Ragazzi su Social e Chat in età troppo prematura, videogiochi e contenuti violenti fruiti già in età preadolescenziale

L’edizione 2018 dell’iniziativa G DATA “Cyberbullismo 0 in condotta” ha coinvolto circa 2000 ragazzi e 400 genitori di 9 provincie e 4 regioni italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia, Marche). Risulta ancora preoccupante il livello di disinformazione dei ragazzi a fronte dei rischi a cui sono esposti in età fin troppo prematura.

Essenziale per G DATA l’attività di formazione degli allievi delle scuole elementari e medie inferiori condotta insieme allo specialista della sicurezza in Rete Mauro Ozenda tra febbraio e maggio 2018. “La consapevolezza di aver portato, laddove mancava, un’educazione e cultura digitale di base per consentire ai nativi digitali di navigare, condividere e sfruttare le enormi potenzialità che la Rete presenta, riducendone al massimo i pericoli è per noi un’enorme fonte di motivazione: l’80% delle informazioni trasmesse ai 2000 ragazzi e 400 genitori coinvolti nell’attività di sensibilizzazione erano sconosciute ai destinatari dell’intervento fino al giorno prima”, commenta Giulio Vada, Country Manager di G DATA Italia, che non manca di menzionare un dato particolarmente preoccupante: rispetto al 2017 si sono anticipati i tempi nell’utilizzo di console e tablet connessi a Internet, impiegati già a partire dai 6 anni senza alcuna restrizione né filtro sui contenuti.

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Dati allarmanti

Il feedback raccolto sull’utilizzo di Internet e Social da parte dei ragazzi in età compresa fra i 9 e 13 anni è il seguente:

  • Nota positiva: rispetto all’anno precedente si riscontra una maggior consapevolezza dell’importanza di avere un antivirus su dispositivi Android. Solo il 20% dei ragazzi coinvolti non ne è dotato a fronte di una quota di impiego di device con questo sistema operativo del 95%
  • Il 90% afferma di non avere mai avuto un parental control sul dispositivo
  • Il 40% non protegge il proprio smartphone con doppio PIN e blocco schermo
  • L’80% tiene sempre attivi wifi e geolocalizzazione
  • L’80% naviga su internet prima dei 10 annitablet e console connessi a Internet sono impiegati già a partire dai 6 anni
  • I ragazzi di 11-13 anni sono iperconnessi e interconnessi: circa il 60% di loro è costantemente online. L’utilizzo medio di Internet, messaggistica istantanea e Social è di 5h al giornoProsegue sino a tarda sera e anche nelle ore notturne
  • In generale l’80% è attivo sui social (soprattutto Instagram e Musical.ly) prima del 13 anni, non si curano dell’innalzamento della soglia ai 16 anni a partire dall’entrata in vigore del GDPR, certi che i genitori daranno comunque l’autorizzazione all’utilizzo di queste piattaforme
  • Il 95% risulta “multitasking” a grave detrimento dell’attenzione
  • Il 95% usa Whatsapp (già a partire dalla quinta elementare), piattaforma preferita dai ragazzi delle medie la cui presenza su Snapchat è considerevolmente calata rispetto al 2017, poiché la piattaforma è considerata un doppione di Whatsapp
  • La maggior parte dei ragazzi crea nuovi profili social qualora si dimentichi la password di accesso, lasciando i profili “abbandonati” alla mercè dei cybercriminali
  • Videogiochi violenti già in quinta elementare (il 20% dei bambini) nonostante l’indicatore PEGI imponga un’età minima di 18 anni per l’esposizione a contenuti violenti
  • Una piccola percentuale ha già effettuato in quinta elementare acquisti in-app per un valore medio tra i 10 e i 50 Euro. Fenomeno da ariginare assolutamente poiché col tempo può portare a fenomeni di ludopatia
  • Sempre più spesso sono i figli ad indicare ai genitori come configurare nel giusto modo la privacy e la sicurezza sui profili social, imponendo loro a volte persino la modifica delle password della casella primaria di posta elettronica

Social, Intrattenimento e videogiochi

Il primo dato che emerge è il fatto che, eccezioni a parte, sui dispositivi dei ragazzi manca qualsiasi funzionalità di Parental Control o Protezione Minori, restrizioni e opportune configurazioni che dovrebbero consentire da un lato al genitore di controllare il figlio dall’altro di evitare che i bambini finiscano su contenuti inadatti, utilizzino giochi non adatti alla loro età, o ne abusino in termini di tempo dimenticandosi di tutto il resto. I nativi digitali utilizzano i dispositivi connessi alla Rete in modalità “multitasking”. Un modus operandi foriero di distrazioni che, quando si utilizzano strumenti quali Whatsapp o Instagram possono tramutarsi in un serio problema. Basti pensare all’inoltro di un contenuto strettamente personale a un gruppo anziché all’amico del cuore piuttosto che condividere l’immagine sbagliata sul proprio profilo Instagram.

In termini di messaggistica istantanea Whatsapp risulta essere lo strumento preferito dai ragazzi delle medie per comunicare con amici e parenti preferito. Hanno un gruppo per ciascun hobby o attività sportiva che condividono con i amici e non (i ragazzi risultano collegati mediamente ad almeno 5 gruppi: quello della classe, dei parenti più stretti, dei gamer, delle muser e dell’attività sportiva che svolgono). Sono inconsapevoli del fatto che un messaggio inviato e poi cancellato si possa comunque recuperare.

Fra i Social il più usato fra le ragazzine nella fascia 9-12 anni resta Musical.ly. Sebbene rispetto al 2017 si sia riscontrata una maggior attenzione circa l’attivazione di un profilo privato su questa piattaforma una parte dei fruitori accetta comunque richieste di amicizia di sconosciuti facendo dunque decadere i benefici derivanti dal profilo privato. Altra differenza rispetto all’anno precedente è il calo drastico di iscritti nella fascia tra i 13 e i 14 anni, che l’abbandonano per un improvviso pudore. Purtroppo però, quando decidono di farlo, cancellano l’app pensando di aver disattivato l’account, che invece rimane in standby a disposizione del primo “cacciatore di profili abbandonati” intento al furto d’identità. Quello dei profili abbandonati è un problema è abbastanza comune fra i giovani: una volta iscrittisi a un servizio, qualora ne dimentichino la password non tentano di recuperarla, generano semplicemente un nuovo profilo. Scarsa quindi l’attenzione nella gestione delle password e dei dati personali inseriti sui profili e condivisi con perfetti sconosciuti. Sino ai 16 anni i bambini che utilizzano i social dovrebbero sempre avere un nickname di fantasia, una foto profilo di fantasia, dati personali oscurati, cosa che avviene nel minor numero di casi.

Musica, immagini e video sono il tipo di contenuti che maggiormente attrae i ragazzi. Immagini e foto in particolare vengono condivise per lo più su Instagram. Anche questo caso, rispetto all’anno precedente, i ragazzi sono maggiormente consapevoli dell’importanza di gestire un profilo privato ma il desiderio di sapere chi ha sbirciato o si ha salvato le immagini o video postati prende il sopravvento e spinge molti di loro (soprattutto le ragazze) a creare profili aziendali per poter vedere chi e quanti hanno consultato il loro profilo, hanno guardato le immagini e i video postati, fruendo delle statistiche aggiornate appannaggio delle aziende, rinunciando ai vantaggi del profilo privato.

Entrando poi nel mondo dell’intrattenimento, i ragazzi in particolare prediligono videogiochi quali Minecraft , Clash Royale, Fortnite e GTA. Quest’ultimo impiegato per un buon 20% già in quinta elementare, nonostante l’indicatore PEGI ne consigli la fruizione a partire dai 18 anni per la continua esposizione a contenuti di tipo violento.

Fra le principali piattaforme di intrattenimento musicale ricordiamo Spotify (scaricato su alcuni device e craccatoper usufruire delle funzioni altrimenti a pagamento) e per le Serie TV da evidenziare Netflix con abbonamento PREMIUM che consente la visione contemporanea su 4 schermi (uno paga l’abbonamento e poi si dividono i costi in 4).

Rispetto all’installazione delle app permane la superficialità e la carente verifica delle recensioni delle app. Una buona percentuale di ragazzi utilizza aptoide, negozio online di applicazioni che, se utilizzato impropriamente per scaricare applicazioni craccate, aumenta notevolmente il rischio di essere infettati da malware.

Ricerca Kaspersky Lab cosa cercano e dove navigano i più piccoli

COSA CERCANO I BAMBINI ONLINE? LO RIVELA UN REPORT DI KASPERSKY LAB DEDICATO AL PARENTAL CONTROL

 Il report di Kaspersky Lab raccoglie dati anonimi a livello globale dalle soluzioni consumer di Kaspersky Lab per PC Windows e Mac, con il modulo “Parental Control” acceso, e di Kaspersky Safe Kids, la soluzione stand-alone per dispositivi Windows, Mac, iOS e Android.

Il report presenta i risultati delle ricerche degli ultimi 6 mesi nelle dieci lingue più popolari (da novembre 2017 a maggio 2018): i dati mostrano che la categoria video e audio – che comprende le richieste relative a qualsiasi contenuto video, servizi di streaming, video blogger, serie e film – è tra quelle più “cercate” dai più piccoli (il 17% delle ricerche totali). Il secondo e il terzo posto sono rispettivamente occupati dai siti di traduzione (14%) e di comunicazione (10%). È interessante notare che i siti web di giochi si posizionano al quarto posto, generando solo il 9% delle richieste di ricerca totali.

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Inoltre, si può anche notare una chiara differenza linguistica nelle richieste di ricerca: ad esempio, i siti web di video e musica sono tipicamente ricercati in inglese, il che può essere spiegato dal fatto che la maggior parte dei film, serie TV e gruppi musicali hanno nomi inglesi. Invece i bambini di lingua spagnola eseguono più richieste di siti per traduzioni, mentre i servizi di comunicazione sono per lo più ricercati da chi usa la lingua russa. I bambini di lingua cinese sono quelli che cercano maggiormente servizi educativi, mentre i bambini francesi sono più interessati ai siti web di sport e giochi. Le richieste in lingua tedesca dominano nella categoria “shopping”, mentre il numero principale di ricerca di contenuti a carattere pornografico sono in arabo, mentre quelle che riguardano gli anime sono in giapponese.

“I bambini dei diversi paesi mostrano di avere interessi e comportamenti online differenti, ciò che li accomuna è la necessità di essere protetti online da contenuti potenzialmente dannosi. I bambini che cercano contenuti animati potrebbero accidentalmente aprire un video con contenuti pornografici. Oppure potrebbero iniziare a cercare video innocenti e finire involontariamente su siti web con contenuti violenti, che potrebbero avere un impatto anche a lungo termine sulle loro menti, maggiormente impressionabili e vulnerabili”, afferma Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab.

Oltre ad analizzare le ricerche, il report di Kaspersky Lab esamina anche i siti web che i bambini hanno visitato, o tentato di visitare, con contenuti potenzialmente dannosi, rientrando in una delle 14 categorie preimpostate  per il possibile blocco del modulo “Parental Control” nelle soluzioni di Kaspersky Lab negli ultimi 12 mesi. I dati mostrano che i siti di comunicazione (come ad esempio i social media, i servizi di messaggistica o le email) sono stati quelli più visitati dai PC con il “controllo genitori” attivato, riguardando il 60% dei casi negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, la percentuale di questa categoria sembra essere in calo di anno in anno, poiché i dispositivi mobili ricoprono un ruolo sempre più importante nelle attività online dei più piccoli.

La seconda categoria più popolare di siti web visitati da questi utenti è quella “software, audio e video” (pari al 22%). I siti web con questo tipo di contenuto sono diventati molto più popolari rispetto all’anno scorso, quando era solo la quinta categoria più popolare, con una percentuale pari al 6%. Il terzo posto è occupato dalla categoria “alcol, tabacco e siti web sulle droghe” (6%), una novità rispetto ai risultati dello scorso anno e rispetto allo stesso periodo.

La tendenza ad utilizzare maggiormente i dispositivi mobile per connettersi a Internet è nuovamente evidenziata nelle cifre relative ai siti web di gioco, che ora sono solo al quarto posto nella lista dei siti visitati da PC, corrispondendo al 5% dell’attività online. Considerato che i bambini mostrano sempre più una preferenza per i giochi su dispositivi mobile piuttosto che per i giochi per computer, quest’ultima categoria perderà progressivamente l’interesse dei piccoli utenti nei prossimi anni.

“È importante che i genitori non lascino soli i bambini quando navigano online, non importa quello che stanno facendo. C’è infatti una grande differenza tra invadenza e bisogno di controllo. Anche se è importante fidarsi dei propri figli ed educarli su come muoversi in modo sicuro online, i buoni consigli non possono proteggerli da qualcosa che potrebbe apparire inaspettatamente sullo schermo. Ecco perché le soluzioni di sicurezza avanzate sono fondamentali per garantire che i bambini abbiano esperienze online positive, piuttosto che dannose”, aggiunge Morten Lehn.

Le soluzioni consumer Kaspersky Total Security e Kaspersky Internet Security includono un modulo di Parental Control per aiutare gli adulti a proteggere i propri figli dalle minacce online e bloccare siti o app con contenuti inappropriati. Inoltre, la soluzione Kaspersky Safe Kids consente ai genitori di monitorare ciò che i figli fanno, guardano o cercano online su tutti i dispositivi, inclusi quelli mobili, e offre consigli utili su come aiutare i più piccoli a muoversi online in sicurezza.

 

FED 2018: FACEBOOK E CONFINDUSTRIA GIOVANI PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE DIGITALI

FED 2018: “THE FUTURE OF TOMORROW”

Le competenze digitali come opportunità per le imprese al centro della terza edizione del Forum dell’Economia Digitale realizzato da Facebook e Giovani Imprenditori Confindustria

 ·       Il 70% delle piccole e medie imprese su Facebook prediligono, in fase di assunzione, le competenze digitali rispetto alla scuola frequentata dal candidato

·       Negli ultimi due anni accademici il numero degli iscritti a corsi di studio di ambito digitale è aumentato del 6,8%, contro il 2,8% dell’intera area scientifica

·       Dal 2011 al 2016 i professionisti ad alta specializzazione sono cresciuti del 52%, tuttavia da qui a cinque anni le imprese apriranno 280.000 posizioni in ambito IT che ad ora rischiano di rimanere scoperte

·       Nonostante il gap da colmare con l’estero in ambito di digitalizzazione, si avvertono lenti segnali di ripresa in Italia, dove negli ultimi cinque anni le imprese digitali sono cresciute del 18%

·       Per il fatturato del mercato digitale italiano è atteso nei prossimi due anni un incremento pari a 3,8 miliardi di euro, con un conseguente giro d’affari complessivo del mercato digitale pari a 71,4 miliardi di euro

Sono questi i risultati più rilevanti emersi dalla terza edizione di FED, il Forum dell’Economia Digitale ideato da Facebook e Giovani Imprenditori Confindustria per creare un’opportunità di confronto sullo stato dell’arte e le prospettive future dell’economia digitale.

Nel corso della giornata, che ha visto la partecipazione di più di 5.000 persone al MiCo di Milano, oltre 30 speaker, tra manager, imprenditori, giornalisti, accademici e esperti del settore hanno portato il proprio punto di vista nell’interpretazione della sfida digitale: attraverso workshop, tavole rotonde, talk, interviste e demo live sono stati affrontati molteplici argomenti, dall’industria 4.0. all’Intelligenza Artificiale, dalla green economy alla brand reputation in rete.

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Focus di questa edizione, dal titolo “The Future of Tomorrow”, è stato l’importanza delle competenze digitali, oggi più che mai necessarie per cogliere l’enorme potenziale dell’economia su Internet e permettere al Paese di essere competitivo a livello internazionale: non a caso, il 70% delle piccole e medie imprese su Facebook prediligono, in fase di assunzione, le competenze digitali rispetto alla scuola frequentata dal candidato, mentre sono 280.000 le posizioni specializzate richieste dalle imprese che da qui a cinque anni non troveranno una copertura. Secondo i dati Censis, l’Italia è in una fase di lento recupero del ritardo rispetto all’estero, come dimostrato dall’aumento del 52% negli ultimi cinque anni di figure ad elevata qualificazione, che hanno così raggiunto quota 234.000 (sulle 755.000 unità impiegate nel settore ICT). In generale, l’Italia continua a presentare un livello decisamente basso in campo di competenze digitali,   nonostante la penetrazione dei dispositivi mobili abbia raggiunto percentuali altissime (l’83% degli italiani possiede un telefonino). Segnali incoraggianti arrivano anche dal mondo universitario, che negli ultimi due anni accademici ha registrato un aumento del 6,8% del numero di iscritti a corsi dell’area digitale, contro il 2,8% dell’intera area scientifica.  

L’edizione 2018 di FED ha confermato ancora una volta come l’investimento sul digitale rappresenti in questo momento storico un asset strategico per la crescita imprese italiane, che oggi possono partecipare all’economia globale raggiungendo clienti in tutti i paesi del mondo. Anche in questo caso i dati Censis mettono in luce come, nonostante i gap da colmare in termini di digitalizzazione, le imprese digitali italiane si stanno lentamente muovendo per stare al passo con l’Europa, passando da 95.400 a 113.000 negli ultimi cinque anni (+18%). In particolare un vero e proprio boom è stato registrato per le imprese di e-commerce, letteralmente raddoppiate nell’arco di sei anni passando da poco meno di 9.000 a oltre 17.400 (+95,4%). La prospettiva per il mercato digitale italiano è quella di una progressiva crescita nei prossimi due anni, con un incremento di fatturato pari a 3,8 miliardi di euro, portando il giro d’affari complessivo a 71,4 miliardi di euro.

In un Paese in cui le PMI rappresentano circa il 90% delle imprese, è diventata ormai una priorità mettere a conoscenza gli imprenditori di quelle che sono le migliori opportunità per migliorare il proprio business e di cogliere le opportunità della sfida digitale. Una sfida che, come Facebook, ci vede investiti di una grande responsabilità e in cui vogliamo giocare un ruolo da protagonisti” commenta Luca Colombo, Country Director Facebook Italy “È necessario uno sforzo congiunto di tutti – imprese, istituzioni e mondo della scuola –  per investire nelle competenze digitali, indispensabili, oggi più che mai, per la crescita dell’intera società. I numeri impongono una forte accelerazione per formare figure specializzate e colmare il divario con gli altri Paesi”.

 Gli imprenditori hanno colto da tempo la sfida del digitale: partita con il piano industria 4.0, che ha riattivato gli investimenti e ammodernato il nostro sistema industriale e i processi produttivi. Adesso è necessario sostenere questa strada lavorando sulle competenze digitali che sono il nuovo alfabeto dell’evoluzione e devono interessare tutti i settori di impresa” commenta Alessio Rossi, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria “Il digitale è una enorme opportunità per le aziende, anche quelle della old economy. Infatti, ci impegniamo da sempre per promuovere la cultura del digitale e dell’innovazione in tutto il paese, non solo verso gli imprenditori ma anche nelle istituzioni scolastiche per sensibilizzarle alla messa a punto di ITS e corsi universitari adeguati ai bisogni delle imprese”.

SECONDO KASPERSKY LAB NON PROTEGGERE I PROPRI DISPOSITIVI MOBILI PUÒ AVVANTAGGIARE IL “LADRI DIGITALI”

Oggi molte persone utilizzano i dispositivi mobili per navigare su Internet e svolgere attività online. Perdere il proprio device a causa di un atto di microcriminalità potrebbe quindi rivelarsi più dannoso e sconvolgente che mai. Il 75,8% degli individui afferma di utilizzare regolarmente Internet su uno smartphone (percentuale in crescita rispetto al 73,9% del 2016) e il 42,2% utilizza di norma un tablet per connettersi.

I dati importanti che vengono archiviati e inviati da questi dispositivi sono di diverso tipo: il 32,4% delle persone utilizza il proprio smartphone per l’online banking, e questo significa accesso a preziose informazioni di carattere finanziario. Inoltre, il 63,4% delle persone utilizza regolarmente il proprio smartphone per accedere ai propri account di posta elettronica personali; il 61%, invece, afferma di utilizzarlo per attività sui social media: entrambi gli esempi di utilizzo hanno a che fare con una quantità enorme di dati sensibili.

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Avere una mole importante di dati preziosi sui propri dispositivi, però, non rende le persone consapevoli e sicure: solo il 39,7% protegge con le password i propri dispositivi mobili e solo l’8% sceglie di crittografare i propri file e le proprie cartelle per evitare accessi non autorizzati. Nel caso in cui questi dispositivi dovessero cadere nelle mani sbagliate, tutti questi dati – account personali, foto, messaggi e persino dettagli di tipo finanziario – potrebbero diventare accessibili per qualcun altro.

Anche perdere dispositivi che sono comunque protetti con una password può, però, avere conseguenze rilevanti: ad esempio, meno della metà (40%) delle persone effettua un backup dei propri dati e solo il 15,8% utilizza le funzionalità antifurto sui propri dispositivi mobili.

Questo significa che, probabilmente, in caso di furto, gli ormai ex proprietari di questi dispositivi non potranno accedere alle proprie informazioni personali e ai propri account.

Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky Lab ha commentato: “Tutti noi amiamo i nostri dispositivi connessi, perché ci danno la possibilità di accedere a informazioni vitali, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. I malintenzionati vogliono impossessarsene proprio per il loro valore e l’impresa criminale si rivela più facile nel caso in cui ci si imbatta in un telefono, ormai rubato, non protetto da alcuna password. Ci sono alcune cose davvero semplici che tutti possono fare per proteggere il proprio dispositivo e i dati contenuti al suo interno. Usando la protezione tramite password e una soluzione di sicurezza dedicata, compresa la protezione antifurto, è possibile proteggere le informazioni personali, le foto e gli account online da eventuali perdite e da un possibile uso dannoso.”

Kaspersky Internet Security for Android, ad esempio, è una soluzione progettata per aiutare le persone a proteggere i propri dispositivi mobili: spinge gli utenti a proteggere con le password i propri dispositivi, garantendo sicurezza rispetto alle possibili minacce online e offline, nel caso in cui un dispositivo venga rubato, colpito da malware o diventi oggetto di occhi indiscreti.

Nota: I dati riportati nel presente comunicato si riferiscono al sondaggio Kaspersky Consumer PR Survey 2017, condotto da Kaspersky Lab lo scorso anno. Il campione italiano preso in esame è di oltre 500 utenti.

La collaborazione tra banche e Fintech? Un processo win-win

Ecco i cinque motivi perché allearsi fa bene a vecchi e nuovi operatori della finanza: operano in mercati con poche sovrapposizioni, per la banca il P2P lending può rappresentare un’occasione di fidelizzazione e uno strumento di diversificazione del rischio, può offrire alle banche la possibilità di rispondere a un’esigenza di breve termine, infine il ritorno di immagine per la banca in termini di efficienza è enorme

Il futuro dei financial services? Sta nella collaborazione tra fintech e banche. La teoria, che BorsadelCredito.it sponsorizza da sempre, è avallata da un recente report di Capgemini e LinkedIn, in collaborazione con Efma. Nel World FinTech Report 2018, si legge che “le società fintech, innovando con le tecnologie emergenti, reinventano l’esperienza dei clienti dei servizi finanziari. La competizione e aspettative sempre più elevate trainano la domanda di servizi più convenienti e personalizzati. Per fornirle, le fintech utilizzano i dati dei clienti e nel contempo sono in grado di offrire servizi online rapidi e disponibili 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana e attraverso qualsiasi device.” Dal canto loro, “le istituzioni finanziarie tradizionali adottano misure fintech per migliorare la loro customer experience, al contempo rafforzando i propri vantaggi competitivi, ovvero la gestione del rischio, le infrastrutture, le competenze normative, il patrimonio di fiducia dei clienti, l’accesso al capitale, e così via. Le aziende tradizionali e le fintech possono dunque beneficiare di una relazione collaborativa e simbiotica.” Le prime riuscendo a offrire processi digitali, efficienti e in maniera agile: in definitiva più prodotti e servizi; le seconde godendo della maggior fiducia che il cliente ha ancora nei brand tradizionali, oltre che della massa critica di banche e istituzioni finanziarie tradizionali. Insomma, si tratta di una collaborazione win-win, o forse sarebbe meglio dire, inevitabile. 

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Senza volerci sostituire a Capgemini, e calando il discorso generale nel nostro campo di azione, ovvero i prestiti alle PMI, vogliamo elencare i cinque motivi per cui una collaborazione tra banche o confidi e marketplace lending è utile e redditizia per entrambi. Eccoli:

  1. Banche e marketplace lending operano in mercati con poche sovrapposizioni. Il focus delle prime è maggiormente diretto verso operazioni complesse e aziende più grandi, mentre il marketplace lending è più adatto a imprese di piccole e medie dimensioni e a prestiti commisurati ad esse. Il taglio medio dei prestiti erogati nelmese di maggioda BorsadelCredito.it, ultimo della nostra rilevazione periodica, è ammontato a 194mila euro. Un valore che per le banche non è particolarmente redditizio: secondo Kmpg esiste un potenziale di 50 miliardi di euro di domande di credito da parte delle imprese, che gli istituti finanziari tradizionali non evadono proprio per una questione di size, cioè di dimensione troppo contenuta dell’azienda. Sono prestiti troppo piccoli per fare margine: quelli sotto i 100mila euro sono, per le banche, addirittura un costo. Si gioca su campi affini, ma separati: dunque collaborare aumenta il valore di entrambe le squadre. 
  1. Per la banca, avere la possibilità di offrire un prodotto di credito alternativo è un’occasione di fidelizzazione. Di fatto la possibilità di poter includere un prodotto come quello di BorsadelCredito.it nella gamma della banca offre uno strumento aggiuntivo per soddisfare le richieste del cliente e dunque fidelizzarlo. Se la cosa può apparire ancora lontana per un Paese come il nostro, vale la pena ricordare che in Gran Bretagna, dal settembre 2016, esiste unreferral schemeche prevede che ogni richiesta di finanziamento fatta da una PMI e rigettata dalla banca debba essere segnalata alle piattaforme che possono offrire un servizio alternativo. In sostanza un procedimento istituzionalizzato che stimoli la collaborazione fruttuosa tra banche e fintech, a favore delle PMI: la Gran Bretagna in termini di innovazione è un faro che illumina il nostro cammino.
  1. Il referral scheme – che può nascere da un accordo privato tra una banca e una fintech e non deve necessariamente piovere dall’alto di un’imposizione del legislatore –è inoltre uno strumento di diversificazione del rischio. In sostanza, se un cliente impresa viene dirottato per alcune operazioni verso la piattaforma di marketplace lending, il rischio non è più interamente concentrato sulla banca. E in tempi di Basilea 3 e dell’infinito irrigidirsi dei requisiti patrimoniali non è mai un male. Le banche italiane, vale la pena ricordarlo, siedono su una montagna di non performing loan, crediti inesigibili da 200 miliardi di euro, che certamente sta diminuendo, ma con un ritmo ancora troppo lento. Trovare dei partner in piattaforme come i marketplace lending aiuta la banca a trovare una soluzione al cliente, senza perdersi future opportunità in linea con il proprio business.
  1. Una collaborazione con il marketplace lending offre alle banche la possibilità di rispondere a un’esigenza di breve termine dell’imprenditore, per cui il fattore tempo è spesso una chiave imprescindibile di successo. Ne abbiamo parlato in un post recentissimo,qui, raccogliendo le testimonianze degli stessi imprenditori. BorsadelCredito.it riesce, grazie all’algoritmo e all’analisi dei big data, a dare l’esito della richiesta di prestito ai suoi clienti nel giro di 24 ore e a erogare fisicamente il denaro sul conto corrente del destinatario in pochi giorni, spesso solo tre. Se la banca ha la stessa opzione, può sfruttarla per risolvere al suo potenziale cliente un problema impellente, costruendosi un capitale di fiducia che poi sarà utile nello sviluppo di un rapporto di lungo termine.
  1. Fatto che ci porta diretti alla quinta e ultima ragione:il ritorno di immagine per la banca in termini di efficienza è enormeSecondo Accenture, in Europa il numero di operatori tradizionali si è ridotto del 40% rispetto al 2015 da 8.500 a circa 5.300 a favore dell’ingresso di altri attori di origine Fintech (oltre 800), che rappresentano oggi il 12% degli operatori (challenger banks, payments, specialist). In questo contesto le istituzioni finanziarie che hanno intrapreso grandi processi di innovazione presentano percentuali di valore futuro maggiori di almeno il 30% rispetto alle realtà meno dinamiche. Inoltre, l’analisi mostra che circa i 2/3 dei consumatori (65%) è composta da persone digitalmente evolute o addirittura “esperte di digitale”; questi consumatori si aspettano anche nell’ambito dei servizi finanziari un’esperienza simile a quella offerta dai GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), estremamente personalizzata e in “real time”. Ed è chiaro che la banca che riesca a dare di sé un’immagine più fintech avrà una marcia in più.

L’Intelligenza Artificiale è nulla senza l’uomo

A svelare questo approccio human centric è Paul Daugherty, Chief Technology & Innovation Officer di Accenture. Ospite di Meet the Media Guru, Paul ha individuato tre miti, tre imperativi e tre sfide imprescindibili oggi per stare al passo con le nuove tecnologie.

 L’Intelligenza Artificiale è il risultato dell’incredibile creatività dell’uomo che dà vita a un rapporto bidirezionale e collaborativo con il progresso: nasce così il binomio “uomo+macchina”.


 “La tecnologia è neutrale, è il modo in cui l’uomo la utilizza che può cambiare il mondo”. Questo il pensiero di Paul Daugherty, Chief Technology & Innovation Officer di Accenture, quarto ospite Meet the Media Guru che, al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, ha indagato il futuro della convivenza del binomio uomo+macchina in ambito lavorativo.

Secondo Paul Daugherty sin dall’antichità la tecnologia è sempre stata al centro delle vite degli esseri umani: dalla scoperta del fuoco di milioni di anni fa fino alladigital transformation dei giorni nostri, con l’AI protagonista nonché motore del futuro.
Benché l’Intelligenza Artificiale sia concepita oggi come una delle più avanguardistiche tecnologie, le sue origini risalgono agli anni Cinquanta, quando per la prima volta si è cominciato a parlare di tecnologie di potenziamento per i computer.

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Intelligenza Artificiale: chi è costei?
Ma cos’è l’Intelligenza Artificiale? Per il Guru sono da intendersi tutti quei sistemi che possono estendere le capacità umane di sentire, comprendere, agire e imparare. Nonostante la concezione di AI contemporanea sia solo agli albori, per Paul Daugherty “l’innovazione che porterà nelle nostre vite sarà qualcosa di incredibile, paragonabile solo all’invenzione dell’elettricità”.
Una svolta epocale, certo, ma che mai sostituirà l’uomo, suo creatore, bensì incrementerà le potenzialità del vivere quotidiano sia nella sfera privata che professionale.

Nel corso della serata, Daugherty ha individuato tre miti, tre imperativi e altrettante sfide riguardanti l’Intelligenza Artificiale.

Tre miti da sfatare sull’Intelligenza Artificiale

  1. I robot non sono una minaccia. L’Intelligenza Artificiale non distruggerà l’umanità, ma le si affiancherà semplificando alcune operazioni ancora oggi nelle mani dell’uomo;
  2. Le macchine non ruberanno il lavoro. I robot non sostituiranno il fattore umano, bensì contribuiranno a creare nuovi posti di lavoro con il nascere di professioni a oggi inesistenti. Le macchine devono essere intese come innovazioni tecnologiche con cui collaborare, spetta all’uomo aggiornare le proprie competenze e abilità per stare al passo con il progresso. Le leadership devono favorire questo processo;
  3. Le metodologie non cambieranno. A modificare non sarà l’approccio al lavoro, ma i termini in cui l’uomo basa la propria collaborazione che non deve essere uomo-macchina, ma uomo + macchina, una addizione che consente di raggiungere nuove frontiere.

Tre imperativi da seguire

  1. Ripianificazione del modello business. Le organizzazioni devono immaginare un nuovo modo di organizzarsi, capace di valorizzare l’esistente e accogliere l’innovazione. E’ fondamentale focalizzarsi sulla formazione per adattare le professioni attuali in vista della crescente diffusione dell’Intelligenza Artificiale e preparare chi deve accedere al mercato del lavoro;
  2. Nuovo approccio al lavoro. L’Intelligenza Artificiale è una intelligenza collaborativa che vede un rapporto bidirezionale tra l’uomo e la macchina: mentre l’uomo con le sue competenze crea la macchina e la dota dei dati necessari per farla funzionare, in risposta la macchina migliora le possibilità dell’uomo di valorizzare la propria creatività;
  3. Intelligenza Artificiale responsabile. Rifacendosi alle tre leggi della robotica di Isaac Asimov, Daugherty ricorda come la AI debba sempre essere impiegata a beneficio dell’umanità. Un imperativo, questo, che pone in essere la questione etica di un’Intelligenza Artificiale che sia anzitutto responsabile ma anche onesta, imparziale e trasparente. La responsabilità degli atti compiuti dalla AI deve essere sempre in capo alle persone.

Tre sfide per le aziende

  1. Nuove abilità e formazione. Con la crescente diffusione dell’Intelligenza Artificiale, diventa necessario colmare il gap tra le competenze già presenti nel mercato del lavoro e quelle necessarie, maggiori rispetto alle prime. Serve quindi formare vecchi, nuovi e futuri lavoratori per permettere una più serena ed efficace collaborazione per il binomio uomo+macchina;
  2. Data Veracity. Informazioni poco accurate possono minare la qualità delle ricerche fatte per mano dell’AI sulle quali gli enti contano per pianificare, operare e conoscere. È quindi fondamentale attingere da fonti sicure, collezionare e gestire i dati correttamente per svolgere un lavoro accurato, affidabile ed eticamente corretto;
  3. Non esiste una linea d’arrivo. L’Intelligenza Artificiale non ha un traguardo da raggiungere perchè essa continuerà a svilupparsi e a crescere con noi.

APP DELL’ESTATE: CON PLAYAYA L’OMBRELLONE E’ IN SHARING

LA SHARING ECONOMY ARRIVA IN SPIAGGIA PLAYAYA. OMBRELLONI LAST MINUTE CON UN CLICK

Arrivate sempre all’ultimo minuto e non trovate mai un ombrellone libero? Siete stufi di stendervi al sole in una delle affollate spiagge libere italiane, cercando uno spazio per il vostro telo? La spiaggia attrezzata è fuori budget? Da oggi basta un click per trovare il vostro ombrellone… e risparmiare (quasi il 50%) sul prezzo di affitto.

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Dedicata a tutti gli amanti del mare e della tintarella arriva Playaya, la App che consente di affittare, anche last minute, un ombrellone scontatissimo per stendersi comodamente al sole in uno stabilimento attrezzato, per una giornata o solamente per qualche ora, con un semplice click.

L’idea è di due giovani soci (e fidanzati) torinesi, Stefano-26- e Giulia -23, che dopo un anno di lavoro lanciano in questi giorni la loro App – Playaya – per mettere in contatto chi possiede un abbonamento in uno stabilimento balneare e sa di non utilizzarlo a pieno con chi lo sta cercando (magari solo per qualche ora).

Playaya non è una piattaforma di booking ma di condivisione, in perfetto stile sharing economy. Il sistema è semplicissimo. Gli stabilimenti che lo desiderano aderiscono gratuitamente al programma Playaya, mantenendo il completo controllo sulla spiaggia ma consentendo ai propri ospiti di mettere in sharing gli ombrelloni. Chi affitta l’ombrellone in una spiaggia Playaya può iscriversi gratuitamente alla piattaforma e mettere in rete le giornate, o le ore, che vuole condividere. Il software Playaya calcola e suggerisce il prezzo di vendita del servizio (con uno sconto che va dal 30% al 50% sul prezzo di listino della spiaggia) e a quel punto chi è alla ricerca di un ombrellone non deve far altro che collegarsi ed effettuare il match.

L’idea – racconta Giulia – ci è venuta l’anno scorso in Sicilia a Giardini Naxos dove mia cugina, che aveva un bimbo piccolo, ci ha prestato l’ombrellone che aveva affittato in uno stabilimento attrezzato poiché non lo utilizzava nelle ore più calde, dalle 12 alle 16. Per noi era semplicemente perfetto. Ci svegliavamo tardi e andavamo via giusto in tempo per iniziare a pensare all’aperitivo! Come mia cugina tantissime famiglie scelgono la comodità di una spiaggia attrezzata ma non la utilizzano tutto il giorno, o tutti i giorni, lasciando vuoto l’ombrellone. E tantissime persone hanno voglia di stendersi al sole proprio in quelle ore. Di qui l’idea!!! Playaya sfrutta lo strumento della condivisione e consente, a chi lo desidera, di recuperare in parte i costi del proprio abbonamento in spiaggia offrendolo in sharing

Trasparente. Comodo. Sicuro. Tutte le transazioni sono effettuate tramite PayPal o carta di credito e ogni martedì Playaya rimborsa chi ha messo in sharing il proprio ombrellone nella settimana precedente. Con un vantaggio economico anche per i gestori dello stabilimento.

 “Abbiamo iniziato – continua Stefano – dalla Liguria, dove moltissimi stabilimenti hanno aderito con entusiasmo alla nostra idea. Loano, Spotorno, Ceriale, Diano Marina, Bordighera, Alassio… Ogni giorno acquisiamo nuove spiagge da tutta Italia!

Gli amanti della tintarella sono avvisati!

Primo round da € 3 milioni per SCLAK, la startup che “trasforma” lo smartphone in una chiave

L’operazione, sottoscritta interamente da Vertis SGR, attraverso il fondo “Vertis Venture 2 Scaleup”, è al servizio dello sviluppo della piattaforma di gestione e controllo di accessi, dell’internazionalizzazione e dell’apertura di nuove partnership strategiche

Completato un primo e importante round di finanziamento da 3 milioni di euro per SCLAK, società fondata nel 2014 da Andrea Mastalli, Andrea Ferro e Daniele Poggi, che opera nel settore dell’Internet of Things, attraverso l’offerta di un sistema digitale di gestione e controllo degli accessi. A sottoscriverlo interamente è Vertis SGR, società di gestione del risparmio indipendente attiva nel private equity e venture capital, attraverso il fondo “Vertis Venture 2 Scaleup”. Il finanziamento è volto a sviluppare ulteriormente la piattaforma digitale di gestione e controllo degli accessi, consolidare il business internazionale e aprire a nuove partnership strategiche.

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L’innovativo sistema offerto da SCLAK consente di integrare qualsiasi tipo di apertura e serratura elettrificata, attraverso un dispositivo elettronico, un’applicazione mobile e una piattaforma digitale, da cui è possibile gestire e controllare gli accessi. Le chiavi digitali SCLAK, generabili tramite l’applicazione smartphone, possono essere inviate via e-mail o sms, sono personalizzabili e attivabili anche per periodi di tempo limitati (giorni e orari prestabiliti), possono essere revocate o sospese da remoto, con notifiche degli ingressi per tenere traccia dell’utilizzo. La grande flessibilità del sistema consente di offrire soluzioni smart alle nuove esigenze di gestione di mezzi e spazi, generate dallo sviluppo della sharing economy, così come ai bisogni di semplificazione, controllo e sicurezza degli accessi a spazi collegati a settori più tradizionali.

La semplicità e utilità del software hanno portato SCLAK, nei primi 4 anni di attività, a siglare importanti partnership con primari player nei settori della ricettività (SweetGuest, HomeatHotel), del facility management (Ceg Facility) ed uno strategico accordo con il leader mondiale della sicurezza passiva ASSA ABLOY (€7MLD di fatturato). Con una crescita costante ed esponenziale del fatturato (+50% nel 2017 vs 2016; +500% atteso per il 2018, grazie a nuovi accordi già siglati e altri in pipeline), la società genera già il 30% del proprio business all’estero, con una particolare preminenza al momento del mercato spagnolo, mentre si sta delineando l’interessante apertura di mercati ad alto potenziale come Francia, UK, Hong Kong e Australia. Ad oggi SCLAK ha oltre 4.000 dispositivi già installati e 400.000 accessi effettuati da inizio anno, più di 9.000 clienti privati possessori del sistema e oltre 15.000 ospiti che l’hanno utilizzato.

Andrea Mastalli, co-fondatore e CEO di SCLAK, dichiara: Siamo particolarmente orgogliosi di aver ottenuto un primo finanziamento così importante che supporterà i nostri piani di sviluppo. La flessibilità della nostra piattaforma, universale e applicabile a tutti i sistemi di apertura, sta suscitando grande interesse e attenzione in diversi ambiti e Paesi perché risolve contemporaneamente problemi di sicurezza e di gestione efficiente del tempo, bisogni che emergono in maniera sempre più evidente con l’evoluzione dei modelli di gestione e condivisione di beni e spazi. Siamo certi che l’ingresso nel nostro capitale di un primario player quale Vertis sosterrà la nostra crescita anche attraverso l’apporto fondamentale di esperienza e networking, funzionale allo sviluppo di nuove partnership strategiche.”

Amedeo Giurazza, Amministratore Delegato di Vertis SGR SpA, aggiunge: “SCLAK opera nell’Internet of Things, uno dei settori più dinamici e innovativi del momento. La piattaforma digitale offerta dalla società ha grandi potenzialità di sviluppo e, come investitori, vogliamo accompagnare il suo brillante team nel percorso delineato. SCLAK ha dimostrato la capacità di cogliere un reale bisogno di mercato e di mettere a punto una strategia di crescita, dandone piena esecuzione attraverso una soluzione tecnologica innovativa ed estremamente efficiente. Resta solo da alimentarne la scalabilità.”

Secondo l’Osservatorio di Osservatori.net – School of Management del Politecnico di Milano – l’Internet of Things nel 2017 ha toccato in Italia i 3,7 miliardi di euro, registrando un + 32% rispetto al 2016, spinto sia dalle applicazioni più consolidate che sfruttano la “tradizionale” connettività cellulare (2,2 miliardi di euro, +29%), sia da quelle che utilizzano altre tecnologie di comunicazione (1,5 miliardi di euro, +36%). Una crescita che risulta in linea o superiore a quella degli altri Paesi occidentali e il cui vero motore è costituito dalla componente legata ai servizi abilitati dagli oggetti connessi, che valgono ormai 1,25 miliardi di euro (con un peso pari al 34% del mercato). Nel prossimo futuro si prevede un’ulteriore accelerazione del mercato in molti segmenti tra cui Smart Car, Smart Home e Industrial IoT.

Costituita nel 2007, Vertis SGR è una società di gestione del risparmio indipendente, autorizzata da Banca d’Italia, che opera attraverso cinque Fondi d’investimento mobiliari chiusi, riservati a investitori qualificati. Nel private equity la Società è attiva con i fondi Vertis Capital e Vertis Capital Parallel, mentre nel venture capital investe con i fondi Vertis Venture, Vertis Venture 2 Scaleup e Vertis Venture 3 Technology Transfer. La società assume partecipazioni principalmente in progetti ad alto contenuto di tecnologia e di ricerca, spin-off, startup e PMI innovative. Il management team dispone di relazioni internazionali consolidate e vanta una importante track-record nei settori della finanza, consulenza, industria e ricerca.

Walter Coraccio, oggi divenuto anche socio di SCLAK e membro del CDA come Amministratore Delegato, ha coordinato, per gli aspetti finanziari e fiscali legati al deal, gli advisor Tommaso Foco dello Studio Legale Portolano Cavallo, che ha assistito SCLAK, e Ilaria Ricci dello Studio Legale LTL Advisors e Christian Giuliano dello Studio Pirola Pennuto Zei e Associati, che hanno assistito Vertis SGR.

Informazioni su SCLAK

SCLAK è una società fondata nel 2014 da Andrea Mastalli, Andrea Ferro e Daniele Poggi con sede a Milano ed operativa nel settore dell’Internet of Things, attraverso l’offerta di un sistema digitale di gestione e controllo per degli accessi. La Società è operativa in Italia e, attraverso rivenditori e ambassador, in paesi come la Spagna, UK, Hong Kong e Australia. Ad oggi SCLAK ha oltre 4.000 dispositivi già installati e 400.000 accessi effettuati da inizio anno, più di 9.000 clienti privati possessori del sistema e oltre 15.000 ospiti che l’hanno utilizzato. Nei primi 4 anni di attività, la società ha siglato importanti partnership con primari player nei settori della ricettività, del facility management, del co-working, del fashion e retail in generale. Per maggiori informazioni si rimanda al sitowww.sclak.com

Django Girls a Salerno il 29 giugno

Il 29 giugno 2018, dalle ore 9:00 alle 18:00, presso il Dipartimento di informatica dell’Università di Salerno, sito presso Via Giovanni Paolo II, 132 a Fisciano ci sarà  la prima edizione del workshop “Django Girls Salerno”

“Django Girls” è un’iniziativa che vuole contribuire al coinvolgimento del pubblico femminile nel settore digitale, avvicinando le donne alla programmazione web. Si tratta di un laboratorio gratuito della durata di una giornata aperto alla partecipazione di tutte, senza limiti di età e di background culturale, dove teoria e pratica si fondono insieme.

Ho intervistato le due organizzatrici Elena e Fiorella:

Qual è la genesi di questo evento?

Django Girls è un workshop di alfabetizzazione digitale di una giornata dove chi partecipa impara come si realizza un blog. Il nome dell’iniziativa fa riferimento alla tecnologia che viene utilizzata durante l’evento, il framework Django, un software open source per lo sviluppo di vari applicativi e scritto in linguaggio Python.
Django Girls non è solo un progetto per la divulgazione tecnologica, ma una community internazionale: nato nel 2014 nel contesto della conferenza EuroPython, si è diffuso a macchia d’olio, i workshop vengono organizzati in tutto il mondo e la comunità si è formata  nel corso degli anni, in un crescendo spontaneo. A sostegno del progetto esiste una Fondazione, nata nel 2016 e con sede a Londra, che coordina i gruppi locali, fornendo risorse e supporto per l’organizzazione di nuove iniziative. In Italia il debutto è stato nel dicembre 2015, a Roma. A Salerno, il 29 giugno 2018, c’è il workshop numero 14, e sono state toccate nel frattempo molte città della penisola, da Bari a Torino, da Trieste a Napoli.

Raccontami di Django è un framework? dimmi di più….

Django è il più popolare framework Python per lo sviluppo di applicazioni web. Nato in una media company, è oggi impiegato in molti ambiti, dalle startup ai social network. È pensato per rendere particolarmente agile lo sviluppo di applicazioni complesse grazie anche agli strumenti già integrati che non devono essere implementati da zero. È una tecnologia flessibile e scalabile, perché permette di aggiungere moduli e aggiornare l’infrastruttura tecnologica nel tempo. Django piace anche perché insegna agli sviluppatori ad essere ordinati, infatti ogni cosa deve essere al suo posto e per questo motivo muoversi nel codice di un progetto diventa un’azione semplice, e la documentazione è estremamente chiara.

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Citami qualche case history nell’uso di Django

Tantissimi progetti hanno alla base Django framework. Qualche esempio? Tra i più conosciuti, Instagram e Pinterest, il Washington Post. Anche la diffusissima applicazione per la gestione di commenti Disqus, e la piattaforma Prezi per le presentazioni online, sono realizzati interamente con Django.

Qual è il ruolo delle donne in questo settore?

Elena: Nel settore informatico, dal punto di vista pratico, non esiste una vera e propria distinzione di ruoli tra uomo e donna. Probabilmente dipende dal fatto che siamo poche e quindi eventuali differenze non sono così evidenti, ma per quanto riguarda la programmazione, si possono trovare sia donne che lavorano al lato front-end di un progetto web, quello di implementazione visiva, quante se ne possono trovare dal lato back-end, quello di funzionamento.La situazione cambia molto se si parla invece degli equilibri dentro l’ambiente di lavoro. In alcuni contesti ci sono ancora molti pregiudizi sulle donne programmatrici e a volte ci troviamo ad essere sottovalutate. Penso siano ancora molti i datori di lavoro ed i clienti che tendono a preferire programmatori uomini perchè, appunto, non abituati ad associare la donna al lavoro dell’informatico.Credo che alla base di tutto ciò ci sia un “problema” culturale, cioè l’idea che le scuole dove vengono insegnate materie informatiche siano più adatte ai ragazzi. Idem per quanto riguarda l’università, le facoltà più tecniche vengono solitamente preferite dai ragazzi e quindi è difficile vedere donne che si avvicinano al settore.”

Fiorella: Il nostro ruolo in questo settore non è diverso rispetto a quello degli uomini. Sicuramente le donne sono in minoranza, ma ci sono. Grazie a Django Girls sono entrata in contatto con diverse community e posso dire che si incontrano molte persone disposte ad aiutare e ad incoraggiare le ragazze che intraprendono questo lavoro. Sono stata una delle partecipanti di Django Girls Firenze nel 2016 poi coach ed infine organizzatrice. Ad Aprile ho partecipato alla conferenza PyCon Nove e devo dire di essere rimasta molto sorpresa, ho conosciuto persone stupende e sempre pronte a dare una mano. Certo capita ancora di trovare persone che credono che questo settore non sia per noi, anche se per fortuna sono un numero esiguo. Posso dire che in questi 2 anni grazie a queste community sono cresciuta e piano piano sto lavorando sempre di più per migliorarmi.”

Cosa si deve fare per evangelizzare?

Per portare un cambiamento effettivo crediamo che ci sia bisogno di più esempi di donne che lavorano in questo campo e che se ne parli sia all’interno della scuola, dell’università e delle conferenze.

E qui entrano in gioco anche i nostri workshop e le tante iniziative che stanno prendendo piede anche in Italia. Il nostro obiettivo principale è quello di avvicinare  le ragazze al mondo della programmazione e di creare una community che le possa accompagnare in questo percorso. Abbiamo attivato tra le altre cose un canale Telegram dove le ragazze che partecipano ai workshop Django Girls, oltre a rimanere aggiornate sulle attività di community possono chiedere aiuto o consigli a sviluppatrici e sviluppatori più esperti. Con questi eventi cerchiamo di far capire  che la programmazione è accessibile a tutti e che a volte l’unico limite è quello che ci poniamo noi stessi. E anche nella community tecnologica in cui siamo inserite, vediamo che negli ultimi tempi le cose stanno evolvendo. Si incontrano anche molte più donne nelle conferenze tecniche, sia come partecipanti che in qualità di speaker.

Come si può partecipare al vostro evento?

Per partecipare ai workshop Django Girls in Italia basta iscriversi dalla pagina dell’evento e rispondere alle domande che sono presenti nel form che appare. Facciamo sempre una selezione, e comunichiamo alle iscritte se sono ammesse al workshop. Il nostro principale criterio di valutazione, è la motivazione alla partecipazione, perché è dagli obiettivi personali, dall’entusiasmo e dall’impegno che secondo noi nasce un po’ tutto.

Come ultima cosa….dimmi un pregio ed un difetto di Django?

Dal punto di vista di una programmatrice o di un programmatore, un pregio di Django è che può contare su una community numerosa e molto attiva. Si possono trovare forum, blog e mailing list che ti permettono di chiedere aiuto ad altri utenti con più esperienza.  Se proprio vogliamo trovare un difetto è che la documentazione ufficiale non è tradotta in lingua italiana, ma resta altrettanto semplice ed intuitiva.


Elena: Nata a Napoli nel 1990, mi sono appassionata da subito alla tecnologia. Mi sono avvicinata al mondo dell’informatica già dalle scuole superiori e dopo il diploma ho deciso di iscrivermi alla facoltà di informatica all’università di salerno. Dopo la laurea ho partecipato ad uno degli eventi Django Girls e da allora ogni occasione è buona per inserire un po’ di Django in tutti i miei progetti lavorativi 🙂 
Fiorella: nata ad Anzio. Studentessa di Ingegneria Informatica presso l’Università di Roma Tre. Partecipante ed in seguito coach per la community Django Girls Italiana. Ha preso parte al Google Summer of Code 2017 con la community OpenWisp. Mentore del google  code-in 2017.

Ford e Postmates sperimentano a Miami l’utilizzo di veicoli a guida autonoma per le consegne on demand

  • Ford Motor Company e Postmates, il brand leader nel settore delle consegne on demand, hanno annunciato una partnership per l’introduzione sulle strade di Miami di un progetto pilota per le consegne a domicilio di beni e di generi alimentari
  • I veicoli utilizzati per la sperimentazione sono dei Ford Transit Connect che sono stati customizzati ad hoc per effettuare in modo efficiente le consegne. Il progetto ha l’intento di studiare le reazioni dei clienti nell’interagire con un veicolo a guida autonoma, all’interno della loro esperienza di consegna

Ordinare la cena direttamente dal proprio smartphone? Quasi demodè… ma vederserla consegnare da un veicolo a guida autonoma forse sarebbe molto più innovativo! È quello che sta accadendo in Florida, a Miami, nell’ambito di una sperimentazione condotta da Ford Motor Company e Postmates, brand leader nel settore delle consegne on demand. La partnership, prevede, infatti, l’introduzione sulle strade di Miami di alcuni Transit Connect, con l’intento di studiare il ruolo dei veicoli a guida autonoma nelle attività di consegna.

Si tratta di una flotta di Transit Connect, progettati per apparire come veicoli a guida autonoma, mentre, in realtà, sono guidati da una persona. Inoltre, sono stati customizzati ad hoc, con un sistema di 3 vani, posizionati sul lato passeggero e posteriormente, ideati sia per proteggere il cibo sia per effettuare in modo efficiente le consegne, servendo più clienti su un unico percorso.

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Dato che Postmates si occupa della consegna di generi merceologici che vanno dal sushi alla ferramenta, i 3 vani sono di dimensioni diverse per consentire di studiare anche la configurazione ottimale del veicolo stesso, oltre che a valutare in che modo le aziende e i consumatori interagiscano con un veicolo a guida autonoma. È il primo veicolo modificato appositamente per testare una varietà di interfacce: il touch screen, i diversi vani e un sistema audio esterno. Il risultato sarà utile per sviluppare il design del veicolo, completamente a guida autonoma, che Ford costruirà entro il 2021.

Il progetto pilota, attualmente in corso a Miami, vede la partecipazione di oltre 70 aziende merceologiche, tra cui locali molto amati come Coyo Taco. I residenti della zona, ordinando i tacos o qualsiasi altro cibo tramite Postmates, hanno la possibilità di scegliere tra le modalità di consegna quella effettuata da un veicolo a guida autonoma. Ovviamente sarà un addetto in carne e ossa a predisporre sul Transit Connect il pasto, una volta pronto per essere consegnato.

L’addetto del ristorante digiterà, poi, il proprio codice di accesso sullo schermo e, contestualmente, uno dei vani si aprirà in modo da poter inserire il cibo all’interno. Ogni vano, inoltre, ha due porta bicchieri in modo da non doversi preoccupare di perdere metà delle bevande ordinate durante il transito. Quando il veicolo arriverà a destinazione, il cliente riceverà una notifica di testo per ritirare la consegna, direttamente sotto casa.

I clienti saranno anche agevolati dalle istruzioni audio che indirizzano l’interazione e le luci che andranno a illuminare il vano designato. L’obiettivo della ricerca, infatti, è soffermarsi sul primo e l’ultimo miglio dell’esperienza di consegna e valutarne le caratteristiche aiutando le realtà locali a espandere il loro spettro di azione e offrire migliori soluzioni ai clienti coinvolti.

È possibile visualizzare il video al seguente link https://youtu.be/9DY0LKOdE3M

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