),
Creazione di ambienti lavorativi idonei e all’apertura verso l’esterno (indoor & outdoor workplace),
Ripensamento delle organizzazioni ponendo al centro la persona, facendo convergere ed integrare gli obiettivi aziendali e quelli personali (work-life integration) e trasformando la cultura aziendale verso la misura dei risultati, allontanandoci da vecchi concetti di controllo.
Una declinazione centrata esclusivamente in ottica “Smart” – Smart-city/Smart-office e quindi focalizzata all’abbattimento dei costi per gli spazi fisici, alla riduzione dei tempi e costi di trasferimento; all’estetica degli spazi di lavoro e/o alle dotazioni tecnologiche non può essere sufficiente. Sono fattori certamente importanti ma che, necessariamente, vanno inseriti in un progetto integrato di trasformazione culturale e organizzativo dell’azienda.
Vogliamo davvero liberare il lavoratore dai vincoli spazio/temporali e dalle dinamiche dell’ufficio tradizionale per poi semplicemente ricostruirle altrove, magari il più possibile vicino casa?
È presente, a ben guardare, un pericolo concreto che il Lavoro Agile si risolva in un pendolo ufficio/casa. Se lo Smart Worker diventa esclusivamente un “lavoratore remoto” si rischia un effetto boomerang che riporta alla definizione letterale remoto = “allontanato, lontano”. Fra casa e ufficio esiste invece una miniera di competenze e conoscenze, una ricchezza che, attraverso lo Smart Working, può diventare accessibile all’impresa.
Vogliamo davvero rendere liberi i lavoratori responsabilizzandoli per poi chiedere loro di comunicarci orario di inizio, orario di fine e le pause del lavoro? Il processo di cambiamento di cui un’azienda ha bisogno per rendere la singola persona responsabile del proprio lavoro, consapevole dei risultati da raggiungere, cosciente e autonomo nell’organizzazione delle proprie modalità e tempistiche di svolgimento delle attività private e di team, va supportato e guidato con opportune iniziative di trasformazione.
Insomma, sono molti i rischi ma, enorme il potenziale di successo a cui questa evoluzione del lavoro porterà per quelle organizzazioni che comprenderanno il bisogno di costruzione di un progetto olistico di trasformazione.
Citami una best practice motivandola
Ci sono diverse grandi corporation – di cui non posso ancora citare i nomi – che ci hanno contattato per dotarsi di una piattaforma per l’implementazione dello Smart Working che consenta ai propri dipendenti di scegliere una serie di luoghi interessanti sia in ottica smart-city (vicinanza alla propria vita personale) che in ottica smart-working (in senso proprio), ovvero luoghi che attivino interessi e competenze sinergiche con la propria progettualità professionale ed capaci di stimolare interessi personale. Mi riferivo proprio a questo parlando di “miniera di competenze e conoscenze” di fatto già accessibili.
Provo a spiegarmi meglio. Un’azienda può dotare i singoli lavoratori o dei team progettuali di un accesso alla piattaforma MYSPOT estendendo così il proprio portafoglio immobiliare (sedi degli uffici aziendali) con tutti quei luoghi (coworking, business center e altre sedi) in grado di supportare e accelerare le progettualità in cui sono inseriti. Ogni nuovo luogo potenzialmente vivibile dai lavoratori viene selezionato sulla base delle caratteristiche proprie (spazi, servizi, localizzazione) e delle competenze che lo abitano (community e professionisti che è possibile incontrare e da cui farsi contaminare) aumentando in maniera esponenziale le opportunità di business e innovazioe.
In questo modo, in breve, si passerà dal concetto di HQ (head quarter) a quello di HUB, alla costruzione di un luogo diffuso, integrato nel tessuto urbano e professionale in cui l’azienda è immersa e vuole orientare il proprio business.
Altre aziende, inoltre, ci stanno contattando per la costruzione di un percorso di trasformazione delle proprie persone attraverso dei percorsi immersivi che noi chiamiamo “Work-out the future”. In pratica, se pensiamo ad un team progettuale che si sta occupando di un nuovo progetto di innovazione aziendale, si tratta di affiancarlo nella costruzione di un percorso esperienziale di introduzione, contaminazione e accelerazione su tematiche come, ad esempio : Agile, Evolutionary Leadership, Civic Engagement, Activity Based Workplace, Work-life integration, Digital Collaboration e Remote Working.
Accompagnare un team attraverso tali argomenti, non soltanto attraverso il classico approccio formativo d’aula, ma attraverso la costruzione di un percorso esperienziale in grado di accelerare la progettualità in cui il team è coinvolto. Aiutando il progetto stesso, oltre che le persone coinvolte. Solo attraverso la pratica di tali esperienze e la misurazione diretta dei risultati acquisibili dall’approccio integrato dei concetti esposti precedentemente, è possibile costruire un terreno adeguato al cambiamento di cui le aziende, i lavoratori (ognuno di noi) ed il mercato tutto hanno bisogno.
Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?
10 anni è un periodo troppo lungo con la velocità di trasformazione che contraddistingue i nostri tempi.
La trasformazione digitale del mondo è già avvenuta. Ci siamo dentro. Passiamo fuori dall’ufficio e dalla postazione assegnata almeno la metà del nostro tempo. Infiniti canali – pubblici e privati – ci rendono tutti costantemente iper-connessi con colleghi, clienti, fornitori, autorità, etc. Insomma: sono cambiati i capisaldi del nostro modo di lavorare perché è già cambiato il nostro modo di stare al mondo. Salta l’idea classica di orario di lavoro, di luogo di lavoro, di mansione di lavoro. La sfida è quella di mettere in campo strumenti in grado di assistere i lavoratori nell’abitare il nuovo mondo digitale.
Il punto quindi non è orientarsi nel pendolo fra diversi tipi di spazi (ufficio, casa, business center, coworking) ma la capacità di abitare un unico “luogo digitale” costituito fondamentalmente da un insieme di relazioni – spaziali, digitali, economiche, sociali, emozionali, comportamentali. Un’esperienza di questo genere, che non è né abituale, né ordinaria, né tantomeno semplice per il lavoratore, ha bisogno di essere insegnata e soprattutto vissuta. Ecco allora che diventerà fondamentale sviluppare e perfezionare un personal digital assistant (il nostro “avatar”) che accompagni e indirizzi il lavoratore in questo contesto multidimensionale, riducendo a un’unica esperienza relazionale la molteplicità di livelli comunicativi attivati, lo renda capace di orientarsi e cogliere il nuovo mondo di opportunità la Digital Transformation abilita.
Dall’altro lato, startup e corporation tenderanno ad assomigliarsi sempre di più. Bisogna però cambiare punto di vista. Le aziende di grandi dimensioni hanno lo svantaggio di essere poco reattive ma conservano comunque il vantaggio di riuscire ancora ad attirare talenti. Il punto, però, sarà cambiare il modo di gestirli e formarli: da un’organizzazione gerarchica, rigida, verticale, che forma su questa base le proprie risorse, ad una formazione permanente, immersa ogni giorno laddove accadono le cose, cioè spesso fuori dai classici confini aziendali. Nel mondo attuale, anche il miglior corso di formazione teorico-frontale rischia di essere datato non appena è stato somministrato. La sfida è invece quella d’innestare nella dimensione corporate la cultura agile. Avere la determinazione e la lungimiranza di rimettere nel mondo le proprie risorse umane, rivitalizzandole.
Non basta quindi lasciare il lavoratore libero di decidere quando e dove lavorare. È fondamentale accompagnare la libertà lavorativa acquisita verso luoghi “inspiring” in chiave di crescita del valore personale, e quindi, aziendale. Lo Smart Working può essere lo strumento che abilita questo apprendimento permanente verso nuove competenze in continua evoluzione.
Daniele Appetito
Dopo essersi laureato in Ingegneria nel 2005 entra in eFM, dove si è occupato fin da subito di consulenza di business per la gestione e valorizzazione del Patrimonio Immobiliare e l’implementazione dei sistemi informativi. Dopo 5 anni di gestione dei servizi di Facility, Project e Property per un grande cliente Italiano (importante istituto bancario) diviene da prima Client Leader di questo ed in seguito Program Manager di due dei più grandi progetti internazionali di eFM. Oggi è il Responsabile dell’area Progetti di consulenza per i clienti Corporate in ambito nazionale ed internazionale.
Swoords è un gioco di parole in cui due giocatori si sfidano online per trovare una parola che inizi con le ultime due lettere della parola precedente. Il team di sviluppo è costitutio da ragazzi italiani.
Ho intervistato Giuliano Ambrosio, Co-Founder di SWOORDS
Quando hai avuto l’idea di sviluppare un gioco di parole?
Nel 2014 davanti a una pizza con amici. Questo è stato il momento in cui, affascinato dal successo di Ruzzle in Italia e nel Mondo, mi sono chiesto quale nuovo gioco di parole si potesse trasformare come Mobile Game.
Da quel momento è nata una sfida con me stesso, ho provato a creare un prototipo e delle dinamiche di Gamification, analizzato il fenomeno Ruzzle e preso le best practice da circa 50 migliori giochi di parole sugli store App Store e Google Play.
Solo qualche anno dopo, iniziando a lavorare come Creative Strategist in AQuest (https://aquest.it), agenzia digitale creativa, ho avuto fiducia e risorse per sviluppare ed evolvere il gioco nello studio mobile game POLLSO, dedicato ad esplorare e sviluppare soluzioni di gamification legate al Mobile gaming.
Raccontami come funziona la dinamica di gioco?
SWOORDS è un nuovo gioco di parole multiplayer per iOS e Android, che si basa sulle connessioni possibili tra lettere finali delle parole.
Lo scopo è quello di trovare una parola che inizia con le ultime due lettere della parola precedente lanciata dal tuo avversario. Se ti sfidano con la parola “LOMBRICO”, la tua risposta dovrà essere una parola che inizia con ‘CO’, ad esempio ‘COLORAZIONE’.
Hai 20 secondi di tempo e 5 Round per trovare la parola usando più lettere possibili e accumulare punteggio. Ad ogni partita le lettere nella tua tastiera avranno un punteggio diverso, scegli bene quelle con valore più alto per vincere.
Durante il gioco per distrarre l’avversario è possibile usare delle armi e bonus, in modo da fare perdere tempo prezioso durante le sfide.
Il gioco è gratuito con dinamiche di acquisti in-app, disponibile per App Store e Google Play con la possibilità di giocare con dizionario Italiano e Inglese con un totale di oltre 600 mila lemmi.
Quali differenze con i suoi competitor ad esempio Ruzzle?
SWOORDS vuole rompere le regole dei classici giochi di parole in tema dinamica di gioco con una nuova dinamica gioco e non clone, monetizzazione con native adv, portando cultura e coinvolgimento creando prima una community grazie ai social media.
La base di SWOORDS, poi ampliata e arricchita con dinamiche di gamification, riprende un popolare e famoso gioco chiamato Shiritori. Lo Shiritori (しりとり?) è un semplice gioco verbale comune in Giappone come passatempo. Il gioco consiste nel dire una parola che inizi con la stessa sillaba (kana) con cui finisce la parola detta dall’avversario, a formare una concatenazione continua.
Giocando a SWOORDS con gli amici o contro Doctor SWO, l’intelligenza artificiale, sarà probabile incontrare nuovi vocaboli. Proprio per questo abbiamo integrato la possibilità di scoprire il significato di tutte le parole giocate all’interno di ogni partita. In questo modo SWOORDS cerca anche di veicolare cultura mettendo in pratica le proprie conoscenze in campo linguistico e allo stesso tempo scoprire nuovi vocaboli.
SWOORDS non è un classico gioco, il suo design minimale è ottimizzato per rendere le lettere e le parole protagoniste del gioco. Abbiamo realizzato un sistema integrato di Native Adv con cui le aziende potranno sponsorizzare determinate parole e allo stesso tempo offrire vantaggi esclusivi ai giocatori dentro e fuori dal gioco.
L’integrazione di questa soluzione permetterà alle aziende di raggiungere un pubblico mirato e non interrompere l’esperienza di gioco, ma ampliarla con vantaggi concreti durante il gaming e fuori. All’inizio dei 5 Round i giocatori visualizzeranno 4 parole bonus a testa. Le parole bonus avranno un valore doppio e permetterà di sbloccare reward digitali o scontistiche in store.
Dal punto di vista tecnico quali i linguaggi ed i tools utilizzati?
Il gioco è stato sviluppato con UNITY, famosa piattaforma per la prototipazione e sviluppo di giochi mobile.
La gestione di risorse, chiamate, interrogazioni API si appoggia invece a tecnologia Azure di Microsoft, di cui siamo partner e che ci ha permesso di ottimizzare velocità e performance di gioco.
Quanto è durata la fase di sviluppo e che difficoltà hai incontrato?
La fase di sviluppo è durata circa 5-6 mesi nei quali abbiamo dovuto pensare molto bene le dinamiche di coinvolgimento e di level design.
Tra le dinamiche su cui abbiamo lavorato di più sono sicuramente la schermata di gioco round e il sistema di native adv.
La schermata di gioco, dove vengono inserite le parole, ha avuto diverse trasformazioni dettate anche dei suggerimenti dei Beta Tester con i quali abbiamo potuto capire meglio cosa funzionava di più.
La dinamica di Native Adv invece, in roll-out, ha avuto in periodo interno di prove medio lungo per essere pronti al lancio pubblico per le aziende.
Primi risultati?
In meno di 14 giorni dal lancio questi i risultati più significativi:
+1 Milione di views su App Store
+20K Download totali (iOS + Android)
+3K Giocatori attivi al giorno
+150K Round giocati al giorno (media di 10 partite/giocatore)
⭐Best Of the Day su Product Hunt (10 GEN) ⭐ Google Play: 2° tra le “applicazioni di tendenza” (11 GEN) ⭐ Google Play: 1° tra le “novità giochi basati sulle parole” (12 GEN) ⭐ App Store: 8° in “Giochi di Parole” (13 GEN) ⭐ App Store: In vetrina ITA tra “Nuovi giochi che adoriamo” (13 GEN) ⭐ App Store: 10° in “Giochi Trivial” (14 GEN) ⭐ App Store: Nella “Top 100 Giochi Gratis” (14 GEN)
Prossimi passi?
Tra i prossimi step, c’è la volontà di entrare nelle scuole con lo scopo di presentare SWOORDS, ma allo stesso tempo condividere valore in termini di Gamification Mobile, Native Adv e attività di Marketing usate per il lancio.
Pensiamo che i suggerimenti di un target millennials e nativo digitale possano migliorare il gioco.
Nelle versioni successive introdurremo le parole bonus (Native Adv), nuovi dizionari come lo Spagnolo e possibilità di personalizzare i propri dizionari su tematiche specifiche.
Giuliano Ambrosio è un consulente in strategie digitali da oltre 8 anni, ha lavorato per diverse agenzie italiane di comunicazione e aziende internazionali.
Conosciuto sul web come “JuliusDesign“, Giuliano ha maturato il proprio personal branding grazie al suo blog personale lanciato nel 2007, in cui tuttora condivide guide e riflessioni sul mondo digitale.
Il suo lavoro come consulente consiste nella ricerca e applicazione di concept creativi, attività, meccaniche e soluzioni in campo Digital e Social Media seguendo un approccio strategico. Lo scopo è quello di ottenere gli obiettivi stabiliti, utilizzando e studiando insights, tecnologie e canali media a disposizione adeguati alla comunicazione del Brand.
Durante la sua carriera ha avuto modo di maturare competenze in Comunicazione Digitale e Strategie di Social Media Marketing in diverse agenzie, J. Walter Thompson, M&C Saatchi, HUB09, Done!Group, ProDea, YoungDigitals dove ha avuto il privilegio di lavorare per clienti come Motivi, Gillette, Abarth, Gruppo Generali, Alfa Romeo, Hasbro, Unicredit.
Inoltre Giuliano ha prestato docenza per il Master IED in Digital Media Management a Milano e formazione in strategie digitali per l’Università di Torino. Co-organizzatore del Mashable Social Media Day Italy 2016 e Mentor del TEDxTorino 2017. Docente del Master 2017-2018 in Social Media Marketing di Ninja Academy
Da Gennaio 2016 è Creative Strategist in AQuest, agenzia digitale creativa con sede a Verona e Londra.
Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello SW in Italia?
Siamo ancora all’inizio. Seppur ci sono aziende che hanno avviato progetti di Smart Working da 2-3 anni, sono ancora in una fase iniziale e sperimentale. Trattandosi di un processo di cambiamento e innovazione del nostro modo tradizionale di lavorare e collaborare (ma anche e soprattutto di ripensare all’organizzazione) siamo indietro rispetto al contesto internazionale. Se da una parte è un aspetto negativo, dall’altra possiamo far tesoro delle esperienze internazionali e attuare percorsi di Smart Working più “maturi”
Quali credi siano i fattori critici di successo?
Primo su tutti l’aspetto culturale. Soffriamo il contesto italiano normativo che blocca l’innovazione. Soffriamo l’assenza di veri manager in grado di far crescere le persone e instaurare un rapporto fiduciario con altri. Soffriamo il fatto di avere un tessuto imprenditoriale di piccole e piccolissime imprese che o non comprendono l’innovazione (o la reputano non prioritaria) oppure la comprendono ma purtroppo non hanno sufficienti incentivi, competenze e risorse per attuarla.
Citami una best practice motivandola
Nel contesto italiano non conosco casi tali da esser considerati best practice (è difficile immaginare una best practice smart working, visto che i percorsi variano in funzione delle esigenze, bisogni e priorità delle persone che fanno parte di una determinata organizzazione). Sicuramente Tetrapak e AMEX possono esser considerati casi interessanti. Entrambi possono contare sul fatto che appartengono a società multinazionali con grande influenza nordeuropea e angloamericana, quindi maggior apertura mentale e visione. Tetrapak perchè è stato tra i primi ad avviare lo Smart Working intervenendo anche sulla produzione e AMEX per il processo che ha spinto a rivedere gli spazi e il modello di gestione delle persone.
Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?
Bella domanda. Pochi sono coloro che hanno “indovinato” proiezioni. Diventa ancora più difficile farlo con gli attuali contesti in continuo mutamento. Tutto fa pensare a un modello di organizzazioni sempre più liquide, che premierà l’organizzazione del lavoro in autonomia, in mobilità e flessibilità. I trend mostrano che è crescente il lavoro freelance e da remoto quindi immagino grandi corporate da una parte e gruppi (medio-grandi) di network di professionisti che si uniscono per collaborare su progetti. Cè da capire come la blockchain impatterà su tutto questo, rivedendo e disintermediando tanti processi di lavoro e come l’intelligenza artificiale sostituirà tanti lavori routinari e poco produttivi. Bella sfida.
Digital Transformation Advisor e project manager. Si occupa di strategia, innovazione digitale e comunicazione d’impresa. Nel 2013 ha cofondato l’azienda Seedble. Nel 2012 lancia Spremute Digitali, web magazine che tratta temi legati all’innovazione e digitale, di cui è uno dei contributor. Nel 2015 scrive insieme a dei soci “The Smart Working Book”, primo ebook in Italia sul concetto Smart Working. Da quest’anno è Professore a contratto per l’insegnamento di Enterprise Communication Management alla Facoltà di Economia alla Sapienza di Roma.
Game Over: la scarsa protezione delle password espone i gamer ai cyber attacchi
Il gaming online è rapidamente diventato un settore estremamente remunerativo e il numero di account è in costante crescita. Secondo una ricerca condotta da Kaspersky Lab, più della metà delle persone (53%) in tutto il mondo gioca regolarmente online, un dato che sale al 64% per le persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni e al 67% per la fascia d’età 16-24. Si tratta di un settore potenzialmente remunerativo anche per i cyber criminali, che possono rubare gli account di gaming e venderli nel mercato nero. Nonostante i rischi, spesso i gamer non proteggono i propri account online dai cyber attacchi, rischiando di perdere non solo i propri progressi ma anche i dati personali e, potenzialmente, il proprio denaro.
L’audience globale del settore gaming – guidato da piattaforme online come Steam, PlayStation Network e Xbox Live – viene stimato tra i 2,2 e i 2,6 miliardi di utenti ed è tuttora in crescita, fattore che rende questo settore un obiettivo interessante per i cyber criminali, che desiderano bloccare le attività online o ottenere l’accesso a dati come password e dettagli delle carte di credito. L’interesse dei criminali informatici è chiaramente dimostrato dai recenti attacchi alle piattaforme Xbox e PlayStation.
Considerato l’elevato numero di persone che giocano regolarmente online, i cyber criminali hanno a disposizione moltissimi utenti tra i quali scegliere le future vittime. Inoltre, il gaming è diventato una parte importante della vita di molte persone, che si affidano ai videogiochi quando si sentono sole, annoiate o desiderano socializzare. I cyber attacchi possono quindi risultare molto fastidiosi per le vittime: oltre a vedersi rubati i propri dati, possono subire conseguenze emotive, perdendo l’accesso ai propri giochi preferiti (sia temporaneamente, sia definitivamente) e vedendo vanificati i risultati raggiunti e sprecato il denaro speso.
Tra chi è stato vittima di un tentativo di attacco o di un attacco andato a buon fine ai danni di un proprio account online, il 16% ha visto presi di mira i propri profili gaming, percentuale che sale al 21% tra gli uomini. Inoltre, considerato che il 55% delle persone non sarebbe in grado di ripristinare in breve tempo i dettagli del proprio account in caso di perdita, il fastidio causato da un cyber attacco è ulteriormente amplificato.
Non più relegato all’ambiente domestico, il gaming fa sempre più parte della vita quotidiana di molte persone, come dimostrato dal fatto che quasi un intervistato su tre (27%) gioca regolarmente via smartphone. Quasi una persona su quattro (23%) usa connessioni wi-fi pubbliche per effettuare il login ai propri account gaming e il 56% dichiara di non adottare alcuna precauzione aggiuntiva quando usa network pubblici, sebbene i dispositivi non siano di per sé sicuri, esponendosi quindi a seri rischi. Questo pericolo viene ulteriormente aggravato dal fatto che solo il 5% delle persone indica il proprio account gaming tra i tre che richiedono le password più forti.
Inoltre, considerando che al giorno d’oggi molti profili online sono connessi tra loro, le vittime possono facilmente perdere l’accesso a diversi account, come quelli di email e social network. Mentre questo potrebbe causare gravi conseguenze emotive per gli utenti comuni, i giocatori professionisti possono subire conseguenze ancora più serie, arrivando a perdere denaro.
“Un vero e proprio tesoro di informazioni personali è disponibile online, offrendo ai cyber criminali sempre più opportunità di entrare in possesso dei dati più preziosi degli utenti, che possono essere venduti sul mercato nero digitale”, ha commentato Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab. “I gamer – sia amatori che professionisti – sono comprensibilmente preoccupati dalla possibilità di subire attacchi ai propri account ma anche dal pericolo di dimenticare la password e non riuscire ad accedervi. Si tratta di un dilemma che gli utenti affrontano tutti i giorni e molti scelgono l’opzione meno sicura: usare la stessa password per tutti i propri account o password semplici che gli hacker possono indovinare facilmente. Tuttavia, solo prendendo le giuste precauzioni e usando password uniche e forti gli utenti potranno essere sicuri che i propri account siano protetti e che il loro impegno non vada sprecato”.
Per proteggere gli account online dei gamer, molti prodotti Kaspersky Lab includono una funzionalità per la gestione delle password che aiuta gli utenti a tenere al sicuro le proprie informazioni, come Kaspersky Password Manager incluso in Kaspersky Total Security. Questo tool conserva tutte le password degli utenti in un archivio sicuro e semplifica l’accesso ai propri account da PC, Mac e smartphone. Un generatore automatico di password crea password forti, mentre gli utenti devono ricordare solamente la master password per accedere a tutti i propri account online.
Per maggiori informazioni sulle principali minacce informatiche per gli utenti, è possibile leggere il report “Consumer Security Risks Survey 2017: Not logging on, but living on” a questo link.
Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart Working in Italia?
Luisa: L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, come l’Olanda o la Danimarca, mostra ancora un forte ritardo rispetto all’implementazione di modelli di lavoro flessibile, compreso lo Smart Working. Tuttavia, è innegabile che da quando quest’innovazione, al contempo tecnologica, organizzativa e sociale, ha mosso i primi passi nel nostro Paese, il suo tasso di diffusione sembra procedere a ritmi ben più incoraggianti rispetto a quanto tempo addietro era avvenuto col telelavoro. Complice non solo l’attuale contesto normativo-istituzionale, con una legge specifica che disciplina il lavoro agile, ma anche un mutato scenario socio-economico in cui l’agilità, al centro del paradigma Smart Working, è ormai riconosciuta come una leva di competitività per le imprese. Lo stesso accade per l’innovazione tecnologica. Al riguardo, infatti, è impensabile per tutte le organizzazioni, siano esse pubbliche o private, grandi o piccole, ignorare il progresso tecnologico e gli effetti che esso ha già prodotto sulla concezione del lavoro, che si permea di nuovi significati anche rispetto alla sfera esistenziale dell’individuo. Tuttavia, anche in base a dati forniti da varie ricerche, emerge che allo stato attuale sussiste, come spesso accade quando si parla di adozione di innovazioni, un forte divario tra le grandi e piccole imprese. Queste ultime, infatti, spesso non dispongono dei capitali necessari all’implementazione dello Smart Working, mancando al contempo di quel pool di competenze dedicate chiamate a costituirsi in team interdisciplinari fondamentali per la sua efficace implementazione. Al riguardo, tuttavia, è interessante evidenziare – come è emerso dal confronto diretto con alcuni imprenditori – che spesso le realtà più piccole, soprattutto start-up che operano nei settori della consulenza, dell’ICT o della creatività, adottano già un modo di lavorare in azienda fondato su principi quali flessibilità, autonomia e management by objectives che contraddistinguono il paradigma dello Smart Working. In questi casi la piccola dimensione, che spesso si accompagna a strutture organizzative piatte, poco formalizzate e burocratiche, diventa un fattore di vantaggio rispetto all’implementazione di questo nuovo approccio,, laddove le strutture e le pratiche organizzative riflettono una cultura manageriale più aperta al cambiamento.
Tommasina: In Italia, si è registrata recentemente un’inversione di rotta ed un cambiamento culturale importante nei confronti dei modelli di lavoro in remoto. Infatti, fino a poco tempo fa, questa modalità di lavoro era associata quasi esclusivamente al tradizionale telelavoro domiciliare, di fatto mai realmente decollato nel nostro Paese. Una delle spiegazioni è da ricercare in un impianto normativo piuttosto carente, che si limitava a prevedere che il telelavoratore venisse dotato di una postazione fissa per lo svolgimento del lavoro a casa; mancavano, invece, riferimenti normativi riguardo ad un più ampio spettro di tipologie di lavoro in remoto (es. lavoro mobile, team virtuali), incentrate sulla mobilità e flessibilità spazio-temporale e, dunque, sulla possibilità di sfruttare le tecnologie ICT per svolgere da qualsiasi luogo le attività assegnate. Alla luce di tali considerazioni, la recente disciplina del “lavoro agile” nell’ambito della legge n. 81/2017 (artt. 18-24) ha innescato un cambiamento culturale importante nel nostro paese secondo cui lo smart working, e più in generale le forme di lavoro flessibile, sono esplicitamente riconosciute e legittimate come una nuova modalità di svolgimento del lavoro i cui contenuti restano, tuttavia, immutati. Ciò ha favorito un crescente interesse ed una più ampia adozione dello smart working da parte di numerose organizzazioni comprese quelle che, di fatto, avevano già introdotto al loro interno programmi di smart working in maniera informale e talora inconsapevole. Inoltre, un’ulteriore spinta alla diffusione dello smart working deriverà senz’altro dall’applicazione della direttiva del Ministero della Funzione Pubblica n. 3/2017 che prevede l’estensione di queste nuove modalità di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione e rispetto alle quali si registrano già sperimentazioni e progetti pilota in diversi enti pubblici. Infine, il numero crescente di spazi collaborativi, tra cui co-working e smart work centers, saranno in grado di supportare ulteriormente il lavoro a distanza degli smart workers, come spazi di lavoro condiviso dove dipendenti pubblici e privati hanno a disposizione gli strumenti e tecnologie per lavorare a distanza dalla sede centrale. In via generale, è comunque importante rimarcare l’ampio spettro di modalità con cui le realtà italiane stanno attuando i programmi di smart working. Infatti, benché il paradigma dello smart working assuma una riprogettazione degli spazi (bricks), tecnologie (bytes) e comportamenti (behaviors), in molte organizzazioni risulta carente tale sforzo di riprogettazione complessiva ed integrato per cui il management si limita a consentire ai dipendenti di lavorare a distanza uno o più giorni alla settimana/mese, senza intervenire e dunque innovare il layout degli spazi fisici, sulle tecnologie in dotazione, sulle pratiche di gestione delle risorse umane.
Quali credi siano i fattori critici di successo?
Luisa: Il successo, purtroppo, non si basa su una ricetta universale valida per tutte le aziende. Fattori di contesto della specifica realtà presa in esame influenzano in maniera significativa le traiettorie di sviluppo dell’innovazione e ne decretano perciò il successo o, al contrario, il fallimento. Tuttavia, come emerso da numerose ricerche sul tema condotte da altri studiosi ma anche da diverse ricerche field condotte personalmente in aziende che hanno adottato lo Smart Working, un adeguato supporto organizzativo gioca un ruolo di primo piano in un qualsiasi programma finalizzato alla sua implementazione. Come accade per qualsiasi processo di change management, anche nel caso dello [amazon_textlink asin=’8814222576′ text=’Smart Working’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’c7aa8bf5-fc22-11e7-b198-f767c6562624′] è fondamentale far fronte alle perplessità e timori che possono nascere tra i dipendenti, soprattutto quando il cambiamento, come accade ne caso specifico, può portare a una crisi di identità professionale, generare percezioni di discriminazione e ingiustizia organizzativa da parte degli smart worker o il timore che la ridotta visibilità possa compromettere il rapporto di fiducia con i propri capi ma anche con i propri colleghi. Un’efficace risposta, in tale direzione, può essere fornita ai propri dipendenti da parte dell’organizzazione non solo attraverso attività di comunicazione e formazione ad hoc, ma anche con l’offerta di un adeguato set di strumenti tecnologici funzionali per l’efficace svolgimento delle attività a distanza, inclusivi dei connessi servizi di formazione e assistenza tecnica. A fronte del carattere imprevedibile e della natura non lineare del processo di cambiamento è altresì fondamentale considerare il ruolo chiave svolto dai middle manager, dal momento che essi sono al contempo destinatari del cambiamento e esecutori delle decisioni strategiche dei propri responsabili senior. Ciò vuol dire che diventa fondamentale capire in che modo essi rispondono ai piani di cambiamento stabiliti in maniera top-down, dal momento che le loro aspettative e il loro comportamenti influenzeranno la traiettoria evolutiva e dunque il tasso di successo del programma di Smart Working che si intende implementare. In fase di implementazione, è auspicabile, ad esempio, che i responsabili siano essi stessi chiamati ad operare in modalità Smart Working e che utilizzino i canali a loro disposizione (es. telefono e meeting face-to-face) per instaurare e/o mantenere una relazione di fiducia con i singoli smart workers e supportarli rispetto allo svolgimento delle attività ed al raggiungimento degli obiettivi.
Tommasina: A fronte di una pluralità di fattori rilevanti per gestire la complessità del cambiamento derivante dall’implementazione di programmi di smart working, occorre porre enfasi su una questione emersa come particolarmente rilevante dai casi condotti su imprese che adottano questi nuovi modelli di lavoro. Il riferimento è all’importanza di individuare adeguati sistemi di misurazione delle performance degli smart worker e relativa definizione di percorsi di carriera. Generalmente si ritiene che la principale preoccupazione degli smart workers sia la riduzione delle interazioni sociali con colleghi; l’indagine empirica ha, invece, evidenziato uno scenario più complesso secondo cui una delle principali perplessità degli smart workers attiene all’isolamento professionale, ossia al timore di penalizzazioni di carriera (in termini di benefit, assegnazioni di promozioni e responsabilità, ecc.) dovute alla non presenza e non visibilità al proprio responsabile. Al riguardo, pur riconoscendo l’importanza del [amazon_textlink asin=’0070513600′ text=’Management by Objectives (MbO)’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’d7c4b642-fc22-11e7-9347-23c96eabc567′] in contesti di smart working, ossia all’esercizio del controllo basato sull’assegnazione di obiettivi rispetto ai quali il lavoratore è autonomo circa le modalità di raggiungimento, è emerso come questo sistema di valutazione da solo non sia in grado di cogliere la complessità dello svolgimento del lavoro a distanza. Ad esempio, il Management by Objectives non tiene conto delle personalità individuali, ossia la circostanza per la quale non tutte le persone hanno la medesima capacità di autogestirsi ed auto-monitorarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi assegnati; al pari trascura di considerare che fattori esogeni, quindi non direttamente controllabili, potrebbero ostacolare l’attività e dunque il raggiungimento degli obiettivi da parte degli smart workers. Ne discende l’importanza di prestare attenzione ai sistemi di valutazione da adattare al contesto specifico dello smart working, considerando il contributo di leve informali, come la fiducia e l’empowerment, per allineare obiettivi individuali ed organizzativi.
Citami una best practice motivandola
Luisa: Recentemente ho avuto l’incredibile opportunità di visitare uno dei nuovi edifici di BNL Gruppo BNP Paribas a Roma, ed in particolare la sede ubicata nei pressi della stazione Tiburtina. Dal confronto con uno dei facility manager impegnato in prima linea nella gestione del cambiamento organizzativo, ho avuto modo di apprezzare il processo strutturato e l’approccio integrato adottato nel progetto SmartBank, fondato, sulla progettazione simultanea di tutte le leve dello Smart Working e nel quale, perciò, la Worplace Strategy è stata trattata come parte integrante di un programma di innovazione di più ampio respiro, molto attento anche alla sfera comportamentale, oltre che a quella delle tecnologie abilitanti. Al riguardo, è emersa una forte attenzione a far emergere le difficoltà sperimentate dai dipendenti nel dover affrontare il cambiamento ma anche la scelta deliberata di sperimentare lo Smart Working attraverso progetti pilota che hanno coinvolto in una prima fase proprio le figure professionali chiamate a progettare e gestire il cambiamento su più larga scala.
Inoltre, tra i numerosi elementi interessanti che sicuramente contribuiscono a renderla una best practice, ritengo importante sottolineare lo sforzo di riqualificazione dello spazio urbano associato alla realizzazione del nuovo edificio realizzato nei pressi della stazione Tiburtina. L’azienda ha dichiarato al riguardo l’intenzione a procedere in tale direzione, anche attraverso la costituzione di partnership con le autorità locali, affinché l’area circostante possa svilupparsi ulteriormente, attraverso un accresciuto livello di sicurezza nonché un maggior numero di servizi e attività, fruibili anche dai propri dipendenti.
Tommasina: A mio avviso, una best practice nell’implementazione dello smart working in Italia è rappresentata dalla società Microsoft. Al riguardo, ho visitato recentemente la nuova sede di Milano di cui ho avuto modo di apprezzare lo sforzo di progettazione degli spazi fisici, in termini di postazioni individuali negli open space, aree concentrazione, sale riunioni con differenziato livello di privacy, nonché le aree comuni organizzate con un angolo cucina ed un tavolo da ping pong per favorire lo svago e l’interazione informale. Al pari, è stato interessante constatare che la dotazione tecnologica associata allo smart working non si è limitata agli strumenti standard per lavorare a distanza (es. smartphone) ma è stata estesa per ricomprendere una serie di strumenti atti a favorire la collaborazione anche in prossimità fisica (es. lavagna interattiva). Infine, rispetto alla leva behavior, la responsabile ha sottolineato una maggiore enfasi sui risultati, la cui implicazione tangibile è data dall’eliminazione del cartellino e della macchina segnatempo, e l’accesso allo smart working (per ora) una volta la settimana per tutti i dipendenti, con l’unica eccezione di coloro che svolgono un tipo di attività che richiede reperibilità fisica.
Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?
Luisa: L’innovazione tecnologica sarà sicuramente il principale driver dei cambiamenti a cui assisteremo nel mondo del lavoro. Grazie a tecnologie sempre più pervasive, come il cloud, il social computing, i big data, mi aspetto che la flessibilità e la mobilità dei lavoratori aumenterà sempre di più e che le organizzazioni , di conseguenza, diventeranno sempre più virtuali. Un aspetto particolarmente importante da considerare è che i mutati pattern di uso della tecnologia da parte dei lavoratori produrranno degli effetti anche nei comportamenti individuali e nelle interazioni orizzontali e verticali, alterando i tradizionali assetti di potere, la distribuzione della conoscenza, il significato della “gerarchia” organizzativa. Al contempo la tecnologia contribuirà a rendere rapidamente obsolete le competenze e renderà la formazione continua un must imprescindibile, anche internamente alle organizzazioni. Infine, si accrescerà il divario esistente tra i giovani lavoratori ( i cosiddetti “millenials”) e quelli delle precedenti generazioni. Non ci si riferisce solo ad un gap di competenze tecnologiche da colmare. La scarsa familiarità e conoscenza delle nuove tecnologie spesso è il riflesso di una cultura diversa, che include una rigidità di pensiero e un’inerzia al cambiamento.
Tommasina: A mio avviso, il mondo del lavoro sta cambiamento rapidamente sia per i lavoratori, da cui ci aspetta un’enfasi sempre maggiore sulla responsabilizzazione ed all’autonomia, sia per i manager, il cui ruolo assume i profili del coach per gli smart workers.
Luisa Errichiello
Ricercatore presso l’IRISS CNR, studia i processi di innovazione organizzativa nelle imprese di servizi e in particolare i modelli di lavoro flessibile abilitati dall’ICT. Attraverso casi studio, ha analizzato le trasformazioni organizzative dello smart working, approfondendo i cambiamenti nelle strutture di controllo, l’uso delle tecnologie, il ruolo degli spazi di coworking. Al riguardo, è coordinatore in Italia del network internazionale “Research Group on Collaborative Spaces”. Le ricerche sul tema sono state presentate a convegni e workshop accademici e operativi e pubblicati su volumi e riviste internazionali e nazionali.
Tommasina Pianese
Assegnista di ricerca presso l’IRISS CNR. Si occupa di comprendere, attraverso casi aziendali, i cambiamenti organizzativi e manageriali derivanti dall’introduzione dello smart working. Si interessa di smart work centers ed è coordinatore in Italia del Research Group on Collaborative Spaces. Ha pubblicato contributi e partecipato a conferenze e workshop rivolti al mondo accademico, HR manager, consulenti aziendali e dirigenti.
Come si svolge la giornata tipo di un recruiter 2.0, quali sono gli strumenti di cui si avvale, come collabora con gli altri dipartimenti, come costruisce e affina la propria strategia di personal ed employer branding… Silvia Zanella insieme con Anna Martini ha scritto un libro che è un manuale, ricco di esempi pratici, di interviste a direttori del personale e di spunti per mettersi subito al lavoro.
La figura del recruiter sta cambiando. Il suo successo dipenderà sempre più dalla sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti. Questo libro è dedicato a chi, in azienda o all’interno di società di selezione o agenzie per il lavoro, vuole dare una risposta concreta a domande tipo: Come utilizzare LinkedIn e Facebook per venire a contatto con i profili professionali più interessanti? Ha senso sperimentare Snapchat o i video? Su quali competenze marketing è meglio puntare per essere selezionatori davvero efficaci? Quali leve usare per coinvolgere colleghi (attuali e futuri) nella comunicazione aziendale?
Ho intervistato Silvia:
Come sta cambiando la figura del recruiter?
La figura del recruiter è già cambiata, andando a integrare competenze tradizionali con quelle digitali. Non stiamo ovviamente parlando solo di skill informatiche, ma di una più ampia padronanza delle piattaforme online, dai motori di ricerca ai social network. Senza contare la familiarità con (ancora) piccole interazioni attraverso l’intelligenza artificiale.
Quanto conta la sua capacità di comunicare online e di relazionarsi sui social media con i candidati, i colleghi e i clienti?
Diventa essenziale, per filtrare meglio le candidature, venire a contatto con i profili passivi, crearsi una rete, fare leva sulla reputazione, mettere a frutto nuove occasioni di business, favorire la comunicazione interna. Quali sono le opportunità per le aziende e quali per i candidati? Ascoltare direttamente le persone, dare loro feedback, costruire relazioni.
Ed i rischi invece?
Non avere consapevolezza che tutto ciò che finisce online è sempre pubblico e potenzialmente lesivo della propria immagine.
Quali tool online ritieni indispensabili?Quali sono gli strumenti di cui si avvale un recruiter?
Siti e app di società di selezione accreditate, pagine aziendali (sia profili corporate sui social network, sia le sezioni “Lavora con noi”), connessioni dirette con candidati e recruiter.
Hai delle case history in positivo e negativo?
Le aziende hanno fatto passi in avanti straordinari e sono molto più attente che in passato. A me piace in particolare la strategia di employer branding di Cisco, Microsoft, Facebook. Passi falsi sono sempre in agguati. Dal lavoratore che parla male del proprio capo in post pubblici ad annunci di lavoro che riportano situazioni degradanti. Purtroppo entrambe le casistiche sono all’ordine del giorno. Per questo è essenziale discutere di questi temi, il social recruiting non è un argomento di nicchia ma riguarda potenzialmente tutti noi.
Silvia Zanella – Responsabile a livello globale del digital marketing per Adecco Group, società dedicata ai servizi per le Risorse Umane presente in oltre 60 Paesi nel mondo. Ha un grande interesse per il futuro del lavoro, digitale e non. Segue con attenzione le tendenze in ambito social media e HR 2.0 e ha un forte focus su innovazione, business social networking, social recruiting, recruiting marketing, employer e personal branding. Giornalista professionista, collabora con il Corriere.it per La Nuvola del Lavoro, il più importante blog italiano sui temi del lavoro. È inoltre autrice di Social Recruiter(Franco Angeli, 2017) e della Guida al Lavoro (Mondadori).
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